Intervista a Lasse Lindgren

Foto: Rolf Ohlsson









Lasse Lindgren è un trombettista svedese dal percorso sfaccettato: organici poco convenzionali, spesso caratterizzati dalla doppia batteria, una visione orchestrale presente sia nell’esecuzione degli standard che del materiale originale, la ricerca del contrasto come elemento creativo. Siamo partiti da Spirits, tributo alla musica di Maynard Ferguson per entrare nel suo mondo.



Jazz Convention: Spirits è centrato sul suono e sulla figura di Maynard Ferguson. Cosa ha rappresentato per te questo trombettista e quanto ti ha influenzato nella tua carriera?


Lasse Lindgren: Maynard Ferguson è stata la mia seconda grande influenza, dopo Louis Armstrong che mi ha fatto avvicinare alla musica e spinto a imparare a suonare la tromba. A ispirarmi sono il suono, la energia, la forza e, ovviamente, lo spirito di questi due grandi musicisti: hanno cantato un messaggio che mi ha parlato in profondità sin a quando ero un ragazzino e continua ancor oggi. E’ stato veramente importante ascoltare questi due maestri, perché così facendo, ho capito a cosa volevo avvicinare il mio suono sin da quando ho cominciavo. Quando ho avuto la mia prima tromba, ho preso l’imboccatura. l’ho messa sullo strumento e Baaaow!! il suono è arrivato subito, perché l’avevo già pensato e sognato e sapevo esattamente cosa volevo. Da quel momento non ho voluto suonare come loro, ho espresso le mie note, le mie idee musicali, provenienti dalle mie esperienze di vita. Non ho mai cercato di copiare qualcuno: è contro la mia natura… anche se lo spirito discende da loro. Ho ascoltato e sono stato ispirato da Ferguson, intorno ai vent’anni, una sorta di secondo innamoramento, quando vidi un vecchio video con lui e la sua band al Newport Jazz Festival del 1959. E’ stata una vera nuova scossa: suonava in maniera straordinaria, ma il vero choc è stato vedere come stava sul palco. Portava il ritmo con le mani, danzava e dirigeva l’orchestra, incitava ogni musicista, portava alla musica anche un aspetto spettacolare. Per me è stato folgorante dato che già mi comportavo così: sul palco non posso star fermo. Vedere lui era come vedere me stesso sul palco e non lo avevo mai visto prima, non sapevo si muovesse così, quando aveva la mia età. A posteriori, mi rendo conto di come, ascoltando da ragazzo i suoi dischi, ne sia stato influenzato non solo come musicista ma anche come persona. In seguito, per coincidenza ho stretto amicizia con Ernie Garside, il manager di Ferguson: mi invitò a suonare al Wigan Jazz Festival, in Inghilterra e, alcuni anni dopo, dopo la morte di Maynard, mi ha consegnato la vecchia tromba di Ferguson, una Constellation, e mi disse che avrei dovuto suonare con quella tromba. Maynard gliela regalò quando Garside gli mise in piedi la English Maynard Ferguson band nel 1967… ora suono quello stesso strumento che tanto mi aveva ispirato da giovane e l’ho usato in questo CD… Cosa posso dire a parte che per me tutto questo è fantastico? Ovviamente suono anche con la mia tromba Inderbinen ed è davvero, anche questo, un grande strumento.



JC: Una delle principali caratteristiche di Ferguson era il suo dominio totale del registro alto. Come hai lavorato in questa direzione nella realizzazione di Spirits?


LL: Beh, per suonare il repertorio di Maynard Ferguson, come è ovvio, devi suonare su quel registro e devi avere l’abilità per farlo. Ho cercato di interpretare i brani con il massimo rispetto per Maynard, ma alla mia maniera. Alcune volte, come ad esempio in Maria, ho voluto puntare su un approccio completamente differente alla canzone, più vicino al suono del folklore scandinavo e aggiungendo anche delle parti improvvisate all’inizio del brano. Ho voluto suonare questo brano in maniera differente rispetto a Maynard Ferguson: dal momento che non c’è nessun bisogno di una nuova versione del suo modo di suonare e che nessuno può suonare come lui, non volevo fare una brutta copia. Ho sempre cercato di suonare la tromba come se cantassi, come se fosse un’estensione della mia voce: così, quando suono sui registri più alti, penso più a come cantarla che a come tirar fuori una nota dalla tromba, canto, in pratica, e uso la forza del fiato per esprimere il mio messaggio. Come ho detto prima, sapevo il suono che volevo ottenere, ma non ho avuto maestri a dirmi come farlo, così ho dovuto cercare la strada in modo autonomo, cosa che ho fatto sin da quando ero ragazzo e ancor oggi continuo a fare.



JC: Nel disco sono presenti sia i brani di Ferguson che le composizioni che lui amava suonare. Come hai scelto il repertorio del disco?


LL: Ho scelto di suonare e registrare il repertorio che Ferguson suonava dal 1950 al 1970, per mostrare il suo lato più “jazzy” e la musica con cui sono entrato in contatto con lui. Come puoi immaginare, è facile venire etichettati come “high note player” o come qualcuno che urla solamente nella tromba. Io mi considero come un trombettista jazz che suona anche le note alte, non sono solo uno specialista del registro alto e non voglio identificarmi con un particolare stile. Ovviamente dovevamo suonare alcuni dei suoi successi maggiori come Gonna fly now, Maria e Birdland, ma anche brani che amo e che sono meno conosciuti. Brani ai quali potevamo dare la nostra interpretazione e in qualche modo potevamo far continuare a vivere. Devo dire che non è stato facile trovare la mia strada in questo progetto, perché io non sono Maynard Ferguson e non volevo imitarlo: per questo motivo ho dovuto suonare tantissimo questo repertorio fino ad entrare in maniera totalmente partecipe, fino a sentire questa musica come mia e non, al contrario, pensare di essere una patetica copia di Maynard. E’ stato un passaggio necessario prima di poter portare questo messaggio agli ascoltatori e con il più profondo rispetto per Maynard Ferguson.



JC: Nelle note di copertina tu riporti come hai selezionato attentamente i tuoi compagni di avventura. quali sono stati i punti che avevi in mente quando hai creato il gruppo?


LL: In una big band, prima di tutto ci devono essere buoni amici che vogliono divertirsi con la musica e vogliano lavorare in gruppo. Ad esempio la sezione ritmica, pianoforte, basso e batteria devono lavorare insieme. Solitamente chiedo al batterista con chi vorrebbe suonare. Dopo di che penso al suono di ciascun elemento: in questo modo posso metterli nella giusta posizione nella band. Inoltre è importante avere dei musicisti che sappiano guidare le sezioni e con loro scelgo i diversi elementi delle sezioni. In Hip Bop Constellation, invece ho cercato musicisti che ammiro e che provengano da campi anche differenti tra loro in modo da avere una miscela particolare, persone che magari non abbiano mai suonato insieme e che magari non lo faranno in futuro e che probabilmente non avrebbero pensato di fare quello che hanno fatto con me in altre situazione: se funziona, è una soluzione che mi piace molto.



JC: Power Jazz Energy Dynamic Swing: questa la definizione che tu hai dato della big band. Qual è il tuo concetto di big band?


LL: Io sono un uomo pieno di energia e voglio che la mia orchestra sia potente, swingante, appassionante, ma, allo stesso tempo deve anche sapersi mettersi a disposizione dei solisti, deve avere una apertura creativa e libera, muoversi come una formazione piccola dove tutto può accadere e deve saper mantenere un’atmosfera suggestiva e romantica nelle ballad. Rispetto allo standard delle big band che hanno, di solito, diciassette elementi, noi suoniamo in tredici o quattordici: pur avendo suonato alcune volte con la formazione standard, preferisco la line up ridotta: mi rimanda un suono più leggero, ognuno si sente più importante e ha maggiori spazi come solista. Mi piacerebbe poter dire che la band sia stata influenzata da Duke Ellington, Dizzy Gillespie, Count Basie, Kenny Clarke & Francy Boland, Charles Mingus o dalla Maynard Ferguson Big Bands. Ma poi quando suoniamo la mia musica, non so più dire come queste influenze si ripercuotano sul suono e sui brani… forse dovrebbero dirlo gli altri…



JC: Nella Big Band utilizzi due batteristi…


LL: Questa è una particolarita che proviene dalla Hip Bop Constellation. La Big Band era stata concepita per suonare i miei brani come un’estensione della Lasse Lindgren Hip Bop Constellation, ma con più fiati. Dopo di che, quando abbiamo realizzato il lavoro su Maynard Ferguson, ho pensato che dovevamo rendere il tutto un po’ differente e dare alla musica una dimensione ulteriore. Con due batteristi è possibile realizzare diversi livelli ritmici, ad esempio uno può suonare reggae e l’altro swing e l’insieme funziona perché entrambi gli stili sono in qualche modo basati sul groove… lo stesso accade con l’hip hop dove il groove è sostenuto dai tamburi invece che dai piatti. Mi piace perché porta possibilità diverse nella musica e permette di avere anche soluzioni diverse dietro ciascun solista.



JC: La Lasse Lindgren Hip Bop Constellation propone atmosfere diverse. Immagino che le due formazioni siano complementari nel tuo mondo musicale.


LL: All’inizio avevo formato un gruppo chiamato Lasse Lindgren Band, con tromba, trombone, la ritmica e Esbjorn Svensson che ha suonato nella band per cinque anni prima di formare il suo famoso trio. Il quintetto suonava le mie composizioni e ha registrato un solo CD, To My Friends. Abbiamo fatto moltissimi concerti e anche un progetto con Bob Brookmeyer, molto divertente. Bob è stato molto contento del risultato e delle mie composizioni: per me questa è stata una grande soddisfazione visto che amo la sua musica e lo considero uno dei maggiori compositori di jazz. Dal 1992, quando si è sciolto il quintetto, ho suonato quasi esclusivamente come prima tromba in varie big band per i successivi sei o sette anni. La Lasse Lindgren Hip Bop Constellation ormai esiste da più di dieci anni: abbiamo cominciato nel 1998 e abbiamo lavorato molto, suonando in Scandinavia, Germania, Austria, Repubblica Ceca. Abbiamo suonato sia nei festival che nei club e abbiamo pubblicato due cd: il prossimo verrà registrato durante la prossima primavera..



JC: Nella Hip Bop Constellation, chitarra elettrica, pianoforte e sintetizzatori creano una tavolozza sonora molto particolari sia per l’incrocio di elementi acustici ed elettrici sia per la combinazione variegata di armonie


LL: Chitarra e sintetizzatori portano una maggiore ricchezza nelle possibilità armoniche del suono e sono utili e utilizzabili anche come voci nelle linee melodiche insieme a tromba e sassofono. La miscela degli strumenti elettronici mi permette di inserire con naturalezza anche il suono amplificato della tromba e mi piace molto perché crea contrasti. Mettere un solo strumento elettrico in un contesto completamente acustico non mi soddisfa.



JC: Sia nella Hip Bop che nella Big Constellation t proponi con un ensemble ampio ma anche in To my Friends il tuo lavoro a una dimensione orchestrale. Quali sono i tuoi obiettivi come arrangiatore?


LL: Quando compongo la musica, penso che il brano non debba essere solamente un veicolo per le improvvisazioni ma deve avere anche delle qualità proprie e un valore implicito. Lo stesso quando improvviso, voglio muovermi in armonia con la composizione, in modo che l’insieme abbia un suo significato specifico: penso a questo sia dal mio doppio punto di vista, come compositore e come esecutore, ma anche per gli ascoltatori e per il messaggio che arriva loro, cosa che ritengo altrettanto importante. Mi piace scrivere per la mia big band: il mio vero obiettivo e il mio sogno è di poter realizzare un disco dove la mia big band suoni la mia musica e prima o poi accadrà, lo so. Le composizioni sono molto importanti nella mia ottica così come le improvvisazioni e anche le atmosfere: mi piace ad esempio proporre momenti di totale e libera improvvisazione per creare contrasto con le melodie e le parti arrangiate in maniera più formale.



JC: Molte delle tue formazioni si chiamano Constellation. Puoi raccontarci come è nata questa “tradizione”? E in particulare, puoi dirci qualcosa sul nome Hip Bop Constellation?


LL: Il nome Constellation mi è venuto quando, circa 15 anni fa, un venditore della Conn voleva farmi suonare con uno dei loro strumenti: i nuovi strumenti non mi sono piaciuti, ma mi è piaciuto il nome, con una sola “N” e non due come nel nome della ditta. Ora suono con LA vera Conn Connstellation, quella di Maynard Ferguson, e sono completamente innamorato del suono. Dal momento che ho tre gruppi ho voluto dare loro questo nome. Per quanto riguarda Hip Bop… mi piace il ritmo nel jazz, la musica che abbia davvero swing, e mi piace combinare in qualche modo i ritmi dell’Hip Hop con il jazz e anche con il Be Bop: il nome è venuto da questo.



JC: Finora, abbiamo parlato principalmente delle tue formazioni. Passiamo a Lasse Lindgren e, prima di tutto alle influenze che hanno portato alla tua musica…


LL: Mi piace qualsiasi musicista che abbia una personalità forte nel suo suono e nelle sue espressioni. amo la musica classica e compositori come Ravel, Debussy e gli autori russi, ma anche la passione che trasmettono il Flamenco o la musica popolare svedese, che sento risuonare in profondità nella mia anima svedese, con la sua particolare malinconia e i suoi riflessi blues. A queso si aggiunge, come è ovvio, il jazz: già ho detto del mio amore per Maynard Ferguson e Louis Armstrong, ma posso aggiungere anche Clark Terry, Miles Davis, Chet Baker, Clifford Brown, Palle Mikkelborg, Red Allen, Woody Shaw e Freddie Hubbard. Ho amato molto anche alcuni musicisti svedesi come Rolf Ericsson, Jan Allan e Bosse Broberg, grandi musicisti dalla forte personalità nel modo di esprimersi e nel suono. Altre grandi fonti di ispirazione sono stati anche Charlie Parker, Roland Kirk e l’Art Ensemble of Chicago.



JC: Parliamo del tuo suono e del tuo modo di suonare. Nel tuo sito, c’è una foto di te con tutti i tuoi strumenti: credo che molte idee provengano anche dalle diverse attitudini di ogni singolo strumento


LL: Si, ho sempre amato suoni diversi, i colori e i contrasti, come ho detto prima, che possono portare alla mia musica. Amo diversi tipi di percussioni: ad esempio io uso diversi gong cinesi. I gong e gli altri strumenti li ho collezionati nei vari tour nelle nazioni straniere, come ad esempio il didgeridoo australiano, che ha un suono meraviglioso. Mi piace anche che il suono della mia tromba sia differente a seconda di quello che voglio esprimere con la mia musica e posso andare da un sussuro leggero a un tono brillante e chiaro, fino a un suono scuro e potente. Alle volte bello, altre grezzo e cattivo, altre ancora aggressivo: dipende dal messaggio che voglio esprimere



JC: Quali saranno i prossimi passi nella tua musica? Quali le nuove costellazioni da esplorare?


LL: Il mio prossimo progetto sarà registrare sia con la Hip Bop Constellation che con la Big Constellation, all’inizio dell’anno prossimo. Ho abbastanza materiale per realizzare due dischi con la Hip Bop Constellation e, come è ovvio, sono molto interessato a registrarlo. Inoltre, probabilmente, faremo un nuovo disco sul repertorio di Maynard Ferguson e uno con nuove cose, dal momento che Spirits è stato pubblicato anche in Giappone e abbiamo richieste per nuovo materiale. Mi sto organizzando per lavorare quanto più possibile con queste due formazioni in futuro, oltre ai concerti e alle registrazioni come solista in altre formazioni.



JC: Nel tuo sito si trova anche il link a Music Against Violence. Puoi presentare quest’associazione ai lettori italiani?


LL: Music Against Violence è un’associazione di artisti che lavora per un mondo senza violenza. Noi crediamo che la musica sia un alternativa alla violenza, all’oppressione e all’ingiustizia. Ovviamente l’associazione è aperta a tutti coloro che credono in questi principi e sarebbe bello avere anche artisti italiani nella nostra associazione: questo è il sito www.musicagainstviolence.com.



JC: Qual è il tuo punto sulla scena musicale svedese?


LL: Abbiamo una scena jazz vitale e dalla lunga tradizione qui in Svezia, che affonda fino agli inizi del secolo scorso. Non abbiamo subito in pieno le due guerre mondiali e per questo il jazz ha potuto esistere e svilupparsi in pace da noi. Credo che la nostra lingua è molto correlata con i dialetti e lo stesso si può dire della musica. Lo svedese è formato da più linguaggi, gli accenti e l’enfasi non sono all’inizio delle parole ma alla fine: questo porta swing e rende molto cantabile lo svedese. Ovviamente abbiamo dagli Stati Uniti ma abbiamo voci pressoché uniche e proprie della Svezia e della Scandinavia, il suono nordico. Abbiamo moltissimi musicisti di altissimo livello, molti dei quali sono molto famosi in tutto il mondo.