Luigi Campoccia – On the way to Damascus

Luigi Campoccia - On the way to Damascus

Dodicilune Dischi – Ed275 – 2010




Luigi Campoccia: pianoforte, tastiere

Aziz Senol Filiz: nay

Onder Focan: chitarra

Daniele Malvisi: sax soprano, sax tenore

Rossano Gasperini: contrabbasso

Paolo Corsi: batteria, percussioni






Suoni antichi, tensioni musicali provenienti dai quattro angoli del pianeta, ritmi e atmosfere dalle diverse implicazioni. La strada di Damasco percorsa da Luigi Campoccia è la via dell’incontro e delle possibili implicazioni, della scoperta e del reciproco arricchimento..


La vicenda sonora raccontata in On the way to Damascus nasce dalla convergenza di alcuni elementi solitamente distanti tra loro. Innanzitutto la provenienza geografica di uomini e suoni: la formazione è composta da quattro italiani e due turchi e i loro strumenti abbracciano un arco temporale che affonda nella notte dei tempi per arrivare ai nostri giorni. Il nay, lo strumento di Aziz Senol Filiz, è simile ad un flauto ed è usato nella Persia e nell’Asia occidentale: raffigurato già nelle piramidi egizie e presente nella tradizione dei Dervisci, accompagna la musica sacra turco-ottomana ed è, in pratica, uno degli strumenti più antichi ancora in uso. Come molti strumenti della tradizione orientale permette di suonare note intermedie tra i toni utilizzati solitamente dagli strumenti del mondo occidentale. Sono diversi i musicisti – dall’Europa mediterranea orientale all’Asia – che stanno portando il nay all’interno del contesto jazzistico, soprattutto legandosi alle idee modali post-coltraniane.


I percorsi dei singoli musicisti portano una ulteriore congerie di possibilità espressive: le esperienze nel jazz e canzone d’autore di Campoccia, a lungo collaboratore di Giorgio Gaber; l’approccio chitarristico rivolto alla tradizione del jazz chitarristico di Onder Focan; Daniele Malvisi attraversa il jazz in lungo e in largo, dalle suggestioni etniche alle sperimentazioni di avanguardia; Aziz Senol Filiz muove dalla pratica classica del nay ma, da musicista curioso, si confronta con stili e linguaggi di varia natura; Paolo Corsi, oltre ad un ampio spettro di collaborazioni di livello, unisce l’attenzione del suono delle percussioni etniche, come avviene in questo lavoro, alla ricerca dei suoni elettronici; Rossano Gasperini è contrabbassista dalla grande solidità ed esperienza.


La lunga parentesi sul nay permette di capire come, nel corso delle nove tracce, siano molte le tappe sul percorso che conduce a Damasco: dal dialogo tra sax e nay nell’introduzione di On the way to Damascus alle derive ipnotiche e trascinanti del suo articolato sviluppo; dall’attenzione ai ritmi della danza – come nel tango di Over the carpet o in Cici Kiz, brano tradizionale turco – alla costante intenzione di speziare in maniera reciproca le influenze e le suggestioni dei brani.


Nella costruzione dei temi, Campoccia utilizza la pratica dell’unisono e l’apertura di spazi liberi: diverse tracce si muovono in una dimensione più ampia rispetto al binario tema-improvvisazioni per diventare delle piccole suite dal respiro ampio. La gestione ritmica è varia, sia per la scrittura che per l’intervento di Campoccia, Gasperini e Corsi: anche se, in qualche maniera, rappresenta l’aspetto maggiormente occidentale e jazzistico di On the way to Damascus, si apre naturalmente alle suggestioni provenienti dalle melodie e dai singoli interpreti per contribuire a creare il terreno di mezzo cui tende il lavoro del pianista. Campoccia spesso stratifica le linee melodiche, come nel finale di Middle way e in molti altri passaggi del disco, per variare le atmosfere e utilizza in maniera molteplice l’orchestrazione e la compresenza degli strumenti, dalla struggente Kacsam Bikarip eseguita in duo da pianoforte e nay alle colorate e collettive Oasis e Belly Dance.


L’idea di far reagire insieme elementi diversi è stata certamente già percorsa: resta però affascinante, in generale, l’incontro di mondi “lontani” e la voglia di lasciar scaturire il nuovo dall’utilizzo di materiali esistenti, atavici e presenti in modo vario nelle varie tradizioni. La strada di Damasco diventa, nel disco di Campoccia, il luogo stesso dell’incontro, gravido di soluzioni possibili e di sonorità e rappresenta, più che la folgorazione istantanea, il lavorio lungo e profondo che porta alla soluzione personale attraverso la combinazione di suggestioni e influenze.