Finnish Jazz. Intervista. Joona Toivanen

Foto: Jouko Lehtola










Intervista a Joona Toivanen


Recensione a Frost

Jazz Convention: Frost è il tuo nuovo CD. Parliamo della musica e delle composizioni che hai inserito in questo lavoro?


Joona Toivanen La musica di Frost, così come quella presente nei nostri precedenti album, è composta da me e dal batterista Olavi Louhivuori. In questo disco, in ogni caso, non abbiamo firmato nessuna composizione insieme. Per qualche ragione particolare, Frost comincia con i quattro brani composti da Olavi e, poi, seguono le mie quattro composizioni. Abbiamo pensato insieme l’ordine dei brani e, in qualche modo, ci siamo resi conto che questo era l’ordine naturale delle tracce. Quando compongo per il trio, mi siedo al pianoforte, e Olavi fa allo stesso modo, accennando melodie, provando passaggi. Conosco il modo in cui Olavi e Tapani suonano e, perciò, non scrivo troppe annotazioni per loro. Spesso, il risultato è decisamente migliore quando i musicisti possono improvvisare le loro parti nel loro stile particolare all’interno di una linea guida o di una cornice. I brani hanno preso la forma definitiva nelle prove, dove tutti e tre i membri del trio hanno una parte uguale nell’arrangiamento della musica. E il risultato può essere anche decisamente differente dall’idea di partenza che avevo accennato al pianoforte.



JC: La formazione in trio permette di esplorare uno spettro emozionale molto ampio. In Frost, avete dato una prova di questo: parliamo delle emozioni che avete voluto esprimere nella vostra musica.


JT: Sia nella composizione che nell’improvvisazione, l’espressione e il sentimento sono aspetti molto importanti per me. Quando ascolto un gruppo di jazz, posso perdere interesse molto velocemente, se tutto quello che ascolto sono patterns e maestria, senza sentimento. Questo è un mio giudizio strettamente personale: alcune persone possono trovare del trasporto in dischi, o concerti, che altre persone considerano freddi o senza emozioni… ovviamente troppa espressività usata in modo sbagliato, al contrario, possa suonare in modo forzato e, alle volte, zuccheroso. Molti piano-trio europei che suonano in modo meravigliosamente dinamico ed espressivo nei loro concerti, segnano il passo nei loro dischi, che suonano minimalistici, puliti e, in qualche modo, introversi. Quando registriamo in trio, noi cerchiamo di riportare le nostre emozioni e le nostre espressioni sul nastro, anche se è, ovviamente, più difficile quando si registra. Il pubblico presente ai concerti solitamente rende l’energia della band più forte, essendo nella stessa stanza e vedendo i musicisti suonare e comunicare. Molti brani possono essere davvero personali, come ad esempio l’ultimo brano di Frost, Memory (of a friend). Come indica il titolo, ho scritto questo brano per un mio caro amico. Sono stato attraversato da molti sentimenti mentre scrivevo questo brano: allo stesso tempo, profonda tristezza e ricordi felici. Ho cercato di includere in questo brano entrambi gli elementi nel modo migliore: il mio amico amava la bella musica.



JC: La storia del trio. Lavorate insieme sin dal 1997. Parliamo dei passi della vostra carriera.


JT: Veniamo da un quartiere di Jyväskylä, in Finlandia, e ci conosciamo sin da quando eravamo bambini. Il contrabbassista, Tapani Toivanen, è mio fratello minore, mentre io e il batterista Olavi Louhivuori siamo stati nella stessa classe sin da quando avevamo sette anni. A scuola, avevamo dapprima formato una rock band, nella quale Tapani suonava la chitarra. Io e Olavi avevamo suonato un po’ di funk in un gruppo scolastico, ma mai molto jazz nel quale avevamo ancora molta strada da fare. In una lezione di musica del 1997, nella quale ognuno doveva portare un brano da eseguire in classe, ho chiesto ad Olavi di suonare, in duo, Spain di Chick Corea. Fu molto divertente e fu un grande successo in classe! A quel punto abbiamo pensato di metter su una band, cercando un bassista e altri brani da suonare. Nel frattempo, mio fratello Tapani stava studiando in un altra scuola e cominciava a suonare il basso elettrico. Abbiamo cominciato a suonare con lui e solo qualche mese dopo le sue dita sanguinavano per il primo approccio al contrabbasso. All’inizio suonavamo standard e brani che avevamo ascoltato e trascritto. Non abbiamo cominciato a comporre subito, il mondo del jazz era troppo sfavillante per le nostre giovani orecchie: Olavi ed io avevamo sedici anni e Tapani quindici. Siamo andati nel jazz club locale con i nostri genitori per ascoltare jazz dal vivo. Presto siamo andati a partecipare alle jam session, suonando qualche brano prima che dei musicisti veri suonassero sul palco. Il padrone del club ci ha sentito ed ha avuto l’idea di creare una “junior jam session” per le serate del martedì. Abbiamo cominciato lì, siamo stati la prima band residente e credo che ancor oggi il martedì ci siano jam al Jazz Bar di Jyväskylä. Suonare ogni settimana al Jazz Bar è stata la nostra migliore scuola. Abbiamo imparato nuovi brani, abbiamo improvvisato con altri musicisti e suonato regolarmente per un pubblico vero: è stata un’opportunità unica. Presto abbiamo cominciato a scrivere brani originali da portare nelle serate del martedì. Nel 1999, le persone che ci ascoltavano hanno cominciato a dirci che dovevamo registrare la nostra musica. Il Conservatorio di Jyväskylä ci ha permesso di utilizzare lo studio (come parte del nostro corso) e, nel giugno del 2000, abbiamo pubblicato l’album Numurkah. Nello stesso anno siamo stati scelti per rappresentare la Finlandia alla Jazz Competition di Avignone, in Francia, e nell’autunno abbiamo diviso il primo premio nella Nordic Jazz Competition, che si è tenuta in Islanda. Nel 2002 abbiamo realizzato il secondo album, Lumous. Nella stessa estate, Numurkah è stato pubblicato in Giappone e abbiamo suonato in diversi jazz festival finlandesi, nei club e in qualche evento internazionale. Quando mi sono trasferito in Svezia, nel 2002, il modo di lavorare del trio è cambiato: abbiamo cominciato a lavorare per periodi, non sono state più possibili le prove settimanali e i concerti occasionali. Abbiamo dovuto pianificare concerti, prove e registrazioni com molta più cura. Allo stesso tempo, hanno iniziato a prendere maggior spazio altri progetti. Per ognuno di noi, questo trio è il gruppo che esisterà sempre, nonostante distanze e lunghe pause. Nel 2003 abbiamo iniziato a collaborare con il manager Henk van Leeuwen, che lavora in Australia, e abbiamo fatto un tour in Australia, appunto, e a Singapore. In seguito, quell’anno, abbiamo fatto un altro tour in Singapore, Malaysia e Indonesia. Abbiamo registrato il nostro terzo album, Frost, nel 2005 vicino a Goteborg, in Svezia. Siamo felici del disco e anche la nostra etichetta, la EMI Blue Note Finland, lo è e lo ha pubblicato a livello internazionale nel 2006. Ora stiamo suonando il nostro materiale in diversi festival e il feedback é molto buono.



JC: Cosa accade durante i vostri concerti? Come cambia la musica rispetto ai dischi?


JT: Nei nostri concerti suoniamo molti brani dei nostri album, così come altro materiale originale. Molte persone ci chiedono di suonare degli standard, ma ci siamo accorti, attraverso tentativi ed errori, che gli standard non si incastrano molto bene nelle nostre scalette. Il punto di partenza nell’eseguire i nostri brani è che abbiamo una forma da seguire. Sappiamo solitamente in precedenza chi farà gli assolo e quando, cosa accadrà dopo il tema, chi porta il gruppo nella sezione successiva del brano e via dicendo. Qualcuno potrebbe pensare che questo approccio, una strada segnata in pratica, possa concedere poco spazio alle improvvisazioni libere e alle sorprese, ma io vedo il nostro modo di procedere come una forza. Quando ognuno nella band sa cosa accadrà nel brano, dove la musica sta andando, ognuno può accordare le proprie improvvisazioni a quello che sta succedendo sul palco. Le espressioni e le dinamiche diventano più controllate e, prima di tutto, teniamo sotto controllo la forma generale del brano. Ovviamente, ogni concerto è unico e ogni brano varia da concerto a concerto, e in modo diverso, in ogni performance.



JC: Oltre al lavoro professionale, tutti e tre continuate a studiare nelle Università e nelle Accademie Musicali. Come si combinano questi due aspetti e come contribuiscono al vostro sviluppo come musicisti?


JT: Studiare musica significa incontrare persone, suonare con altri musicisti ed essere ispirati da loro. Sono diversi anni che studio musica jazz e ora, all’Università, voglio approfondire alcune cose, voglio imparare meglio aspetti come la composizione, il contrappunto e l’orchestrazione. Ho molte cose da sviluppare sul mio modo di suonare il pianoforte (ma quello non terminerà mai…) e sono felice di lavorare, in questo momento, con un eccellente maestro di pianoforte Inoltre sono molto interessato nella pedagogia musicale. Le Accademie Musicali, le Università, sono posti ottimi per imparare e provare e, spesso, hanno delle eccellenti biblioteche. Per me, lo studio della musica e il lavoro come musicista si completano l’uno con l’altro. Gli studi musicali differiscono dal resto degli studi accademici: uno studente di musica è spesso anche un professionista part-time, cosa che non accade per uno studente di medicina… nessuno si farebbe curare da un dottore con mezza laurea… È importante per un musicista stabilire relazioni e contatti, suonare in gruppi, già mentre studia. Ed è, perciò, del tutto incredibile vedere alcune scuole di musica che non incoraggiano e, talvolta, addirittura non permettono ai propri studenti di andare in tournée durante i corsi.



JC: Il linguaggio del trio. Tradizione e ricerca personale sui suoni e sulle composizioni. Quale è la combinazione dei diversi elementi nel Joona Toivanen Trio?


JT: La musica che suoniamo e componiamo è fondamentalmente considerata non tradizionale; spesso, nel descrivere la nostra musica, sentiamo definizioni come Nordica oppure stile ECM… in Asia, l’hanno definita addirittura esotica. In ogni caso, noi abbiamo suonato e studiato swing e bebop e le influenze del jazz più tradizionale, inevitabilmente, si sentono nel nostro modo di suonare. Le composizioni che suoniamo sono probabilmente influenzate dalla musica popolare dei paesi nordici e dalla musica classica più che dal jazz tradizionale. Tutto questo, combinato con le improvvisazioni e con la formazione, tradizionale nel jazz, del piano trio, rende un po’ più complicato inserire la nostra musica in un qualche genere particolare… lasciamo a chi ascolta il compito di definire il risultato, il suono della nostra musica.



JC: Voi vivete e lavorate tra Finlandia e Svezia. Cosa vuol dire essere a contatto con due realtà, con due scuole di musicisti…


JT: Andare in Svezia a studiare musica è stata un’occasione per cambiare ambiente incontrare nuove persone. Dopo aver vissuto tre anni a Goteborg, ora vivo a Stoccolma. Le scene jazz della Finlandia e della Svezia hanno molti punti in comune e delle differenze. In Svezia ci sono tre Accademie Musicali di livello universitario con un programma di concerti jazz: Stoccolma, Goteborg e Malmö. La scena jazzistica è molto più diffusa nel paese, mentre in Finlandia molto più centrata su Helsinki. La qualità del jazz nei due paesi è molto alta ma il numero dei musicisti svedesi è più grande… d’altronde la popolazione svedese è molto superiore…



JC: Puoi dirci il tuo punto di vista sulla scena jazz finlandese?


JT: Come dicevo prima, la scena del jazz finlandese è basata su Helsinki. Nella capitale ci sono la Sibelius Academy, la sola accademia di livello universitario in Finlandia, e il Conservatorio Pop/Jazz: molti dei giovani musicisti studiano in queste scuole e, spesso, restano in città dopo aver completato gli studi. Al di fuori di Helsinki, la Finlandia è piena di festival jazz e, in diversi weekend estivi, ci sono tre o quattro festival che si svolgono, contemporaneamente, in varie parti del paese. Il livello dei musicisti jazz finlandesi è alto ma, purtroppo, non ci sono molte band che lavorano insieme, con una stabilità pluriennale. I componenti dei diversi gruppi vengono rimpiazzati e gli stessi musicisti formano gruppi diversi, fanno un disco, un tour e, quando la band muore, più o meno le stesse persone formano un altra band e ricominciano il discorso… Non so se questa sia la strada giusta per lavorare o una maniera di soddisfare la richiesta di cose nuove da parte di festival e club. Ci sono diversi lavori interessanti prodotti dai musicisti jazz finlandesi e i miei preferiti sono quelli che si possono classificare al di fuori del mainstream.