Il riconoscimento del Diritto d’Autore sulle Improvvisazioni Creative

Foto: Fabio Ciminiera










Il riconoscimento del Diritto d’Autore sulle Improvvisazioni Creative.

Incontro con Luca Ruggero Jacovella

Luca Ruggero Jacovella si è fatto promotore come coordinatore nazionale di SOS Musicisti di un appello/petizione per giungere al riconoscimento del diritto d’Autore sulle improvvisazioni creative. L’argomento naturalmente non è di esclusiva competenza del jazz, ma è chiaro come l’ambiente jazzistico sia il più immediatamente coinvolto da questa iniziaitva. Jazz Convention ha incontrato Jacovella per cogliere le tante sfaccettatutre di una quesitne tanto importante e le basi teoriche e giuridiche dalle quali prende le mosse la richiesta di rivedere alcuni dispositivi del Regolamento Generale della SIAE per fare in modo che venga corrisposto il valore completo al processo creativo dell’improvvisazione e al percorso che porta ciascun musicista a sviluppare il propio linguagio.



Luca Ruggero Jacovella: L’argomento è vecchio ormai di venti o trent’anni; mentre in Francia la SACEM prevede questo diritto già dall’82 e hanno scritto uno statuto specifico per gli improvvisatori, come tutelarli: in Francia sono all’avanguardia. In Italia ci hanno provato in tanti – Paolo Damiani, Rita Marcotulli, l’AMJ – ma purtroppo non ci sono riusciti. La mia riproposizione nasce da uno studio che ho compiuto sulla teoria audiotattile del musicologo Vincenzo Caporaletti. Nel porre il focus sulle differenze tra musiche scritte e musiche audiotattili, ho visto come queste ultime non usano il medium della scrittura come medium principale ma usano, come testo codificante, il disco e la registrazione. La fissazione dell’improvvisazione su supporto sonoro, che Caporaletti definisce “codifica neoauratica”, è veramente il testo su cui si è fatta la storia e lo studio del jazz. Una volta compreso che anche nel jazz c’è il testo, che le improvvisazioni si fissano su un supporto, perché non farle riconoscere come opera? Per la SIAE, con una logica derivata e applicabile alla musica cosiddetta “classica”, vale solo la partitura scritta. La SIAE stessa prevede due eccezioni, per la musica elettronica e per la “musica concreta”: due generi però sempre appartenenti all’evoluzione della musica “classica”, denotando con ciò una concezione rigidamente “eurocentrica”, e sinceramente piuttosto datata.



Jazz Convention: Questa cosa la vorresti come eccezione o come regola? Il tuo protocollo si accontenta del fatto di entrare come eccezione oppure vuoi che venga riconosciuta alla pari del deposito su partitura…


LRJ: Ho studiato anche gli ordinamenti negli altri stati. In Gran Bretagna, ad esempio, l’opera si può depositare in qualsiasi modo, vale a dire su partitura o su supporto. Anche all’estero si sono posti il problema della trascrivibilità della musica. Come eccezione o come regola? Non credo sia rilevante. Nel regolamento SIAE si legge che le opere si depositano su partitura, salvo per la musica elettronica e quella “concreta”, come dicevamo prima; a queste si potrebbe aggiungere anche il jazz. Il punto è che quando io parlo di supporto sonoro, non parlo del disco fatto in studio quanto della registrazione del concerto. La SIAE prevede due tipi di “programma musicale” per la dichiarazione delle opere eseguite dal vivo e la conseguente esazione del diritto d’autore: quello relativo ai “trattenimenti/concertini”, dove non viene operata la ripartizione analitica del diritto d’autore, e quello per i concerti, dove questa viene effettuata. In un concerto di jazz dove si sono suonati standard, la ripartizione (analitica) andrà a consegnare i diritti ai vari Gershwin, Porter e Van Heusen, mentre sappiamo benissimo che in una performance jazz la percentuale di tempo in cui i musicisti sono impegnati nell’improvvisazione è molto presente. Io sono partito dalla possibilità di concepire la registrazione di un concerto dal vivo come un’opera tangibile. C’è un inconveniente, però: il nuovo regolamento generale della SIAE, approvato a marzo 2013, non consente più il deposito retroattivo, mentre prima era possibile depositare un brano eseguito un mese prima e quindi percepirne i diritti. Se anche ammettessimo perciò il deposito del supporto sonoro, l’improvvisazione sarebbe per forza destinata ad essere depositata dopo la sua esecuzione, e quindi, allo stato attuale delle cose, non verrebbero pagati i diritti.



JC: Un fatto che mi viene spontaneo pensare è che già con la varietà odierna dei programmi (borderò) in uso, la situazione è abbastanza complicata. L’aggiunta dei supporti renderebbe il tutto ancor più complesso…


LRJ: Una complicazione tecnica, in cui non entro. Il mio punto è la questione del principio. In Francia, da quello che si capisce, per le improvvisazioni su opere di pubblico dominio, ad esempio, non viene richiesto il supporto sonoro: se viene eseguito un brano di pubblico dominio, vale a dire oltre i settant’anni dalla morte dell’ultimo avente diritto, la SACEM riconosce, nel caso dei jazzisti, due dodicesimi agli improvvisatori; in questo modo vengono distribuiti un milione e mezzo di euro all’anno. E tale importo è destinato a crescere anno dopo anno.



JC: Insieme alle difficoltà tecniche e alle questioni di principio ci sono i meccanismi di funzionamento della SIAE stessa…


LRJ: La SIAE non è un organismo super partes, non è un Ministero della Cultura che può dire in maniera terza cosa è o cosa non è cultura. Vi sono gli interessi economici degli stessi membri e, ai suoi vertici, troviamo i membri più potenti, visto il meccanismo elettorale che conferisce un voto per ogni euro guadagnato. Le grandi edizioni, i grandi autori sono per forza di cose i più rappresentati. Quando presentiamo questo testo, andiamo a dire che i soldi provenienti da un concerto non andranno tutti ai vari Gershwin, Porter e, di conseguenza, agli editori che ne detengono i diritti, ma anche agli improvvisatori che eseguono in maniera creativa i brani.



JC: Uno dei tanti problemi – sia tecnico che giuridico – è il fatto che non ti puoi presentare il giorno dopo con il cd perché non viene riconosciuto con il nuovo regolamento. In realtà già con i programmi cartacei di oggi, se il concetto venisse approvato, basterebbe segnare sul borderò, insieme ai pezzi eseguiti, quanto tempo si è dedicato all’improvvisazione. In fondo la compilazione del programma è una autocertificazione…


LRJ: Salvo la prova contraria dell’agente SIAE che dovesse assistere al concerto e non riconoscere la validità della lista stilata dai musicisti. Nei nostri programmi color blu c’è il minutaggio: se suoniamo Summertime e indichiamo dieci minuti per l’esecuzione, già questa cosa contiene la prova di quanto stiamo dicendo, visto che il tema potrà durare un minuto, due minuti al massimo: il resto è la nostra improvvisazione. Oltre alla questione tecnica, l’equiparazione tra opera testuale e registrazione, c’è una seconda questione di principio. Viene dal Decreto stilato dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca nel 2009 in cui vengono contemplate “le peculiari esigenze poste dalla creazione estemporanea” ad individuare “le specificità del performer creativo, in un contesto espressivo in cui vige la preminenza del gesto sul testo.” Il MIUR riconosce il valore dell’improvvisatore…



JC: Questo testo offre una chiave per dare il giusto valore alle tante possibilità di interpretare lo stesso brano secondo modalità espressive diverse, legate più o meno alla tradizione o alle spinte più radicali e va ancora più alla base del problema, punta al concetto filosofico di improvvisazione più che alla figura dell’improvvisatore…


LRJ: E infatti mi sono detto: “Ma come? Il Ministero laurea i musicisti che vanno ad improvvisare e questo lavoro non viene riconosciuto?”



JC: Come state portando avanti questa campagna? C’è stata la raccolta firme su internet e ho visto diverse iniziative in rete.


LRJ: Ieri ho spedito la raccomandata a Gino Paoli, divenuto nel frattempo presidente della SIAE, con la raccolta delle firme. Ha appoggiato l’iniziativa anche l’ACEP, l’Associazione degli Autori Compositori e Piccoli Editori, che adesso siede con un suo rappresentante nel consiglio della SIAE che, ricordo, è un “ente pubblico economico a base associativa” e risponde, in qualche modo, a un organo di controllo dipendente dal MiBAC. Torno a ripetere, le implicazioni nel discorso sono molteplici. Il riconoscimento dell’improvvisazione estemporanea come opera, un problema concettuale – musicologico, il regolamento generale della SIAE, il manuale di applicazione del diritto d’autore, non nomina il jazz e quindi non contempla le sue specificità: in questo modo concepisce il deposito dell’opera solo in senso antecedente alla sua esecuzione. Ma l’improvvisazione, essendo imprevedibile, non può essere depositata prima.



JC: La mancanza di una tecnologia come quella di oggi, che consente di riprendere fedelmente i brani, la mancanza di un testo giuridico come quello del MIUR e la mancanza di una coscienza di classe da parte dei jazzisti e dei musicisti in genere, hanno fatto in modo che le precedenti iniziative non avessero successo. La scorta tecnologica e quella giuridica ti fanno pensare che questa possa essere la volta buona?


LRJ: Innanzitutto conto sul fatto che il momento storico sia favorevole. Il testo del MIUR parla chiaro: si stabilisce il valore intrinseco di un improvvisatore, e cosa va a fare un improvvisatore quando suona dal vivo? E poi il fatto che, oggi, Gino Paoli, il presidente della SIAE, stia vivendo grazie al jazz una nuova fase della sua carriera, appoggiandosi al valore di un grande improvvisatore come Danilo Rea, dovrebbe portarlo a considerare con un occhio più favorevole questa nostra iniziativa.



JC: Lo stesso Diploma di Conservatorio è diventato una Laurea,nel frattempo…


LRJ: Certo, afferma ancora una volta il fatto di stabilire, come deriva dal lavoro di Caporaletti, il valore del “gesto” (inteso come medium somato/psichico formativo della musica audiotattile) sul testo (scritto in maniera tradizionale). Ci sono poi diverse questioni teoriche. Il diritto d’autore è personale e non collettivo: il programma che conosciamo oggi in Italia riporta solo il direttore dell’esecuzione, mentre quelli francesi riportano oltre a quel nome anche tutti gli improvvisatori ed arrangiatori presenti.



JC: E questo, seguendo il ragionamento burocratico, una volta che si esibisce una formazione escluderebbe alcuni se non fossero già precedentemente iscritti alla SIAE come autori? Come conseguenza potrebbero esserci nuovi autori iscritti alla SIAE?


LRJ: Domanda legittima anche se già operativa, da per scontato che la cosa venga approvata. Un altro problema – non rientra nella stessa tematica ma è comunque legato – è il fatto che spesso i concerti di jazz nei club rientrano nei permessi per “concertini” sui quali non avviene la ripartizione analitica, ma i diritti vengono perlopiù ripartiti statisticamente tra coloro che vengono maggiormente eseguiti: autori ed editori che prendono le loro giuste spettanze quando vengono eseguiti, e che le prendono anche su questi concerti non soggetti al calcolo analitico. La SIAE, dobbiamo ricordare, è un ente economico e ragiona in termini economici. E, in questo senso, la mancanza dell’attitudine dei musicisti a fare sindacato non ha portato mai ad avere un contraltare, un soggetto che facesse valere i propri diritti.