Stefano Lenzi Quintet – Somiglianze

Stefano Lenzi Quintet - Somiglianze

Milk Records – 2013




Stefano Lenzi: voce, pianoforte

Alessandro De Berti: chitarra

Antonino Zappulla: pianoforte

Stefano Battaglia: contrabbasso

Davide Pentassuglia: batteria





C’è una premessa, una premessa duplice, da fare prima di cominciare a parlare di Somiglianze: fare qualcosa di nuovo, oggi, in musica, è davvero difficile e, allo stesso modo, nel descrivere un disco è restrittivo rifugiarsi nella pratica del paragone, in special modo se si parla di un lavoro che porta già nel titolo – capziosamente, si potrebbe voler insinuare con un sorriso maligno… – il riferimento ad altri riferimenti.


Stefano Lenzi cerca la propria strada in una convergenza molto eclettica di generi e suggestioni, nella sintesi tra le lezioni di artisti del passato, più o meno recente, e di diversa estrazione. E lo fa aggiungendo un ulteriore tassello, vale a dire la scelta di usare la voce come strumento e di costruire i suoi brani distanziandosi quanto più possibile dalla canzone. Senza la scorta di un testo, con tutte le implicazioni portate dal significato delle parole, utilizzando la voce per disegnare frasi musicali o la pratica del “finto inglese” – vale a dire riempire di sillabe prive di significato, dal vago accento anglofono, per vedere quale sia la reazione della musica alla presenza del testo – o, ancora, producendosi in una sorta di personale scat, Lenzi costruisce un quintetto dai suoni principalmente acustici e pastosi, pacato e discreto nel modo di affrontare la propria musica, gentile si potrebbe arrivare ad aggiungere anche in quei pochi passaggi elettrici e in un paio di momenti di destrutturazione libera. Modi pacati applicati ad un’idea di flusso musicale e di spazi anche rarefatti o, meglio, mai eccessivamente affollati.


Spazi dove, come si diceva prima, trova posto una varietà di spunti ai quali i nostri si avvicinano in maniera ellittica: la pratica è quella di mettere a contatto più riferimenti, se possibile distanti. Dal progressive al mondo musicale brasiliano, dalla canzone d’autore al jazz e a certo rock più elegante: le radici del ragionamento operato da Lenzi e dal suo quintetto sono molte, le combinazioni sono sostenute da una maturità e dalla voglia di provare a rischiare anche delle soluzioni quantomeno poco battute.


All’interno delle dieci tracce, solo le due non originali possiedono il testo: si tratta di due pietre miliari per il jazz, sia pure differenti per vicissitudini e storia, come What a wonderful world e My favourite things. In entrambi i casi vengono riportate alla dimensione espressiva del quintetto con un processo di contaminazione successiva che conduce i brani verso quella che sarà poi la versione presentata sul disco. In realtà, anche l’iniziale Belfié è dotata di un testo: una “installazione vocale” nella conclusione del brano, recitata più che cantata e costruita con la sovrapposizione di tracce registrate da Lenzi intorno al concetto “less is more”, esplicitato poi nel finale.


Sarebbe facile rifugiarsi in paragoni e richiami espliciti e sarebbe allo stesso tempo fuorviante per chi ascolta il disco come ingeneroso verso Lenzi che evoca e sfugge i confronti, riconosce, lascia riconoscere ma svicola con una certa qual nonchalance dalle griglie che questi stessi confronti piotrebbero addossare a brani e interpretazioni. Il tutto in un lavoro che si muove volutamente e con una certa cosciente spensieratezza in un territorio di confine.