Slideshow. Rita Sannia

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Slideshow. Rita Sannia.


Jazz Convention: Mi racconti il tuo primo ricordo che hai della musica?


Rita Sannia: A mia figlia Sara cantavo spesso Alem Do Amor come ninna nanna. Un giorno mentre la cullavo, forse proprio a causa di quelle sonorità portoghesi così simili alla lingua Logudorese, ebbi un flashback. Un fulmineo ritorno al passato, credo ai mie due o tre anni. Dapprima un vago frame: l’immagine del mio dito che giocherella con un bottone d’oro su uno sfondo di camicia bianca, pian piano il ricordo sempre più nitido di mia nonna Rosa che mi culla cantando una ninna nanna nella sua lingua Logudorese. Non ricordo il suono di quella melodia ma custodisco con molta cura questo mio primo imprinting musicale. In Legatura di Valore, con il libro e con Anninia De Giagia tra i brani del cd, ho avuto modo di rendere sonoro questo film muto, rispondendo al richiamo del mio primo “in-canto”.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una cantante jazz?


RS: Non sono mai riuscita a trovare una collocazione definita per il mio linguaggio musicale. Ad un certo punto della mia carriera ho smesso di chiedermi che tipologia di cantante fossi e mi sono semplicemente chiesta “perché faccio musica”. In Legatura di Valore ho tentato di trovare una risposta cercando quei segni d’esperienza pregni di valore, non necessariamente legati alla musica ma che, nella e con la musica ne hanno tessuto il senso, narrato con il linguaggio dei suoni. Volendo parlare di Jazz e di motivazione, mi viene da pensare a quelle minoranze nere che cantavano le memorie del vissuto africano trapiantato in America. Quei canti che scandivano i ritmi del lavoro e dell’anima in preghiera, erano frutto di una grande motivazione a creare un forte senso di appartenenza verso valori condivisi. Prima sono nati i valori condivisi poi è nato il Jazz. Posso dirti dunque, che ciò che mi ha spinta a diventare cantante è un forte richiamo ad interpretare sfumature d’anima. E l’anima si sa, è un po’ invadente. Se lasci le porte aperte è capace di pescare e mescolare tutto ciò di cui, nel tuo percorso musicale, ti ha fatto innamorare.



JC: Chi sono i tuoi maestri nel jazz? e nel canto?


RS: Il mio primo maestro di sonorità jazz è stato Peo Alfonsi,chitarrista di grande talento che ha curato gli arrangiamenti del cd insieme a Salvatore Maiore e composto due dei brani inediti presenti in Legatura Di Valore. Nello studio del canto ho avuto diversi maestri di impostazione classica e moderna ma il vero “maestro” è stata la passione e la curiosità nell’ascolto di tantissima musica di diverso genere. Nella mia voce riconosco tante voci “maestre”: il calore, la rotondità e la profondità emotiva della voce di Joan Baez, il “giocare” ad esplorare varietà di passaggi timbrici all’interno della tessitura vocale di Joni Mitchell, la ricerca di empatia nelle sfumature dei colori della voce di Billye Holiday, di Ella Fitzgerald, di Chet Baker . La ricerca del fruscio e della leggerezza uniti ad un gusto per una fonetica percussiva quale è la lingua portoghese, nella scoperta della bossa nova Tanto ho appreso però anche dalle voci maschili della West Coast: Simon & Garfunkel, Crosby Still Nash e Young, James Taylor e tanti altri.



JC: Quale resta per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


RS: Sinceramente non ho in mente un solo momento più bello di altri. Mi vengono in mente tantissimi bei momenti .



JC: Tra i dischi che hai registrato, quale ami di più?


RS: Questo, Legatura di Valore, per ora anche il primo. Il primo cd e il primo libro.



JC: Come definiresti il jazz?


RS: Come tutti gli altri generi musicali: un linguaggio. Ritengo tuttavia che il jazz, nella sua evoluzione, abbia a differenza di altri generi musicali, una notevole capacità di “movimento”. La ricerca, lo scambio nell’interazione tra diverse culture musicali ne fanno un linguaggio… in movimento.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


RS: Le idee e i concetti sono astrazioni mentali, qualcosa di esterno alla musica, importanti, ma esterni. L’emozione è invece un qualcosa che “ci tocca” nell’immediato e il sentimento ne costituisce la risposta. La musica che io amo, e non parlo solo di Jazz, deve avere questa caratteristica di domanda-risposta, deve avere cioè il potere di interagire nel qui e ora con il mio evocativo, deve avere il potere di pro-muovermi attraverso le emozioni, in azioni concrete in forma di sentimenti e/o di suoni. Sicuramente la musica Jazz, nelle sue varie contaminazioni, ha questo potere su di me più di altri generi musicali. Riferirti tuttavia dei sentimenti, sarebbe come elencarti tutti i miei “qui e ora”, soggetti a sviluppi o a cambiamenti a seconda del punto emotivo in cui sono entrata in contatto e non necessariamente riferibili ad un intero genere musicale o all’intero repertorio di un singolo artista.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


RS: Se penso al Jazz come un linguaggio in movimento credo se ne possa ancora parlare. È difficile, credo invece, parlare oggi di una identità specifica del jazz poiché proprio la sua linfa lo ha guidato ad arricchirsi nel tempo di molteplici elementi di diverse identità musicali. D’altra parte, se si vuole guardare al nuovo rimanendo ancorati ad un percorso già avvenuto, sia nell’affidare paternità musicali sia nell’intenzione soggettiva dei progetti stessi, va da sé che il movimento si ferma e il risultato potrebbe essere qualcosa di poco autentico.



JC: Come vedi, in generale, il presente della musica in Italia?


RS: La musica italiana di qualunque genere, è stata sempre legata, accompagnata e promossa in Italia e all’estero da grandi etichette discografiche. Ritengo che, attualmente, la maggior parte di queste si siano inserite in una logica di mercato che non lascia molto spazio alle novità. La musica cosiddetta musica “colta” o di un certo spessore compositivo e/o letterario viene presa in carico da ottime etichette, costrette però, loro malgrado, a stare in coda dietro ai colossi del mercato. Il mercato italiano, inoltre, ha acquisito la necessità di offrire elementi fruibili nell’immediato, elementi talvolta esterni ai contenuti musicali. Accade dunque che nuove bellissime voci, nuovi bravi compositori rimangono sconosciuti o relegati all’ascolto di pochi. Per ciò che mi riguarda, ritengo che l’uscita del cd sia un biglietto da visita per consentirmi le esibizioni live, condizione essenziale per chi ha necessità di mostrarsi nei contenuti.



JC: Cosa stai facendo ora a livello musicale?


RS: Attualmente sto promuovendo il libro/cd in concerti ed altri canali di informazione. Tra tutti mi fa piacere segnalare il concerto del 9 settembre a Roma. Sarò finalmente accompagnata dagli arrangiatori e compositori dei brani del cd: Peo Alfonsi e Salvatore Maiore. Nuove collaborazioni e nuovi progetti musicali da quest’autunno saranno rivolti anche all’estero. Per il futuro sto già lavorando ad un nuovo cd sempre arricchito dalla mia passione per la poesia.



JC: Infine, un ricordo di una tua illustre parente e collega, Marisa Sannia…


RS: Due ricordi, uno che apre, l’altro che chiude il sipario. Mio padre minatore, era il fratello del padre di Marisa. Io sono l’ultima di dieci figli. Si viveva una povertà dignitosa e quando Marisa compariva in televisione, nella mia casa aleggiava un’aria di riscatto sociale. Tutti si doveva stare svegli ad aspettare l’esibizione di Marisa. Io avevo sette, otto anni ricordo solo vaghi frame in bianco e nero di questa gentile figura femminile nella remota Canzonissima. L’ultima volta che ho sentito Marisa fu poco tempo prima della sua malattia. Una cordiale telefonata per raccontarle che mia figlia Sara vuole arrangiare, accompagnandosi al pianoforte, Casa Bianca in occasione di una esibizione pubblica. Chiacchieriamo, mi informa dei suoi nuovi progetti e di Rosa De Papel (disco postumo). Sara fa la sua esibizione e con entusiasmo vuole portare la registrazione video a Marisa. Rosa De Papel è ora tra i nostri dischi. Purtroppo il video di Sara della sua performance di Casa Bianca è rimasto a casa.