Passione e politica, jazz e rabbia, sono i due binomi alla basa della musica di Radicchi (
Our Anger is Full of Joy). Un sax aperto al sociale, invettive di suoni contro le ingiustizie e le disuguaglianze (
Don't Call It Justice). Latrati munchiani per svegliare le coscienze intorpidite dai jingle delle fake news (
Stop Selling Lies). Non è Archie Shepp e neanche Woody Guthrie con lo strumento sbagliato e, crediamo, non l'abbia mai voluto essere o immaginato. È, forse, un operaio sociale - come si diceva un tempo - che presta il suo servizio a colpi di sax sostenuto da un drumming discreto e martellante e da un contrabbasso puntuale e preciso come una goccia che buca menti chiuse e rocciose. Non è semplice affrontare un intero disco avendo fede solo nei propri polmoni con contrabbasso e batteria che mordono impietosi. Radicchi ci riesce con l'Arcadia Trio, e grazie anche alla forza delle sue idee che lo aiutano a spingere sempre in avanti l'asticella dell'improvvisazione, probabilmente alimentata dalla tensione emotiva politica e sociale. Le sue storie sono radicali, si nutrono di presente e bruciano l'attimo; le estremizza in
Salim of Lash aggiungendovi il contributo stridente e dolphiano del clarinetto basso e ne costruisce una storia collettiva con il corale e polistrumentale
Utopia. Don't Call it Justice è un disco duro e crudo, diretto come un cazzotto ma dolce nella sua melodiosa cantabilità. Per palati fini!
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