Biondini/Godard/Niggli – Mavì

Biondini/Godard/Niggli - Mavì

Intakt Records – CD 226 – 2013




Luciano Biondini:fisarmonica

Michel Godard:tuba, serpentone, basso elettrico

Lucas Niggli: batteria, percussioni





Speditamente devoluto alla serialità, il catturante trio italo-franco-elvetico rinsalda la sua effervescente musicalità in questa appena licenziata uscita che non funge certo da mero gettone di presenza quanto da palese e coerente prosieguo dell’espansione delle geografie e degli stilemi sonori, da essi già operata nella precedente esperienza in trio, ma in misura certo ben più articolata ed ampia nei rispettivi curricula individuali.


Aprendosi di nuovo all’insegna della solarizzata luce della musicalità di getto, il sequel, temporalmente molto prossimo al seminale album What is there what is not, schiva alquanto l’impantanatura entro il cliché – i tre, peraltro, continuano ad importare non solo i frutti delle variamente colorite e vissute esperienze individuali: la dimestichezza con l’instant-performing di Niggli, il free e i non del tutto antitetici materiali “antiqua” praticati da Godard, la multiforme sensibilità melodica di Biondini sono tutti punti di forza che consentono di scavalcare le reminiscenze immediate, e con Mavì erompe dunque in corsa, all’impronta del sorriso (e formalmente “più in jazz”) il neo-trio; i fiduciosi, picareschi umori della marcia Dreaming Dreamers pongono a fuoco il valore dello spirito dell’incontro, il passaggio astratto, “tutto free” Black Eyes, a firma di Niggli, palesa la levità di certo approccio all’improvvisazione, e se il trattamento della “cover” di Haendel Lascia ch’io pianga può apparire macchinoso e d’eccessive densità, di quest’aria si coglie però il patetismo e il crepuscolare intimismo; l’effervescente elaborazione da Toots Thielemas (innervata dal tema “uncredited” del bachiano Clavicembalo ben temperato) esprime e ottimizza il dinamismo della filante intesa fra i tre, e la conclusiva Trace of Grace si staglia con meditativo distacco e robusto lirismo ben alta sul valore di qualunque “problematica” linguistica in musica.


Luciano Biondini si conferma vivace praticante dello strumento a mantice, piuttosto liberato dal passivo retaggio folk di cui non rivolta l’intima e coinvolgente cantabilità, non lesinando su efficaci, suggestive pennellate di melodia euro-centrica; dal canto suo, lo stantuffante, ponderoso Michel Godard è stato un precoce curioso del free, parallelamente investito anche nel recupero del serpentone medievale e della musica antica, operando una personale e rischiosa sintesi tra strumenti del passato e forme jazz, apportando densa strutturazione e colore bandistico, ma anche humour pigmentato e trascinante, piegandosi a laceranti ed espressive “vocalizzazioni” timbriche, facendo di questo strumentista il componente forse più aperto al lato sperimentale, così come le mobili architravi percussive del performing ipercinetico, asciutto e di Lucas Niggli, abile e ardimentoso nel tessere cangianti tappeti di trame fittamente grezze.


Poco intuitivo, invece, che il titolo Mavì si riferisca a quella particolare tonalità di blu che è propria della quota oceanica del nostro pianeta osservato dallo spazio: del rapporto tra la lucentezza del nostro mondo e l’interfaccia con le sfere celesti, il trio non tratteggia forme enfatiche o stati contemplativi a perdere – sembra che invece essi vogliano darne una personale rappresentazione entro una sensibilità umanistica all’insegna di una musicalità d’esteso sentire e un gusto del mixing che, ripetiamo, sorvola le barriere linguistiche, confermando di se’ e riplasmando, il marchio di fabbrica di una visione ampiamente trasversale che dell’intercambio di vedute in musica concretizza, con sapienza e colore, un’esperienza viva.