Slideshow. Dario Mazzucco

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Slideshow. Dario Mazzucco.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico Wayne’s Playground?
Dario Mazzucco: Questo è un lavoro di gruppo, firmato insieme da Lorenzo Paesani al pianoforte, Luca Dal Pozzo al contrabbasso e al sottoscritto alla batteria: un omaggio ad un grande della musica del nostro tempo, peraltro ancora in “magnifica” attività. Il disco ha un “suono” che è frutto di un lavoro fatto nell’arco di quasi tre anni. Ci siamo confrontati con musiche di differenti estrazioni, cercando di unificare i repertori – dagli standard jazz alla libera improvvisazione – proprio tramite il “suono” del trio.



JC: Come avete risolto il tributo a un sassofonista con il piano jazz trio?


DM: La costante è stata la melodia! Shorter ha scritto dei brani così melodicamente compiuti ed interessanti da rendere imprescindibile l’approccio melodico. Tutti gli arrangiamenti del disco tengono sempre un “doveroso e rispettoso” contatto con le cellule melodiche dei brani originali. Ci siamo sbizzarriti ad allargarne la forma, a inventare soluzioni armoniche alternative, ed a reinventarne o scomporne l’aspetto ritmico.



JC: Per te meglio il Shorter sax tenore, sax soprano, leader (da solo o con Weather Report), partner (di Miles) o compositore? E perchè?


DM: Shorter meraviglioso, al tenore! Unico nel quintetto di Miles, magnifico nei dischi da leader – JuJu è stato uno dei miei primi dischi di jazz… ma lo Shorter del nuovo quartetto (Perez, Patitucci, Blade) credo sia la perfetta evoluzione e sintesi degli Shorter precedenti! Ho assistito alla loro performance al Bologna Jazz Festival nel 2009 ed è stato incredibile! Il jazz è una musica in movimento ed in perenne sviluppo e Wayne Shorter ne è esempio vivente.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


DM: Alle scuole elementari! Vidi una lezione concerto: mi ricordo ancora che mi vennero i brividi quando sentii suonare il primo accordo!!! Ora sono io a tenere lezioni concerto in giro per le scuole elementari… con molto, ma molto, senso di responsabilità!.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?


DM: Sicuramente la curiosità per un mondo musicale che sotto un unico nome racchiude mondi quasi agli estremi.



JC: E un batterista in particolare?


DM: Sicuramente ha influito l’ascolto dell’intreccio ritmico incredibile – ed all’inizio per me incomprensibile! – che è la base dei primi dischi jazz che ho ascoltato… Elvin Jones coi quartetti di Trane e Shorter appunto.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


DM: Credo di si. Spesso siamo noi – e noi musicisti in particolare – a dare alla parola un significato restrittivo: jazz uguale swing, ad esempio… Ma il mondo del jazz di per se è ricco, interessante, libero ed ha ancora un sacco di cose da dire.



JC: Ma cos’è per te il jazz?


DM: Il jazz è comunicazione: tra i musicisti all’interno della performance così come tra musicisti e pubblico e viceversa. C’era, c’è e continuerà ad esserci un “flusso energetico” che trasporta emozioni in andata ed in ritorno tra chi è coinvolto nella performance – nel live questo è palese. Il jazz è suono così come a contraddistinguere ogni differente genere musicale è innanzitutto il suono… basta “una” nota per capire in che mondo musicale si entra.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


DM: Libertà di espressione e comunicazione… Marsalis descrive il jazz come musica democratica in cui, cioè, ogni membro del gruppo ha diritto/dovere di esprimere la propria opinione per raggiungere un obbiettivo musicale comune…sono in pieno accordo con questo, applicato a qualunque tipo di jazz si pensi, comunque funziona! Ed è proprio da questa interazione che nascono i capolavori!



JC: Come pensi che si evolverà il jazz del presente e il jazz del futuro?


DM: Penso che la musica sia sempre stata specchio dei tempi in cui è nata…siamo una cultura che è destinata all’incontro con culture altre… basta capire che non è un pericolo ma un arricchimento ed il gioco è fatto. Il jazz in maniera molto naturale assorbirà queste influenze e, metabolizzandole, darà vita a qualcosa di interessante, come sempre è stato nella sua storia.



JC: Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


DM: Sicuramente Rome-Istanbul del nonetto capeggiato da Alberto Mandarini, è un disco “vecchio” che se dovessi registrare ora, suonerei in altro modo… ma nel 1999 suonavo così e sono fiero di essere stato parte di quel progetto.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella batteria, nella musica, nella cultura, nella vita?


DM: Devo ringraziare sempre il vercellese Claudio Saveriano, è stato il mio primo insegnante e lo è ancora: l’inizio di tutto! Mi ha fatto conoscere Enrico Lucchini (“Il” Maestro). Sempre tramite lui ho conosciuto John Riley, con il quale tuttora studio. Un caro amico e maestro è Alberto Mandarini: gli devo molto mi ha iniziato a quella curiosità che è parte integrante della mia formazione musicale ed umana. Cambiando città e continuando a studiare, ho incontrato molti altri personaggi di riferimento, ma probabilmente l’ imprinting originale arriva dai primi anni di studio.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


DM: In luglio registreremo nuovamente col Paesani/Dalpozzo/Mazzucco Trio un nuovo album interamente di composizioni originali; al momento è il progetto che mi stimola maggiormente. Oltre a questo seguo numerosi progetti originali con i quali ho registrato o sono in procinto di farlo. Sono spesso a Torino a collaborare con Fiorenzo Bodrato, Carlo Actis Dato ed Andrea Buffa coi quali uscirà un CD a breve. Insomma cerco di rimanere sempre in movimento alimentando la “curiosità” che è base del suonare jazz.