Intervista ad Esbjorn Svensson

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Intervista ad Esbjörn Svensson.

Ancona Jazz, Ancona – 19.7.2005.


Jazz Convention: Partiamo da Viaticum, il tuo ultimo cd: parliamo della costruzione di questo lavoro e del posto che occupa nel percorso discografico dell’Esbjorn Svensson Trio.


Esbjörn Svensson: è bello sentirti pronunciare Viaticum in latino, è una parola latina… forse è scontato dirlo in Italia, Viaticum significa l’ultimo viaggio, le cose che porti con te un attimo prima di morire… Questo per quanto riguarda il titolo… A me non piace moltissimo parlare della musica, forse è questo il motivo per cui suono musica, per me la musica non ha bisogno di parole, riesce ad essere definita in sè…



JC: Il titolo è la prima cosa che colpisce… gli altri vostri lavori avevano titoli molto più elaborati e ironici… Viaticum, al contrario…


ES: Capisco che vuoi dire… Rispetto a titoli come Seven days of falling, Strange place for snow, Good morning Susie Soho, Viaticum è un titolo molto più serio. È una battuta che facciamo tra di noi, diciamo spesso che Viaticum, in un certo senso, è il primo disco politico che facciamo: la nostra espressione, la nostra prima interpretazione di Viaticum è, che ancor prima che la Chiesa Cattolica si appropriasse di questa parola, il suo significato era semplicemente quello di scorta, provvista per un viaggio lungo e importante, provvista di cibo, soldi e beni per il viaggio delle persone che si muovevano dalle province verso Roma. L’idea dalla quale ci siamo mossi per il titolo, è che Viaticum, il nostro album, possa essere una sorta di cibo spirituale di cui hai bisogno per continuare a vivere, invece che per l’ultimo viaggio. Un cibo per poter continuare ad essere sufficientemente ispirato nella tua vita, non per morire. Abbiamo voluto porre l’accento sull’ispirazione a vivere, sulla voglia di vivere.



JC: In un certo senso è anche una maniera per poter sperimentare nuove cose rispetto a quelle che erano già presenti nei dischi precedenti…


ES: Intendi musicalmente?



JC: Musicalmente e anche rispetto ad esperienze che provengono da altri campi…


ES: Sì, direi proprio di sì. Non vorrei essere troppo serioso, ma molti dei titoli che sono presenti nel disco, come Tide of Trepidation, che abbiamo pensato più riferito alle preoccupazioni che alle onde… Quando abbiamo cominciato a scrivere la musica, i titoli erano lì, pensavamo a quello che succede nel mondo, alla situazione generale del pianeta, e dopo aver composto quei brani, è accaduto lo Tsunami dello scorso dicembre, la vera onda del terrore… e abbiamo pensato: “Cosa succede qui? Abbiamo questo brano che parla esattamente di questo…” senza che, come è ovvio, le cose avessero nessun rapporto.



JC: In un certo senso, i titoli, i brani, la costruzione della musica, tutto viene fuori dalle vostre menti, dalle espressioni delle vostre personalità, nel momento stesso che scrivete la musica, che vi impegnate a un nuovo progetto…

ES: Ovviamente quando compongo le musiche per un disco, queste vengono fuori dalla mia testa, dalle mie sensazioni… cerco di essere, più che posso, disponibile, leggibile, cerco di comporre la musica giusta che mi faccia sentire, mi faccia pensare questo era esattamente quello che volevo comporre. Non ho idea di come questo processo si svolga, è una cosa misterica scrivere musica, in un certo senso, così come interpretarla…



JC: Intendevo dire, che il momento in cui cominci a scrivere, a pensare i titoli, e via dicendo, diventa un passagio di un processo che prende vita e si sviluppa nella tua mente…


ES: Capisco cosa vuoi dire… Non proprio: sono due cose separate. C’è da un parte il lavoro sulla musica, che compongo senza pensare e senza darle un titolo; quando poi abbiamo completato la scrittura e cominciamo a suonarla in trio, con Dan e Magnus, iniziamo a discutere delle diverse opinioni sulla musica, la arrangiamo insieme. E, quando il tutto è stato registrato qualche istante prima, allora Dan, il bassista, si mette al lavoro per dare i titoli ai brani: è lui che arriva con queste strane storie per i titoli, è lui che pensa a questo. Dan propone i titoli e le storie e noi le discutiamo a lungo, lavoriamo molto sui titoli, su come si possano legare ai brani: secondo noi è una parte molto importante della nostra musica.



JC: Beh, è la prima definizione della tua musica che tu dai all’ascoltatore…


ES: Certo, almeno quando vedi un album sono importanti, come le foto e la confezione… bisogna essere attenti ai titoli dei brani. (Nel tono c’è un’accezione più ironica – n.d.t.)



JC: In Viaticum continui nella tua concezione acustica del trio. Pur con gli inserti elettronici, con gli inserti di elementi che provengono da altri generi come rock e pop, la concezione acustica resta centrale nei tuoi lavori. Parliamo dell’unione di questi due elementi, la composizione molto tradizionale del trio, da una parte, l’estrema vastità dei riferimenti musicali.


ES: è sempre difficile da spiegare… Su tutto c’è il fatto che noi siamo cresciuti ascoltando il rock’n’roll, iniziando a suonare il pop, il rock, utilizzando strumenti elettrici e via dicendo. Dopo di che abbiamo cominciato a suonare jazz, abbiamo cominciato ad ascoltare e suonare musica classica… Se pensi i diversi generi musicali come lingue diverse, beh si può dire che nel trio parliamo molte lingue… Quando suoniamo in trio, non cerchiamo di suonare jazz puro, o musica pop, o musica rock… noi cerchiamo di creare un nostro linguaggio personale… parliamo nella maniera in cui ci va di parlare o, se vuoi, suoniamo nella maniera in cui ci va di suonare. Creiamo una musica che sia quella dell’E.S.T.: questo è il nostro obiettivo. Per quello che riguarda la miscela di acustico ed elettrico, abbiamo scoperto le possibilità di questa strada, attraverso una successione di esperimenti. Se suoni completamente acustico e aggiungi piccoli inserti elettronici, quello che stai suonando acustico diventa improvvisamente molto più acustico, per contrasto, grazie all’incontro degli elementi diversi; amiamo molto sperimentare in questo modo e impariamo sempre cose diverse in questa direzione, mettendo in contrasto i suoni. Alle volte non ci si rende nemmeno conto se quello che ascolti è un suono acustico o meno, Magnus, ad esempio, fa delle cose alla batteria che molte persone ritengono elettroniche, mentre sono soltanto il risultato di tante cose che si aggiungono le une alle altre… lo stesso faccio io con il pianoforte, lo stesso Dan con l’archetto… È divertente…



JC: Ho pensato la domanda che ti ho fatto prima, pensando alle differenze tra il vostro modo di lavorare e quello del trio di Brad Mehldau, ad esempio. Mehldau attinge al pop per prendere dei brani, voi prendete dei suoni, delle atmosfere per suonare poi i vostri brani…


ES: Molte persone ci chiedono: “Perchè non suonate dei brani dei Radiohead?”… Noi non ne sentiamo il bisogno, abbiamo materiale nostro a sufficienza per esprimerci. Ovviamente siamo ispirati nei suoni e nelle atmosfere dai Radiohead, ad esempio, e da altre band, ma non sentiamo il bisogno di suonare le loro canzoni.



JC: Nei brani che proponete in Viaticum, ma anche in Strange place for snow e nei dischi precedenti, una particolarità delle vostre composizioni è questa serie di piccole frasi, di ripetizioni che creano la struttura dei brani. Questo è un modo per focalizzare al massimo il significato di queste frasi, del pensiero che è dietro la scrittura…


ES: Non so, davvero… a me piace molto il minimalismo, cerco di comporre buona musica. Mi piace molto una musica che sia semplice, che non usi troppe note, note che spesso non vogliono dire nulla: è meglio usare una nota che dica esattamente quello che vuoi dire. Penso che questo possa dare un’idea del mio modo di lavorare quando compongo… Cerco di comporre la musica che mi piace ascoltare, ma non la analizzo così a fondo, non la considero mai in altri termini che quelli del mio cuore, delle mie sensazioni.



JC: Quello a cui pensavo era proprio al modo di mettere in evidenza i tuoi pensieri, le tue emozioni, le tue esperienze attraverso la musica…


ES: Credo che sia più probabilmente la musica che rappresenta me, Magnus e Dan in modo molto astratto… forse ci rappresenta in modo migliore di quanto qualunque parola possa esprimere, forse meglio non è la parola giusta per esprimere questo, è così difficile definire noi stessi, la nostra musica. Tutto è in definitiva, così astratto, la musica è astratta, noi stessi siamo astratti e la cosa fantastica della musica è che riesce a creare un mondo nel quale chiunque può entrare non appena ascolta la musica, essere parte di quel mondo, questo è davvero emozionante.



JC: Questo perchè la musica va direttamente da te agli ascoltatori…


ES: Non so… una cosa sicuramente importante, o forse non così importante, ma tant’è: quando noi componiamo, o suoniamo, noi non pensiamo al pubblico. a chi riceverà la nostra musica, perchè non possiamo sapere esattamente chi riceverà la nostra musica e in quale modo ascolterà la nostra musica. L’unica cosa di cui possiamo interessarci è il nostro vissuto, la nostra esperienza, quando suoniamo, e cerchiamo di essere connessi al massimo grado possibile tra di noi, in quel preciso momento, e cerchiamo di suonare la musica che vogliamo suonare. Noi siamo assolutamente dentro la nostra musica, in modo totale. Ho visto che è molto più facile per le altre persone ascoltare la musica e riceverla, se la componiamo e suoniamo in questo modo. Ma, se comincio a pensare a te come ascoltatore, e a pensare che, forse, dovrei suonare in un modo piuttosto che in un altro, perchè così potrebbe piacerti di più… beh, questo è sbagliato, non credo che possa funzionare una musica composta in questo modo. Abbiamo bisogno di creare musica per noi, in questo modo funziona, in questo modo può arrivare anche agli ascoltatori: questa è la mia esperienza.



JC: Una musica concepita in modo puro…


ES: Si, come dicevo, è una questione di cuore… e cerco sempre di comporre musica che interessi me e, ovviamente, Dan e Magnus. Non ci sono speculazioni possibili su questo, non c’è l’intenzione di vendere un milione di copie o di creare un ritmo che piaccia alla gente… Qualche volta, quando abbiamo scritto qualcosa di nuovo, c’è capitato di pensare: “Wow! questa sarà un successo!”… È capitato un paio di volte, lo abbiamo pensato per scherzo… non abbiamo ancora avuto una hit, ma abbiamo sicuramente composto diversi brani che hanno colpito il pubblico, e il motivo, quanto meno, uno dei motivi, è perchè ci piace suonarli.



JC: Parlando del concerto che farete questa sera, voi suonerete in piano trio, con la formazione classica del piano trio, alla quale aggiungete i suoni che avete aggiunto anche nel disco, gli elementi sonori di cui si parlava in precedenza. Come utilizzate questi elementi dal vivo?


ES: Noi non possiamo riprodurre esattamente quello che abbiamo inserito nel disco e non è nemmeno il nostro obiettivo. Quello che cerchiamo di fare è rendere ogni brano vivo, e questo sin dalla registrazione sul disco, e di conseguenza in ogni concerto. Ogni brano cambia in modo costante, concerto dopo concerto, e lo suoniamo in modo differente ogni sera, ogni sera con qualche particolare differente. tutto quello che sentirai questa sera sarà leggermente diverso dal disco, noi non possiamo riprodurre i suoni e i brani nello stesso modo. Probabilmente utilizzeremo altri suoni nel concerto. Mi spiego: ognuno di noi utilizza uno strumento acustico, come dicevamo, e una serie di strumenti elettronici, anche sul palco. questo ci permette di creare nuovi suoni che nascono in quel momento sul palco che rendono ogni brano, ogni passaggio diverso da quello che abbiamo inciso nell’album, ma senza stravolgere il senso della musica e rendendola comunque riconoscibile.



JC: è uno strumento in più con il quale improvvisare?


ES: Assolutamente, non sono cose separate… l’elettronica che utilizzo con il pianoforte è una cosa che lavora insieme al pianoforte… alla fin fine, io suono il pianoforte e, agendo sulle manopole, modifico il suono, gli effetti del suono… niente di speciale: è una parte del complesso del nostro suono.



JC: Ho visto, oggi pomeriggio, il vostro soundcheck, molto scrupoloso… questo rappresenta la vostra volontà di controllare per quanto possibile il suono…


ES: Sicuro, io ad esempio non uso i monitor, solo un minimo per il contrabbasso e la batteria e per i miei strumenti elettronici, mai per il pianoforte, che sento sempre in modo totalmente acustico… Per questo per noi è importante molto vicini tra di noi e, per quanto possibile, acustici e non troppo forte. Si, comunque ci piace suonare molto raccolti sul palco. Ovviamente suoniamo anche all’aperto, ma ci disponiamo nello stesso modo sia per i concerti all’aperto nei teatri. Il nostro tecnico del suono, Ake Linton, ci segue in tutti i concerti, ormai da sei anni; lui si occupa di tutti i dettagli del suono, dal palco ai monitor. È un grande, noi dipendiamo completamente da lui. Ma in ogni caso sul palco, almeno nella mia posizione è tutto completamente acustico. Magnus, ad esempio, vuole più pianoforte nei suoi monitor, perchè lui suona più forte ed ha bisogno di maggior volume nei monitor.



JC: Avete pubblicato Viaticum nella primavera scorsa, nel concerto di questa sera proporrete, come credo, la musica contenuta nel disco o avete già scritto nuovo materiale?


ES: Sto scrivendo nuova musica in questi giorni, ma non la suoneremo in concerto per ora… Suoneremo musica, o meglio noi non sappiamo cosa suoneremo, noi non decidiamo prima i brani che eseguiremo, saliamo sul palco e suoniamo. Sicuramente suoneremo brani da Viaticum e qualche brano dai dischi precedenti.



JC: Questo nuovo materiale verso quale direzione si muoverà?


ES: È troppo presto per dirlo… Ho diverse idee, al momento, e sto cercando di capire verso quali direzioni queste idee vogliono portarmi… perciò non voglio svelare troppi particolari ora: potrei dire cose non esatte.