Swiss Jazz. Nik Bartsch Ronin: Live

Swiss Jazz. Nik Bartsch Ronin: Live

ECM Records – ECM 2302/03 – 2012




Nik Bärtsch: pianoforte, piano Fender Rhodes

Sha: sax alto, clarinetto basso

Björn Meyer: basso

Kaspar Rast: batteria

Andi Pupato: percussioni

Thomy Jordi: basso (# Modul_55)





Un monitoraggio ormai regolare delle sue attività, unito ad una certa frequentazione personale, non impedisce di continuare a trovare spunti originali nelle sortite comunicative nel peculiare compositore- pianista zurighese e se le prime battute del precedente Llyria (2010) avevano lasciato percepire tracce di una qualche svolta formale rispetto alla coerente tenuta di stile della band elvetica Ronin, si confermano tuttora solidi e non particolarmente in discussione il soundscape del gruppo e le peculiari visioni strategiche del leader, rinsaldando i contorni formali del piuttosto originale Zen-funk (tra le varie definizioni possibili) della formazione capitanata del pianista Nik Bärtsch, improntate non solo dalle visioni ritmiche e dalle peculiari cellule melodiche, ma in buona parte dalla cultura personale e dallo stile di vita dello stesso, profondamente imbevuti anche nel privato dalle visioni spirituali dell’estremo Oriente.


Niente facili o epidermici orientalismi, comunque, quanto piuttosto un increspato e stimolante post-ambient di spessore (con tutto il legittimo raccapriccio per certe etichette di comodo e mai particolarmente a fuoco): dopo le tre uscite per Ronin Rhythm Records e le successive per ECM, la quarta incisione per la medesima etichetta (quindi la settima nella vita discografica del gruppo) risulta particolarmente illuminante sullo stato della roniniana arte nonché sull’importanza all’accrescimento del feeling nella dimensione in concerto “meditativa ed esplosiva forma di collaborazione” ed “empatia musicale come qualità evoluzionistica” secondo gli appunti del leader e teorico.


Fissando la scelta del materiale su nove brani estratti tra oltre cinquanta concerti, il nuovo Live (dopo l’analoga esperienza del 2003) sembra fissare modalità di accresciuta ampiezza per la dimensione da palcoscenico, che dello stile fortemente ritmato e minimale del gruppo rende maggior ragione nelle sue interazioni sensibili, in particolare del meccanismo “modulare” della progressione esecutiva dei brani, particolarmente adatta alle occasionali performance-fiume dell’ensemble, anche in line-up riveduta e in interazione con suggestivi scenari naturali e ricercate sceno-coreografie.


Permangono infatti molto caratteristici lo studio e l’investimento sul senso della drammaturgia, caricata di un vivido “valore aggiunto” nell’espressione non filtrata in studio, di suo già molto conformata dall’incisivo tratteggio minimal-circolare dei tasti di Bärtsch e dai suoi forti interventi direzionali, dalle frasi dilatate e spiroidi degli strumenti a fiato di Sha (piuttosto tipico il suo insistito ricorso alle note ipergravi e notturne al clarino e sax basso), dai contributi lievi e di colore del metallico arsenale percussivo di Andi Pupato (adesso non più nella band), fortemente incisa dall’instancabile altorilievo di groove del polso fermo e marcato del batterista, e partner della prima ora, Kaspar Rast, (decisivo peraltro nel sequenziale i passaggi modulari entro il singolo brano) nonché dalle linee circolari e dallo spirito sognante del basso elettrico dell’uscente svedese Björn Meyer, che nella conclusiva track cede il testimone delle note basse a Thomy Jordi, che nel limitato spazio espositivo si lascia notare per il disegno ritmico-melodico.


«Creare il massimo effetto con il minimo di mezzi», motto di suggestiva modestia di Bärtsch, non esprime alla lettera l’esperienza del presente ascolto, stanti le consistenti e sostenute increspature di soundscape già dall’iniziale Modul 41_17 fondata su propulsioni piuttosto implacabili e sovrapposizioni geometriche, l’atipica dimensione “dance” di Modul 35 e via “modulando” lungo un’esperienza sonora partecipativa che ulteriormente rinsalda i suoi tratti fondamentali ma che nel presente, articolato Live dimostra come l’ensemble sembri aver guadagnato una tangibile, ulteriore quota di ariosità e insieme dinamismo.


Anche i numerosi video ormai da tempo diffusi in rete offriranno un’idea dell’elaborato suono roniniano, l’iteratività esplorativa, le agitate melanconie, le ritualità sonore febbrilmente spese, marchi di fabbrica a questo punto definiti e piuttosto inconfondibili, prodotto di una mente evidentemente sgombra dal fardello delle assimilazioni e che persiste nella coraggiosa progettualità di un tratto originale per segni e catturante per visione d’insieme.