Simone Zanchini – Don’t try this anywhere

Simone Zanchini - Don't try this anywhere

IN+OUT Records – IOR CD 77124 – 2015





Simone Zanchini: fisarmonica, live electronics

John Patitucci: contrabbasso

Adam Nussbaum: batteria

Stefano Bedetti: sassofoni

Ratko Zjaca: chitarra






Simone Zanchini centra un’ulteriore perla alla sua esplorazione musicale con un progetto davvero ben congegnato. La premessa è raccontata dallo stesso musicista nelle note di presentazione al disco. Sono due le ragioni che mi hanno spinto – traducendo, in maniera più o meno libera, il testo in inglese proposto da Zanchini – La prima è la passione per le derive più raffinate del jazz contemporaneo e considero Michael Brecker uno dei suoi esponenti più significativi e, in seguito, perché a mia conoscenza, nessun fisarmonicista aveva ancora realizzato un tributo alla sua musica.» Zanchini prosegue e mette in evidenza un altro aspetto della sua ricerca sonora. «Cerco con fatica di liberare il mio strumento da quella influenza stilistica che io chiamo “tanghite”. Ho sempre cercato di essere considerato come un musicista che suona la fisarmonica e non solo un fisarmonicista: nella mia visione estetica, sono due cose ben diverse! Questa è il motivo per cui ho scelto di ragionare sulla figura e sulla musica di Michael Brecker, un artista che ha dato un impulso importante al linguaggio jazzistico moderno e che ha cercato un fraseggio armonicamente complesso per esprimere la sua filosofia musicale.»


Fin qui Zanchini. Peraltro, il tributo avviene attraverso sei composizioni originali, senza riprendere materiale composto da Brecker.


Con una serie di chiari riferimenti al sassofonista statunitense nella scelta dei titoli e dei musicisti coinvolti, il (per amor di brevità) fisarmonicista si addentra in una ricerca musicale attenta e sfaccettata. Se il titolo del disco rimanda immediatamente al Don’t try this at home pubblicato da Brecker nel 1988 – anche per una soluzione grafica simile nella scritta del titolo – e se Nussbaum e Patitucci sono stati spesso presenti nelle registrazioni del sassofonista, il percorso intrapreso da Zanchini è una riflessione matura su tante maniere di intendere la musica di improvvisazione oggi, prendendo le mosse dal lavoro compiuto da Brecker nelle tante fasi della sua carriera. La fusion e il mainstream, il grande senso estetico delle ballad e il riferimento costante dello swing, la sintesi estrema, ardita, funambolica tra articolate costruzioni tecniche e controllo melodico. Zanchini, però, con grande nonchalance lascia cadere anche altri riferimenti. Innanzitutto, la presenza di tanti richiami ai suoi dischi precedenti, una costruzione progressiva che ha visto partecipare i vari musicisti invitati in questa registrazione e diventare via via stabilmente parte della sua tavolozza sonora. Il percorso delle improvvisazioni libere e della manipolazione elettronica del suono lo ritroviamo nell’apertura di Ultimo atto, brano che chiude il disco e che richiama la narrazione di Better alone. Il vocabolario connaturato nella fisarmonica non viene mai rinnegato semmai viene metabolizzato, digerito, trasformato e rivoluzionato e lo ritroviamo, quindi, materiale che diventa base di partenza per trovare nuove soluzioni espressive. E, ultimo ma non ultimo, un vago accenno a Frank Zappa che, a partire dallo stesso 1988, pubblica una serie di dischi dal titolo You can’t do that on stage anymore: le sei tracce disegnano un caleidoscopio musicale, la coerenza complessiva del progetto deriva dall’impulso dato dal fisarmonicista, dall’intenzione di perseguire le “derive più raffinate del jazz contemporaneo” secondo l’ottica già percorsa da Michael Brecker.


La scelta di quattro musicisti differenti per provenienza e per carriera aggiunge ulteriori motivi di riflessione e di ricchezza musicale al lavoro di Zanchini. John Patitucci e Adam Nussbaum hanno condiviso con Brecker momenti diversi della sua carriera: il contrabbassista è presente negli ultimi lavori del sassofonista, mentre il batterista ha preso parte alla stagione più elettrica e più centrale della sua vicenda musicale. Accomunati da una forte attenzione alla composizione e alle dinamiche sonore ed espressive, Patitucci e Nussbaum formano una ritmica propulsiva e solida. Bedetti, come sottolinea anche Zanchini, ha il ruolo più spinoso: essere il sassofonista in un disco che rievoca un eroe del sassofono moderno. In realtà, il dialogo tra Zanchini e Bedetti va a costituire la frontline di un quintetto alquanto atipico per la sua costruzione, dove prevale in modo esplicito la combinazione tra le voci espresse dai singoli musicisti rispetto all’aderenza al ruolo canonicamente affidato ai relativi strumenti. E Bedetti assolve il suo compito in pieno, facendo una sintesi compatta ed efficace delle tante suggestioni e delle implicazioni presenti nelle partiture proposte da Zanchini, dalla fusion al jazz contemporaneo, dagli “accenti romagnoli” alle tante letture della grande storia del jazz tradizionale. Ratko Zjaca, infine, spazia tra le tante possibilità della chitarra, dall’accompagnamento armonico all’utilizzo di una ampia tavolozza di suoni ed effetti per quanto riguarda il sostegno e il tessuto connettivo per gli interventi degli altri musicisti fino a raggiungere il ruolo di protagonista con assolo mai scontati.


E l’impatto di tutto questo arriva sin dall’esplosivo tema con cui si apre l’omonima Don’t try this anywhere: una vera e propria sberla che trascina l’ascoltatore all’interno del disco, segna in maniera marcata la partenza dell’avventura sonora del quintetto, attesta senza possibilità di equivoci la forza e la profondità della ricerca di Zanchini, una ricerca curiosa, rivolta in molte direzioni ma sempre originale, attenta al rapporto della modernità con il passato, rivolta con costanza allo sviluppo di soluzioni che uniscano senso e musicalità.



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