Adriano Clemente è un compositore e polistrumentista pugliese che, con questo disco, intende rendere omaggio alla figura di John Coltrane, certamente uno dei massimi esponenti del jazz moderno. Come per la precedente "The Mingus Suite" del 2016, il disco contiene solo brani originali, a firma del musicista leccese. Non ci sono pezzi dal repertorio del genio di Hamlet, insomma. In particolare il primo cd è occupato integralmente da una suite dedicata al grande tenorista, mentre il secondo album raggruppa una serie di composizioni scritte da Clemente in epoche diverse, unite, in qualche modo, stilisticamente alla musica racchiusa nel primo capitolo. Affiancano l'"Akashmani Ensemble", il gruppo-cardine di sette elementi, altri cinque strumentisti italiani, oltre a due ospiti prestigiosi statunitensi, il sax tenore di David Murray e le percussioni di Hamid Drake. La suite ha un sottofondo ritmico molto marcato e rimanda all'ultimo periodo dell'attività di Coltrane, segnato da aneliti spirituali e da un ritorno ideale al momento iniziale, alla
Mother Africa, come dal titolo di un segmento dell'opera. Su questa base fortemente caratterizzata, si materializzano i riff esposti all'unisono dai fiati, a volte raddoppiati o sostituiti dalle tastiere. Quando il terreno è sufficientemente preparato, partono gli assoli, con una prevalenza netta per gli interventi di David Murray, saturi di blues e, nell'idioma, di riferimenti ai grandi maestri del sax tenore, da Ben Webster ad Archie Shepp. In alcuni episodi, invece, come in
Shine, si scivola su climi meno carichi, su tempi e modi da "ballad". D'altra parte è pur vero che Trane ha registrato un disco con questo titolo.
Gli altri musicisti dell'ensemble, pungolati dalla vicinanza dei due assi afroamericani, si liberano in assoli temprati, dai colori accesi, parecchio "black". Si distingue, in special modo, la tromba di Antonello Sorrentino, capace di prendere fuoco, all'occorrenza, mantenendo, però, il pieno controllo della materia.
Il bandleader, poi, inserisce sfumature e arricchimenti timbrici al suono complessivo, suonando una serie di strumenti di origine etnica, come l'arpa venezuelana, la kalimba o il balafon.
In tutte le tracce, inoltre, serpeggia o si manifesta apertamente lo spirito del blues, un altro totem del sassofonista di "A love supreme", compreso, a buona ragione, nella sua musica.
La proposta, quindi, ondeggia fra jazz modale, bop, radici ritmiche africane, e presenta striature di origine indiana, in particolare, innescate dallo stesso Clemente, profondo conoscitore di usi, costumi e arti orientali.
In definitiva, "Coltrane Suite and Other Impressions" è un disco maturo, completo, che sottintende un grande lavoro di allestimento a monte, da parte del leader e del suo gruppo, nobilitato, altresì, dalla presenza di un fuoriclasse come David Murray, in specie, senza nulla togliere ad Hamid Drake, che trascina la musica in una dimensione aerea e vibrante, secondo coordinate espressive immaginate, forse, dallo stesso Coltrane.
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