Mauro Grossi – Colori

Mauro Grossi - Colori






Mauro Grossi: pianoforte







Primo lavoro al pianoforte solista per Mauro Grossi, strumentista e compositore già apprezzato in altre occasioni (tra tutte, il suo trio ARS3, con Attilio Zanchi e Marco Castiglioni). Colori è un viaggio dalle mille sfaccettature nell’universo musicale del pianista italiano, attraversando molti dei suoi principali riferimenti musicali: nei dieci numeri che lo compongono, ad esempio, non mancano i riferimenti al repertorio colto (non solo in Bartox, che come dice il nome fa esplicito riferimento al compositore ungherese Bartok) con più di una strizzata d’occhio soprattutto al trattamento dello strumento tipico dell’impressionismo francese, primo su tutti Debussy. Naturalmente, non mancano neanche influenze provenienti dalla storia del jazz: citiamo Tristaura, anch’essa dal nome indicativo per capire quale sia il modello; ma strumentisti come Herbie Hancock, Oscar Peterson e Joe Zawinul (sua la composizione che chiude il disco, Dream Clock) sono altrettanto presenti. Tanto per condire il tutto, ci sono elementi prese da diverse tradizioni musicali, tra le quali particolare rilievo sembra assumere soprattutto quella araba e mediorientale. Infine, tanto per essere eclettici, il disco include A salty dog, una delle canzoni più conosciute dei Procol Harum, nonché uno dei brani più riusciti del disco, con le sue sospese atmosfere jarrettiane.


Il disco è ben strutturato e ben suonato, e non mancano idee musicali interessanti e valide. Tentare di confezionare un disco da solista, si sa, è per la gran parte dei pianisti un traguardo ostico, ma Mauro Grossi è riuscito ad esprimere le sue concezioni musicali compiutamente e con emotività. Senza stancare mai, il pianista nostrano si muove con disinvoltura tra tutti i suoi riferimenti artistici, senza scadere mai nel rischio del kitsch, e anzi sintetizzandoli in modo personale e creativo. Con una precisa concezione armonica e un tocco dello strumento che sono già stati molto apprezzati da pubblico e critica, Grossi riesce effettivamente a tirar fuori dal suo pianoforte tutti i “colori” che compongono la tavolozza di un pittore.