Foto: Lorenza Cattadori/font>
PercFest 2012.
Laigueglia, 12/17.6.2012
Questo è un racconto di note, non una recensione.
La precisazione non vuole apparire capziosa: ma è pur vero che da qualche tempo si nota particolarmente acuita la querelle tra “critica” e “scrittura”. Dove la prima, quando non si trova necessariamente all’interno della seconda – sia pure per scelta e non per sapere individuale – lascia scaturire un tuonare di pareri e di considerazioni asmatiche sull’importanza del linguaggio ad hoc, del background giornalistico o financo delle frequentazioni personali del critico. Tutto giusto.
Però è anche vero che in mezzo a tutto questo ci sono i musicisti, della cui Arte mi importa molto di più, oppure gli organizzatori di eventi ineffabili come quello che cercherò di raccontare qui.
Il PercFest, a Laigueglia.
Il tutto parte la seconda settimana di giugno. Un periodo quasi simbolico, come una sorta di incipit per tutti gli eventi jazz estivi a venire. Un paese sul mare e piazzette che il mare quasi lo sfiorano. Scale a pioli e molte foto da spargere per le mura del paese: lì Flavio Boltro cristallizzato nella tensione di un assolo, più in là la seduta paciosa di Bollani al pianoforte e prima di entrare nel parterre Rosario Bonaccorso – deus ex machina della manifestazione – che sorride a Gino Paoli. E poi Ionata, Falzone, il ghigno di De Piscopo sopra una panchina popolata di signore divertite, ma soprattutto, sulla piazza, ecco l’immagine bellissima di Naco visto da Andrea Palmucci, decisamente uno dei migliori fotografi di jazz.
Giuseppe Naco Bonaccorso è il magnifico percussionista scomparso nel 1996 in un incidente stradale, a cui questo festival è dedicato da 17 edizioni portando in Riviera concerti e artisti sensazionali in una settimana di jazz totale – tra ginnastica mattutina condotta dai più grandi batteristi italiani e non, ai moltissimi workshop, alle mostre a tema alle jam session notturne in barca – che culmina la domenica sera nella “Notte dei Tamburi”. Altro che critica e lessico tecnico: in questo posto il jazz non lo puoi nemmeno percepire, se non provi a viverlo sul serio.
Ed era anche la stessa idea di Dado Moroni, vero presenzialista e sostenitore del festival, che nella serata in cui presentava insieme al sax di Max Ionata il lavoro del duo sulle musiche di Duke e Strayhorn accennava proprio alla natura diretta e senza barriere del rapporto tra pubblico e artisti, all’atmosfera di vera fusione laddove “in altri festival si respira un senso di divisione, e per il pubblico parlare con un musicista diventa più difficile che avere udienza con Obama…”
Nella prima sera di programmazione, martedì 12 giugno, con la paura del maltempo e conseguente rinuncia al tradizionale spettacolo pirotecnico (poi invece realizzato) la magia aleggiava già osservando il palco. Il bellissimo murales creato dagli alunni del Liceo Artistico di Imperia e un maestoso girasole (poggiato da Linda Bonaccorso ogni sera in un angolo del palco, a evocare la presenza di Naco) erano la perfetta scenografia per il primo dei concerti in palinsesto, dove un sommesso e delicatissimo Giovanni Mazzarino ci regalava note di malinconia mediterranea con In Sicilia, una Suite, insieme al suo quartetto con Max Ionata al sax, Bonaccorso al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria.
Luminosa e particolarmente creativa la serata di mercoledì 13 giugno, sdoppiata in due set: nel primo Luca Mannutza e Lorenzo Tucci con uno dei migliori progetti che si possano ascoltare in questo periodo, Lunar Duo, e a seguire il batterista messicano Israel Varela in un programma davvero intenso spaziando dal flamenco agli stilemi puramente jazz.
Danilo Rea e Flavio Boltro hanno presentato giovedì 14 il loro lavoro Opera, di cui è possibile parlare solo in termini entusiastici: particolarmente in questa serata, dove il dipanarsi dei brani d’opera virati jazz era davvero fluido e “colto” nell’accezione migliore del termine e dove il percorso improvvisativo ha avuto una parte più significativa che in altre esibizioni dal vivo del duo, a dimostrazione dell’efficacia creativa di quel palco, e di quel pubblico. Un’emozione densa nel finale, stemperata all’improvviso dalla calata di Alvin Queen con Dado Moroni al piano e Dino Rubino alla tromba, Nicola Muresu al contrabbasso e Max Ionata al sax: brividi e piedi impazziti, e teste scomposte a seguire il ritmo, e pensieri sorridenti a quanto jazz possa mai esserci, in una serata di jazz…
Esatta dicotomia divertita anche nella serata di venerdì 15. In primis, due tamburi e due sgabelli a creare una scenografia scarna ma densa di promesse. Sul palco Roberto Gatto insieme a quella furia spumeggiante di Han Bennink, ai quali a un certo punto, inaspettatamente, decide di unirsi Dado Moroni al piano. Standard che diventano in quelle mani una cosa altra, e altrove anche noi in platea. A bocca aperta, sfidando zanzare e aplomb. Che meraviglia. Il secondo set, certo non da meno. Inizia con Rosario che presenta il batterista Minino Garay, ed è già spettacolo di per sé. Poi la riunione si conclude con gli altri componenti del gruppo, anzi la “Reunion”: Javier Girotto, con quella sua presenza così pregnante e fragile al tempo stesso, Carlos Buschini al contrabbasso e soprattutto quel Gerardo Di Giusto che non ho timore a considerare uno dei più interessanti pianisti mai apprezzati dal vivo, con un suono così personale eppure denso di rimandi, tra Lyle Mays e i più grandi pianisti jazz e la migliore tradizione tanguera.
Il sabato 16 si fatica ancora di più a trovare un posto in platea (tutti i concerti sono gratuiti, è vero, ma aleggia anche la passione e persino gli abitanti di Laigueglia si lasciano volentieri coinvolgere). Nel primo set Max Ionata con Dado presentano il cd Two for Duke con la performance veramente strepitosa di Dado a contrabbasso e voce. Poi arriva il sound arioso di Sergio Cammariere, e così improvvisamente ci rendiamo conto tutti di essere in una delle prime notti calde d’estate, a un passo dal mare, con qualcuno che canta strofe amorose supportato da una sequela di splendidi musicisti jazz. Che atmosfera. Daniele Tittarelli al sax alto e una superba sezione ritmica con Amedeo Ariano alla batteria, Luca Bulgarelli al contrabbasso e Bruno Marcozzi alle percussioni confezionano un concerto molto apprezzato dal pubblico.
La parte migliore di domenica 17 inizia nel momento del check-sound. Barbara Casini prova un brano dolcissimo insieme al Matteo Scarpettini Trio, mentre qualcuno posiziona le sedie e lì accanto ci sono Eduardo e Roberto Taufic: anch’essi meravigliosi protagonisti dell’ultima serata di festival. In una strada attigua sfilano i coreografici SFOMbatucada, arrivati inaspettatamente non da climi tropicali ma dalla Val D’Aosta. Si aggirano anche i vincitori del concorso per percussionisti “Memorial Naco”, Loris Lombardo e Danilo Raimondo, attendendo tutti di poter chiudere questa manifestazione nel modo che merita: tutti insieme, sul palco, a battere piedi, oggetti e pelli e ricordare Naco.
Proprio tutti, perché i musicisti qui non sono abituati ad arrivare, suonare durante la serata e la mattina dopo ripartire. Qui arrivano a inizio settimana e ripartono quella successiva. È una festa, il Percfest. Niente di meno e niente più di questo. Si ride molto insieme, a volte ci si commuove: ma come una festa, la si realizza per stare insieme. E si attende, con affetto e cura, l’edizione che verrà.