Foto: la copertina del volume
60 jazzisti: Gian Nissola intervista Guido Michelone
Jazz Convention: Guido, hai da poco pubblicato il volume 60 jazzisti e hai voluto presentarlo in occasione del Jazz Day di Vercelli: perché proprio in questa, peraltro notevole, occasione?
Guido Michelone: Secondo me, Gian, è una data importantissima, che di sicuro crescerà nel tempo; in fondo è solo dal 2012 che si festeggia la Giornata del jazz grazie all’UNESCO; e mi sembra che quest’anno nei 195 Paesi aderenti all’iniziativa si sia fatto molto, ovunque; a Vercelli, la mia città (dove vivo e scrivo) ho voluto anch’io onorare questa idea, visto che non ci aveva pensato nessuno!
JC: E hai scelto un locale storico per la città?
GM: Sì, il Caffè Cavour nell’omonima piazza, in pieno centro storico, non solo è uno dei bar più antichi ma è anche il locale dove suonò addirittura Kenny Clarke per pochi intimi, un azzardo tentato dall’allora esistente Jazz Club vercellese. E non ho scelto solo musica dal vivo per il nostro Jazz Day – tra l’altro il bravissimo Rota Trio composto da giovanissimi – ma anche la presentazione di un libro, non tanto perché è un mio libro, ma perché è qualcosa che ho scritto con l’idea di fare amare il jazz a tutti, dai giovani agli anziani, dai neofiti ai puristi.
JC: E infatti proprio sul purismo tu vai in controtendenza nel senso che in 60 jazzisti ci sono anche alcune scelte azzardate che in apparenza non c’entrano nulla con il jazz, vero?
GM: Beh sì, alcuni non sono jazzisti veri e propri come Ray Charles, Eric Clapton, Scott Joplin, Robert Johnson o Amy Winehosue, ma questi sei artisti, solo per citare quelli che mi vengono subito in mente, hanno anzitutto a che fare con la black music – alcuni con il soul altri con il blues o il ragtime o il rock – però tutti esprimono una “jazzità” di fondo che talvolta mancano persino in certi blasonati jazzisti.
JC: Quali per esempio?
GM: Eh, non vorrei fare nomi, ma certi sedicenti hardboppers italiani di oggi mi sembrano talvolta privi di qualsiasi anima veramente jazzistica, pronti solo a svolgere un compitino perfettino, ma non vorrei ora fare polemiche e rimanere sul libro.
JC: Certo, allora ti chiedo subito il perché di questo libro in apparenza difficile da capire nelle scelte. Cominciamo dal titolo e dal sottotitolo 60 jazzisti, sessant’anni di swingers, bluesman, boppers, freemen, crooners?
GM: Il numeri del titolo – 60 e sessant’anni – fanno riferimento a un triplice compleanno: innanzitutto nel 1954 nasceva a Valenza in provincia di Alessandra l’Associazione Amici del Jazz (con la quale collaboro da due-tre anni) che sponsorizza il libro e alla quale io dedico il finale, elencando tutti i musicisti che hanno suonato a Valenza, dove gli organizzatori efficientissimi sono ancora gli stessi dell’epoca, ieri avevano vent’anni, oggi ottanta.
JC: E poi c’è il compleanno dell’editore?
GM: Sì, Mariano Settembri, direttore editoriale della milanese Lampi di Stampa, con cui lavoro da dieci anni esatti, compie quest’anno sessanta’anni, come del resto li compio io: ecco il terzo compleanno: il 16 dicembre 2014 per me saranno sessanta primavere… E vorrei festeggiarle in questo modo con il jazz che mi appartiene fin quasi dall’infanzia.
JC: Non a caso nel libro ho notato che c’è anche un sessantunesimo jazzista, Nino Michelone, che è tuo padre…
GM: Sì, ho voluto fargli questo regalo postumo – mio padre è mancato il 2 luglio 2012 a 90 anni e quattro mesi – non perché fosse chissà quale jazzman – si limitava a strimpellare il pianoforte e a canticchiare fin da giovane in pubblico per pochi amici, alla Nat King Cole – ma per il fatto che i ha introdotto lui a questa musica, a cominciare dal primo giradischi acquistato, era un fonovaligia, ed era il 1961: il primo disco acquistato fu un 45 giri di Frank Sinatra con September In The Rain, a cui seguirono LP di Louis Armstrong, Lionel Hampton, Woody Hermann, il fondamentale doppio antologico I Grandi del Jazz a cura di Franco Fayenz.
JC: A parte Nino Michelone chi sono gli altri musicisti presenti?
GM: C’è un po’ di tutto, vecchi e nuovi, famosi e sconosciuti, bianchi e neri, americani ed europei, l’elenco è lungo, ma ne ho messo uno anche in ordine alfabetico già in quarta di copertina, per meglio orientarsi.
JC: Lasciamo allora ai lettori il gusto della sorpresa, però dimmi quali sono i criteri che ti hanno ispirato a pubblicare questo libro.
GM: Hai detto giusto “pubblicare” e non “scrivere” perché 60 jazzisti è il frutto di un’attività quarantennale (e per costanza, direi, trentennale) in cui ho via via elaborato decine e decine di brevi monografie per chi me lo chiedeva: quotidiani, riviste, fanzine, antologie, eccetera. A un certo punto ho provato a sistemarle e arrivavano quasi al numero di cento: ne ho scelte venti di molto lunghe per un prossimo libro, e altre sessanta abbastanza brevi per formare appunto questo 60 jazzisti.
JC: Rispetto ai testi originali hai operato correzioni, modifiche, aggiunte?
GM: Sostanzialmente no, per uniformare il tutto a un unico metodo ad esempio storiografico, avrei dovuto riscriverlo completamente, fare insomma un altro libro. Ho preferito invece lasciare così un testimonianza del mio lungo (lungo in ordine di tempo) lavoro di critico che di volta in volta si è occupato di questo o quel jazzista sotto diverse angolazioni: c’è la biografia vera e propria, ma c’è anche l’analisi di un periodo o di aspetto particolare di ogni singola personalità.
JC: E per la disposizione dei 60 jazzisti mi sembra che tu non abbia seguito un ordine né alfabetico né cronologico.
GM: È così: vista l’eterogeneità dei personaggi, mi pareva assurdo sistemarli dalla A alla Z o dal 1900 al 2000 a seconda della data di nascita. Ho invece operato un criterio per così dire letterario: dalla biografia più breve (due pagine e mezza) a quella più lunga (sei pagine), togliendo appunto quelle che arrivavano alle quindici-venti pagine che andranno a far parte del nuovo libro.
JC: Tornando quindi ai 60 prescelti, c’è almeno un jazzista che ami più degli altri?
GM: In mezzo a così tanti nomi illustri, sceglierne uno sarebbe limitativo, tenendo contro che qui tratto di Miles Davis, Charlie Parker, John Coltrane, Jerry Roll Morton e Ornette Coleman (che è in copertina grazie al bellissimo scatto dell’amico Luca d’Agostino). E non ti cito Louis Armstrong, Duke Ellington, Django Reinhardt, Billie Holiday, Thelonius Monk, che sono anche tra i miei preferiti perché compariranno sull’altro prossimo libro.
JC: Infine che cosa vorresti che un tuo lettore trattenesse dalla lettura di 60 jazzisti?
GM: Vorrei che leggendo anche solo le tre-quattro-cinque paginette che dedico a Herbie Hancock o a Dizzy Gillespie o altri ancora (magari semisconosciuti Hasaan Ibn Alì) volesse poi approfondirne gli ulteriori aspetti biografici legati ovviamente alla musica, perché è la musica il principale obiettivo. La gente deve conoscere, amare, capire il jazz che è pochissimo pubblicizzato in Italia.
JC: A mio parere è colpa anche dell’istruzione scolastica, ne convieni?
GM: Con me qui sfondi una porta aperta, nel senso che la cosiddetta Riforma Gelmini ha fatto piazza pulita della musica (come del resto dell’arte figurativa) quale materia culturale da affiancare alla letteratura e alla filosofia, creando un fantomatico liceo musicale, che per ora è solo alla stadio embrionale. Vedremo. Per ora resistono a fatica i conservatori, dove io personalmente, insegnandoci, ho trovato gli allievi migliori, più motivati e appassionati, meglio – umanamente e intellettualmente – di quelli di licei, università, master, accademie. A loro in fondo vorrei idealmente dedicare anche questo libro, 60 jazzisti.