Slideshow. Massimo Colombo

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Slideshow. Massimo Colombo.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico?


Massimo Colombo: Doppia traccia è un progetto dedicato prevalentemente alla composizione, mi piace scrivere come improvvisare, spesso le due tecniche si implementano dando vita a imprevedibili scoperte. Doppia traccia contiene nove Notturni per pianoforte e soprano (al sax soprano Felice Clemente) dal carattere tardo romantico ma con forti contenuti jazzistici, sia dal punto di vista ritmico che armonico. Segue una Fantasia, una forma classica con un discreto sviluppo tematico ma con punti di improvvisazione quasi inavvertibili, possono eseguirla solo dei jazzisti ben preparati tecnicamente, è fuori dalla portata di un musicista classico per i momenti dedicati all’improvvisazione, credo sia un modo diverso per affrontare l’improvvisazione, sicuramente più colto ma lontano dai soliti cliché jazzistici. Segue poi una raccolta di quindici miniature per pianoforte in cui riecheggiano diversi stili. Si conclude con due brani di stampo più jazzistico, tema più improvvisazione sulla struttura ma con forme non tradizionali.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


MC: Ricordo due copertine di dischi che c’erano in casa: L’Emperor, o Concerto n. 5 per pianoforte e orchestra di Beethoven, e una partita di Bach per violino suonata da Yehudi Menuhin, sono stati i miei primi ascolti.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?


MC: Dopo essermi diplomato in pianoforte mi sono reso conto di avere più facilità nell’improvvisazione che nel memorizzare pezzi pianistici, inoltre ho sempre scritto musica e ho preferito di conseguenza sviluppare questa dote in campo jazzistico, genere che ho ritenuto più vicino ai miei interessi. Tutto questo dopo aver studiato per alcuni anni composizione e contrappunto.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


MC: Per i puristi il jazz finisce con l’era dello Swing, per i più “moderni” negli anni ’40, per quanto mi riguarda la definizione di jazzista mi sta un poco stretta. Forse la parola jazz nella musica che si fa oggi non ha molto senso se non per chi continua a seguire i vecchi stilemi.



JC: Ma cos’è per te il jazz?


MC: Il jazz è swing, improvvisazione; Bud Powell e Thelonious Monk, per citare due pianisti che amo, rappresentano per me l’essenza del jazz.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


MC: Penso che il jazz sia libertà di esprimersi, di scegliere, di sperimentare, di rinnovare, cosa non facile in un paese che è rimasto indietro per tutto, anche per la musica, di almeno dieci anni.



JC: Come pensi che si evolverà il jazz del presente e il jazz del futuro?


MC: Sto cercando di capirlo giorno dopo giorno, guardandomi intorno e sperimentando nuovi metodi di scrittura e di approccio alla musica.



JC: Tra i molti dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


MC: Caravaggio: è stata un’esperienza particolare visto la collaborazione con due nomi importanti della scena internazionale, Billy Cobham e Jeff Berlin. È stato registrato molto velocemente, sono quasi tutte prime take, ma l’atmosfera è molto rilassata e la musica è piacevole, l’interplay è incredibile nonostante non ci siano state prove prima della registrazione. È stata una giornata magica, molto emozionante, senza contare che al banco di registrazione c’era anche Miroslav Vitous che ha contribuito al missaggio del disco.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?


MC: Nella vita di un musicista è essenziale incontrare i maestri giusti e da questo punto di vista devo dire che sono stato fortunato. Il mio primo maestro è stato Rino Rebecchi, con lui ho studiato organo per una decina d’anni studiando Bach, ma anche molti brani del repertorio leggero jazzistico – ho iniziato a nove anni. In seguito sono passato al pianoforte con Roberto Bassa, il suo contributo è stato fondamentale per la conoscenza del repertorio pianistico, mi ha fatto leggere migliaia di pagine di musica e conoscere un’infinità di autori, gli devo molto.



JC: Ma ci sono stati anche molti altri “maestri”…


MC: Il salto di qualità per quanto riguarda lo studio sullo strumento è invece avvenuto con Alberto Colombo, un concertista di musica classica, che mi ha aperto le porte alla “conoscenza del suono”, dell’interpretazione e della disciplina che richiede uno studio serio ed approfondito della musica, con lui mi sono diplomato. Per composizione ricordo con affetto Angelo Corradini, mi ha aperto le porte dell’armonia e del contrappunto, una grande personalità. Un altro musicista che mi fa piacere ricordare è un jazzista scomparso da qualche anno, il suo nome è Sonny Taylor, lui mi ha dato i primi rudimenti di jazz e mi ha convinto a fare il salto del fosso. Tutte persone molto umili e simpatiche, che non hanno mai regalato nulla, con loro sono cresciuto, ho amato ed odiato la musica. Sono felice di averli incontrati.



JC: Qual è stato per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


MC: Nel 2009 ho suonato dal vivo al Festival jazz di Padova un Concerto per trio jazz ed orchestra d’archi che il Festival stesso mi ha commissionato, alla fine delle prove generali i musicisti dell’orchestra hanno battuto gli archetti sui leggii in segno di stima, è stato un momento emozionante.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


MC: Suono da parecchi anni con il quartetto di Tino Tracanna che considero uno dei sassofonisti più interessanti che abbiamo in Italia, inspiegabilmente sottovalutato dalla critica. Da qualche anno collaboro anche con Felice Clemente, un allievo di Tracanna, un giovane talento che a mio parere promette bene.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


MC: Ho un paio di progetti in arretrato che mi piacerebbe registrare, il Concerto per trio jazz e orchestra d’archi e una raccolta di 30 brani per pianoforte che ho intitolato Giochi (una parte di questi è già stata registrata da un concertista classico che si chiama Stefano Bigoni). Al momento sto componendo una serie di brani che registrerò sicuramente con una formazione che prevederà anche degli strumenti a fiato, ci sto pensando, magari per l’anno prossimo.



JC: E novità discografiche?


MC: Dovrebbe invece uscire quest’anno un particolare progetto dedicato a Bach, sono tre sonate per organo riarrangiate per pianoforte, clarinetto basso, oboe, soprano e batteria. All’interno sono previsti anche momenti di improvvisazione, è stato interessante collaborare con dei veri maestri della musica barocca (Sergio Del Mastro, Omar Zoboli, Yael Zamir) ed interagire con principi d’improvvisazione diversi, il gruppo si chiama “Bach off beat”.