Paul Motian – On Broadway vol. 1

Paul Motian - On Broadway vol. 1

Winter & Winter – 910 179-2 – 2010




Paul Motian: batteria

Bill Frisell: chitarra

Joe Lovano: sax tenore

Dave Holland: contrabbasso






Il realismo compenserà la perdita: non è cinico affermare che l’anagrafe potrà darci ragione della scomparsa di un’altra spina dorsale del jazz. Classe 1931, il grande Leone d’Armenia (in realtà di nascita e percorsi strettamente statunitensi) è stato celebrato come pilastro di uno storico trio di Bill Evans (insieme all’invece troppo precocemente estinto Scott LaFaro), per poi segnare grandi collaborazioni con pianisti quali Paul Bley e Keith Jarrett e non tardando a definire un suo grande, originale profilo.


Fautore o, più probabilmente profeta di un “porre in libertà la batteria” dai vincoli del ritmo, perseguì con pieno ingegno tale visione imbevuto di una grande visione avanguardistica, ma anche di una strategia estetica poco accattivante, smarcandosi assai precocemente dai percorsi tracciati dagli altrettanto seminali Tony Williams o Elvin Jones, ad esempio, e secondo l’osservazione dei confratelli “battitori”, Motian installava il ritmo “entro sequenze più ampie; liberandosi sempre più dalle pulsazioni regolari per “dipingere” il ritmo, conferendogli autonoma vita e da grande colorista”.


Ampia la discografia, certamente segnata negli ultimi decenni dalle pubblicazioni ECM (culminate nei più recenti Lost in a dream e il mega-quartetto con Haden-Konitz-Mehldau), fissata anche in una delle poco popolari ma eccellenti Montreal Tapes (serialità celebrativa di Charlie Haden a cura di Verve), ma ne rimane in parallelo anche una grande rappresentazione nella fluviale ed eterogenea produzione per la svizzera Winter & Winter.


Per quest’ultima, si faticava a seguire in diretta (ma perfino in differita) la grande cadenza di nuove produzioni e riedizioni, tutte caratterizzate da grande standard di cure e product-management: non sempre di unanime apprezzamento, ma non per questo di poco consistente profilo, ne abbiamo ammirato le statuarie sessions newyorkesi del trio “open” con Potter e Grenadier oltre a vari ospiti eccellenti (Live at the Village Vanguard), ultimamente ricostituitosi con una più “fresca” line-up impegnata sul songbook di Broadway e dintorni; ma il medesimo programma, qui più incentrato sugli autori, qui si palesa in forma di riproposta di una session risalente alla fine del 1988 e appena riedita in rinnovata veste grafica, unitamente a sperimentati partner quali Bill Frisell, Charlie Haden e Joe Lovano.


Esordendo in potente forma con un rocciose frasi di prolungato respiro e che sanno d’antico, il navigato drummer imprime lo slancio ad un sound a tinte forti senza eccessi di massa: aperto dal florido e arcaicheggiante drumming proto-jazz d’attacco (la gershwiniana Liza), che incornicia fascinoso e strutturato soundscape – chiaramente impregnato delle forti personalità dei protagonisti – abitando in controllata disinvoltura le trascinanti forme di pura danza che reinfondono vita a My heart belongs to daddy (a firma di Cole Porter), per congedarsi in sottigliezza e celerità dall’orizzonte dell’ascolto con una So in love alquanto stravolta in spirito e forma, questa più che meritevole incisione torna a risuonare del lunare metallo delle corde di Frisell, vive dell’acida, stranita e sensibile voce melodica del sax di Lovano e degli affondi potenti delle corde basse e dal cuore possente di Haden, e il tutto scandito, sia pur nel suo libero modo, dal drumming scabroso e poco piacione del maestro e dalla sua regia che non ha smesso di osare. È quest’ultimo il definitivo stile che ci consegna alla memoria il grande protagonista, di cui non mancheranno ulteriori e postume produzioni, e da cui possiamo congedarci rinfrancati da queste note e in serenità.


So long, Master…