Slideshow. Claudio Bianzino

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Slideshow. Claudio Bianzino.


Tra i nuovi talenti del jazz piemontese, Gianni Bianzino, sax alto e tenore, ha suonato per cinque anni nella Civica Jazz Band di Enrico Intra, confrontanodsi con ospiti favolosi qualiMax Roach, Kenny Barron, Bobby Watson, Bob Brookmeyer, Markus Stockhausen e gli iatliani Giorgio Gaslini, Enrico Rava, Franco Cerri, Enrico Pieranunzi, Bruno De Filippi, Gianni Basso. Con la stessa Civica Jazz Band ha registrato il CD Italian Club Graffiti. Bianzino lavora attualmente con il settetto Cascara, la Gianni Virone Orchestra e dirige il 78 giri Hot Ensemble



Jazz Convention: Claudio, partiamo dalla big band che attualmente dirigi, la 78 giri Hot Ensemble…


Claudio Bianzino: Si tratta di un gruppo di musicisti dilettanti che inizia a riunirsi per la prima volta nel 1999 a Costanzana, un piccolo paese in provincia di Vercelli grazie alla guida del geniale Mario Saccagno (1921-2007), un arrangiatore e un grande appassionato di musica che dedica gli ultimi anni della propria vita a questa formazione, inizialmente ridotta a pochi elementi e cresciuta progressivamente nel tempo. Quando, dopo la scomparsa di Saccagno, vengo chiamato a dirigere l’orchestra, decido di mettermi a disposizione di questi fantastici ragazzi che, va detto, non essendo professionisti della musica conservano la capacità di affrontare qualsiasi sfida musicale con l’entusiasmo di chi suona per puro divertimento, cercando nel contempo di dare sempre il meglio di sé. Trovo che l’esperienza di direttore, sebbene non sia la prima, abbia rappresentato per me una bella possibilità di crescita professionale.



JC: Cosa ne pensi della situazione musicale in Italia?


CB: Ci sono delle cose positive: ci sono validi musicisti e ogni tanto si organizzano dei bei concerti anche in zone marginali o poco turistiche. Ho però l’impressione che le occasioni di ascoltare buona musica – fuori dal giro dei festival – siano sempre meno e purtroppo temo che la vitalità dell’ambiente musicale tra i giovani non sia più quella dei ragazzi della mia generazione, ma non è un problema esclusivamente di questa o quest’altra città…



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?


CB: Sono sincero: nel mio caso il motivo è essenzialmente la fortuna. Intendiamoci, sono molto felice di avere potuto accedere, nel mio piccolo, alla conoscenza di cose bellissime come l’arte e la cultura e ringrazio i miei genitori di avermi dato questa opportunità. Sono stato decisamente fortunato, ma se non avessi avuto un padre a sua volta musicista sarebbe stato quasi impossibile. Il problema, la cosa che dovrebbe far pensare, è che un Paese normale non dovrebbe funzionare così… In un Paese normale, tipo quello che era stato immaginato dai nostri Padri Costituenti, qualunque cittadino, in qualsiasi condizione economica e sociale, dovrebbe avere la possibilità di accedere ai livelli più alti dell’istruzione senza spendere un solo centesimo.



JC: Invece…


CB: Purtroppo ci sono troppe persone che non hanno la possibilità di dedicarsi alla musica o a cose del genere. Non solo: per poter accedere alla cultura (cosa ben più importante dell’istruzione e che esula dai titoli di studio) bisogna che qualcuno ti dica: “guarda che esiste anche questo…”. Non solo quindi chi è in situazioni economiche e sociali disagiate non ha accesso alla cultura (e ciò è in totale contrasto con la nostra Costituzione) ma anche chi è miliardario spesso in televisione, per radio o sui giornali non ha mai ascoltato un brano di musica jazz e neanche sentito nominare un musicista come Duke Ellington. Ecco, questo secondo me significa vivere in un Paese “in via di sottosviluppo”.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


CB: Certo! Ha un significato storico e uno culturale. Facciamo un esempio. Supponiamo che Vasco Rossi non esista. I Beatles non sono mai esistiti. I Pink Floyd nemmeno. Ligabue, Jovanotti, San Remo, X Factor. Niente di niente. Riesci ad immaginare uno scenario del genere? Ecco, questo sarebbe oggi il nostro panorama musicale se non fosse mai nato il jazz. Probabilmente ascolteremmo solo polke e mazurche… Tutta la musica che oggi ascoltiamo ha radici lontane e la storia di questa evoluzione è lunga ed avvincente, come tu sai bene. Tutto questo ha avuto inizio quando il primo gruppetto di schiavi catturati sulle coste dell’Africa occidentale arrivò sul suolo americano… Queste cose dovrebbe insegnarle la scuola però…



JC: Ma cos’è per te il jazz?


CB: Il jazz è sinonimo di universalità, è l’esatto contrario della musica d’élite. Mi fanno sempre molto ridere quelli che considerano il jazz una musica d’élite. Vale la pena ricordare che il jazz è nato nel ventre della parte più umile della società americana, è una musica nata nei bordelli dei ghetti neri, tanto per intenderci, mica per le convention degli imprenditori milanesi… Ascoltando i grandi maestri di questa musica ci si accorge che i suoni trasudano tutte le più forti emozioni di un’intera classe sociale fatta di povertà, disagio, ingiustizie e discriminazioni, la quale ha saputo dare origine ad un universo musicale che rappresenta in realtà la più straordinaria forma d’arte degli ultimi cento anni.



JC: Quindi il jazz come antidoto alla musica d’élite?


CB: I musicisti d’élite semmai sono quelli che si occupano solo di musica barocca, o di rap, o di metal e così via. Oggigiorno il musicista jazz è un cittadino del mondo, senza un’unica patria o un’unica religione: ascolta tutto ed è incuriosito da qualsiasi fonte sonora, dall’hard rock al canto tradizionale sardo, dal Festival di San Remo a Bach; poi filtra tutto e di ogni cosa cerca di cogliere determinati aspetti che entreranno a far parte del proprio bagaglio di jazzista e di improvvisatore. In questo senso ritengo che il jazz sia un vero e proprio stile di vita, un modo di essere.