Slideshow. Aldo Brizzi

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Slideshow. Aldo Brizzi.


Jazz Convention: Aldo, a febbraio 2013 avevi diretto l’orchestra per Caetano Veloso al Festival di Sanremo, ma, già molti anni prima, sei l’unico italiano, a memoria d’uomo, ad aver pubblicato un disco tutto tuo in Brasile con musicisti locali: ci racconti?


Aldo Brizzi: È un racconto lungo… nel 1998 Augusto de Campos, un poeta tra i più profondi e creativi che il Brasile ci abbia regalato, scrive proprio in quell’epoca un’articolo sulla Folha de São Paulo sul mio disco The Labyrinth Trial e lo intitola “Brizzi do Brasil” (è un gioco di parole: brizzi in Brasile si pronuncia quasi come brisa, che significa “brezza”). Con sensibilità e intuizione felicissima Augusto, parlando del mio lavoro di allora (brani di musica contemporanea aperti alle nuove geografie ritmiche afro-latino-americane), dà l’avvallo alla sua continuazione nel campo della canzone.



JC: Quelle brasiliani dunque erano le tue prime composizioni “leggere”?


AB: Sì, si tratta in realtà delle prime canzoni scritte in vita mia, dopo aver scritto lavori sinfonici per grandi orchestre, quartetti e brani per teatro d’avanguardia. Ero rimasto colpito dall’energia propulsiva della percussione afro-baiana e dalla contemporaneità di canzoni come quelle di Caetano Veloso e avevo in mente di fare un disco che raccogliesse tutte queste nuove frontiere, almeno per me.



JC: E quindi?


AB: Ne parlo agli amici e mi ritrovo un disco solo cantato da ospiti: Caetano Veloso, Gilberto Gil, Teresa Salgueiro (quando ancora cantava con Madredeus), Tom Zé, Arnaldo Antunes, Carlinhos Brown e molti altri. È stata un’esperienza bellissima e la qualità degli interpreti e musicisti mi hanno dato la possibilità di mettere a fuoco l’obiettivo del disco: l’energia ritmica afro-baiana e la modernità della musica dei chansonnier più sensibili del Brasile.



JC: Eri partito dalla neoavanguardia e dalla postdodecafonia, ora sei un alfiere di una sorta di nuovo jazz brasiliano; a cosa il cambiamento?


AB: Beh, ho avuto esperienze importanti con la musica brasiliana, e continuerò ad averne, ma ciò che m’interessa è la Musica, come linguaggio universale. Le avanguardie stavano diventando ammuffite, senza null’altro da dire che non il parlarsi addosso. Il mondo che continua a girare. Ho dovuto trovare altre forme per esprimere la contemporaneità e sentirmi così più a mio agio nella storia: cioè, da dove provengo e dove vado.



JC: Vivere in parte in Brasile e in parte in Italia: che differenze noti nel fare musica e nell’organizzazione musicale?


AB: Alla stessa domanda sul fare musica in Brasile, dieci anni fa avevo risposto: «La capacità di vivere il sogno come fosse realtà, incurante dell’ambiente circostante.» Oggi, a situazione economica rovesciata, non potrei dire la stessa cosa dell’Italia, dovrei sostituire la parola “sogno” con “incubo”.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista?


AB: Perché quando ascoltavo musica da ragazzo immaginavo sempre qualcosa che volevo ascoltare ma che nessuno aveva mai scritto. Ho dovuto farmela da me, qualcuna di queste musiche e suoni che volevo ascoltare, e per arrivarci ho dovuto studiare e praticare tanto…



JC: Ma cos’è per te la musica?


AB: La musica è un elemento circondato dal silenzio che ti fa dimenticare te stesso e così facendo ti aiuta a conoscerti meglio. Poi c’è la musica da festa, che è un’altra cosa. Nulla in contrario, adoro fare festa, ma questa non è arte, non ti trasforma, è un ponte per la comunicazione sociale ed ha una sua perfetta funzione.



JC: Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


AB: Brizzi do Brasil ovviamente e quello nuovo che dovrebbe uscire tra poco, Reis Project.



JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?


AB: L’integrale dei Madrigali di Gesualdo da Venosa, in LP, un’edizione italiana degli anni Settanta diretta da Angelo Ephrikian. Il Don Giovanni nell’edizione dal vivo da Salisburgo dei primi anni Cinquanta diretta da Furtwaengler. Tutto Michelangeli, tutto Celibidache. I primi tre dischi di João Gilberto (quelli con Jobim come arrangiatore, oltre che come compositore) e Amoroso, sempre di João. Embraceable You con Chet Baker. Gli ultimi dischi di Henry Salvador.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?


AB: Giacinto Scelsi e Celibidache.



JC: E i musicisti brasiliani che ti hanno maggiormente influenzato?


AB: Sicuramente Caetano Veloso, per il suo approccio “cinematografico” con la musica e la poesia per musica (le lyrics).



JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


AB: Non saprei, potrei citarne alcuni: quando gli archi della Filarmonica di Berlino hanno eseguito un mio pezzo e alle prove mi hanno chiesto di dirigerlo. Oppure la prima di Mambo Mistico un musical che è rimasto in cartellone a Parigi alcuni mesi. Oppure l’esecuzione di Endless Trails a Bombay, al world social forum. Davanti a 3000 persone rappresentanti circa 50 nazioni. Ma forse l’esperienza più marcante è stato il concerto alle Piramidi di Teotihuacan, in Messico, un’esperienza trascendente.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


AB: A parte Reis, diciamo che dipende dal progetto. Si deve cercare le persone giuste in funzione del progetto, non sono solo musicisti, possono essere artisti video, coreografi, scrittori, pittori…



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


AB: È quasi pronto il nuovo disco (e concerto live) Reis Project, con la brasiliana Reis. Reis Project è basato sulla musica degli anni Sessanta (bossa nova e dintorni). Il landscape sonoro è elettronico mentre la voce preserva integralmente la melodia e forma originali. Dove queste versioni più sorprendono per novità e temerarietà, più evidenziano la profondità dell’originale e forse più. La voce è stata registrata negli studi INA-GRM (Radio France) a Parigi.



JC: Trattandosi di questi studios ha usufruito di nuove tecnologie?


AB: La modalità di registrazione comporta una novità peculiare: l’estremo “non trattamento” della voce e dei suoni elettronici. Non è stato usato alcun processore di effetti e nessun plug-in o correzione artificiale (neppure l’equalizzazione o riverbero per la voce) sia durante la registrazione sia in post produzione. La voce e gli strumenti virtuali sono stati registrati direttamente dalla sorgente al “nastro” digitale. L’emissione vocale si è così modulata e integrata naturalmente nel feedback acustico del mitico (e mistico) Auditorium 106 del GRM. Quindi diciamo che è un album “senza” musicisti e “senza” tecnici del suono (sorride – n.d.r.).



JC: E “domani”?


AB: E per il 2014 stiamo lavorando a un grande progetto d’opera con partecipazioni importanti, ancora legate al Brasile ed ai suoi protagonisti eccellenti, che riveleremo a suo tempo.