Giacomo Ancillotto: chitarra
Marco Zenini: basso
Alessandra D’Alessandro: batteria
Folderol – 2025
Giacomo Ancillotto, sulla scena musicale da diverso tempo e dedito a suonare un jazz, per lo più improvvisato, ha pubblicato il suo primo disco da leader intitolato Descansate Nino. Il chitarrista ha fatto le cose in grande con questo suo primo lavoro: digipack d’artista (firmato da Marco Gronge), bello e picassiano e titolo desunto dal canzoniere di Paolo Conte. C’è del cubismo nella musica di Ancillotto che fa il paio con l’essenzialità carveriana dell’assunto. Si ha l’impressione di ascoltare una movimentata sovrapposizione di blocchi di note che si compongono e scompongono seguendo l’incedere improvvisato della chitarra – Igor Legari -, senza perdere di vista la figura tematica insita nella poliedrica composizione. Descansate Nino è un vero e proprio disco di formazione che di fatto racchiude il mondo di Ancillotto, non solo musicale ma anche geografico ed esistenziale. Gli sono accanto, in questa narrazione autobiografica, Marco Zenini al basso Alessandra D’Alessandro alla batteria. Via Aurelia 23, il brano che apre il disco, già ai suoi primi giri, ci restituisce il senso della musica di Ancillotto: influenze e idee, tante, che vanno a sintetizzarsi senza rinunciare alla melodia, anche in situazioni più trasversali e spigolose. Poi la sua essenzialità sonora fa il resto, scorticando fino alle ossa un blues rock come Flemma. Ma Ancillotto sa essere anche dolce, sensibilmente profondo come accade in Se Telefonando di Ennio Morricone. Una ballad che affronta con la chitarra acustica, secca e essenziale. Sinnò me moro spinge l’immaginazione verso le lande desertiche, e bruciate dal sole, narrate dai Calexico. Tutto cambia con De’ Modè. Siamo in pieno clima jazz, suonato alla maniera di Ancillotto, senza fronzoli ma perfetto nel rievocare radici e atmosfere ellingtoniane. Chattina riporta l’ascoltatore tra le sabbie desertiche guidato da una chitarra rude, stravolta e dal blues contorto e friselliano. Descansate Nino si chiude con i tamburi in primo piano che, in sequenza, disegnano l’atmosfera dimessa di Hikikomori. La chitarra ieratica e solenne si manifesta a sprazzi definendo il clima di un disco bello e trasversale, sia nella lettura che nell’ascolto.
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