La Nina Simone di Alan Light

Foto: la copertina del libro










La Nina Simone di Alan Light


Alan Light: What happened, Miss Simone?

Il Saggiatore – 2016



Jazz, soul, blues, folk, gospel e pop song, ovvero Nina Simone, ma What happened, Miss Simone? La risposta (e il titolo) si trovano in un libro che racconta le vicende di una bimba neroamericana del Profondo Sud che, inseguendo un prodigioso talento, diventa Nina Simone, una star controversa del firmamento pop, a causa di una personalità imprevedibile e tormentata, che pur le consente di restare per almeno due decenni la Sacerdotessa indiscussa della black music, applaudita e osanna da pubblico e critica nel mondo intero; Nina Simone rappresenta da un lato il soul rincorso sulla tastiera tra citazioni di fughe di Bach o di sonate di Mozart e il cuore e l’anima del vero blues sia campagnolo sia metropolitano.


Il testo di Light spiega la vita e la leggenda di una donna che sfila in corteo tanto con il pacifista Martin Luther King quanto con il rivoluzionario Malcolm X, cantando per tutti orgoglio e segregazione, facendo piangere e ballare intere generazioni, grazie a una voce profonda e oscura e a un tono brutale e sincera che parla d’amore e che scaglia accuse. Nina Simone è anche una donna severa, imprevedibile, ma anche molto sola: incapace di chiedere scusa, ma sfruttata dai maschi (neri e bianchi), più o meno conscia di un forte disturbo mentale.


E tutto questo emerge dalla biografia forse più completa a lei dedicata: Light comincia dall’esordio della bambina a dieci anni – quando si rifiuta di suonare finché i genitori non si siedono a teatro assieme ai bianchi – ai trionfi della Carnegie Hall, dal sogno di diventare una grande pianista classica alla consacrazione leggera con il successo planetario di My Baby Just Cares for Me.


Il libro nasce, con l’aggiunta di ulteriori materiali (nuovi o inediti), quale arricchimento dell’omonimo documentario What happened, Miss Simone? (candidato all’Oscar, inseguendo, tra cadute e trionfi, il fantasma di una regina della musica che vive con la stessa ruvida autenticità il proprio tempo, il problema razziale, le lotte politiche, l’emancipazione sessuale, amando molti uomini, opprimendo la figlia, ma restando spessissimo in balia delle violenze psicofisiche di un marito in malafede.


L’instabilità esistenziale di Nina Simone va forse di pari passo ai continui spostamenti, con l’abbandono degli amati/odiati Stati Uniti per risiedere via via alle Barbados, in Liberia, in Olanda, in Turchia, in Egitto, in Svizzera e in Francia; al contempo l’essere perennemente in viaggio aumenta la forza artistica della cantante-pianista che si esibisce sempre attraverso perfomance intense e vigorose, imponendosi fin da subito come la voce di tutti gli afroamericani: insomma una femmina young, gifted and black che, come afferma la scrittrice e premio Nobel Toni Morrison, «era capace di incarnare tutte le donne del mondo».


What happened, Miss Simone? è redatto dal cinquantenne Alan Light, giornalista statunitense, critico musicale per Rolling Stone, caporedattore di Vibe e Spin, autore di un’altra biografi finora inedita in Italia: Let’s Go Crazy: Prince and the Making of Purple Rain. Alla fine della lettura la conoscenza di Nina Simone, nome d’arte di Eunice Kathleen Waymon nata a Tryon il 21 febbraio 1933 e morta a Carry-le-Rouet il 21 aprile 2003, è quasi perfetta, facendo insomma rivivere anche le contraddizioni di una cantante, pianista, jazz girl, compositrice e attivista per i diritti civili in un’America dalle forti contraddizioni.


Nativa della Nord Carolina, sesta di otto fratelli da una famiglia povera, fin da piccola, Eunice rivela un grandissimo talento per la musica che la porta a esibirsi in chiesa con due sorelle sotto lo pseudonimo di “Waymon Sisters”. La ragazza comunque continua a prendere lezioni di piano, pagate dalla comunità afroamericana locale che addirittura promuove una fondazione per consentirle di proseguire gli studi musicali a New York.


Esclusa a un concorso per soli motivi razziali, tronca con la musica classica, ripiegando, nei primi anni Cinquanta, a lavorare come pianista-cantante in vari jazz club della Grande Mela, ispirandosi all’idolo dell’epoca Billie Holiday, orientandosi verso la jazz music e facendosi chiamare Nina Simone (in onore dell’attrice francese Simone Signoret, moglie di Yves Montand, entrambi comunisti di cui è una fervente ammiratrice); da un repertorio eterogeneo all’inizio spicca la personalissima lenta versione di I Loves You, Porgy, dal melodramma Porgy and Bess di George Gershwin, che a posteriori le varrà il Grammy Hall of Fame Award del 2000.


L’album di debutto per Nina, Little Girl Blue (datato 1958), comprende la sopraccitata I Loves You, Porgy e la notissima My Baby Just Cares for Me, quest’ultimo, scomparso dalle classifiche dopo pochi mesi, riaffora prepotentemente dopo che il profumo Chanel negli anni Ottanta la usa in una pubblicità televisiva : nel 1987 entrerà addirittura nelle hit parades inglesi, olandesi, svizzere, austriache e francesi.


Intanto nel 1960 la Simone con il singolo Ain’t Got No, I Got Life raggiunge la seconda posizione nel Regno Unito, la prima in Olanda per sei settimane e la decima nelle Fiandre in Belgio: un successo, però, destinato a ripetersi, come appena visto, solo un quarto di secolo più tardi. Intanto l’attività discografica dal 1958 al 1974 procede assai regolarmente per lei che con Nina Simone and Her Friends (1959) firma il secondo LP per l’etichetta Bethlehem. Da allora ci saranno dieci album per la Colpix tra il 1959 e il 1966 con The Amazing Nina Simone, Nina Simone at Town Hall, Nina Simone at Newport, Forbidden Fruit, Nina at the Village Gate, Nina Simone Sings Ellington!, la raccolta Nina’s Choice, Nina Simone at Carnegie Hall, Folksy Nina e Nina Simone with Strings, quasi tutti dal forte imprinting jazzistico.


Per circa tre anni è quindi alla Philips, facendo segnare qualche picoclo cambiamento in direzione della pop songs, anche grazie alle molte notevolissime cover (Old Jim Crow, Simmemann, Mississippi Goddam, via via con Nina Simone in Concert, Broadway-Blues-Ballads, I Put a Spell on You, Pastel Blues, Let It All Out, Wild Is the Wind, High Priestess of Soul tutti usciti fra il 1964 e il 1967 e tutti di buon livello artistico.


Poco prima del fatidico Sessantotto Nina cambia ancora etichetta lavorando per la RCA, economicamente più vantaggiosa, ma con la richiesta alla cantante di aprirsi maggiormente al soul (allora imperante): in effetti long playing come Nina Simone Sings the Blues, Silk & Soul, Nuff Said! Nina Simone and Piano!, To Love Somebody, Black Gold, Here Comes the Sun, Emergency Ward!, It Is Finished, registrati fra il 1967 e il 1974 sono anche molto vicini al funk e al r’n’b, allora di moda; in mezzo spicca anche Così ti amo (1970) un album uscito solo nel nostro Pese, avente quale unica novità la title track cantata in un buon italiano ma dal testo banale (pur figurando Gino Paoli fra i traduttori-parolieri).


Dal 1976 fino al 1993 gli ultimi dieci lavori ufficiali – The Great Show Live in Paris, Live at Montreux 1976, Baltimore, Fodder on My Wings, Backlash, Nina’s Back, Live & Kickin, Let It Be Me, Live at Ronnie Scott’s, A Single Woman – incisi fra alti e bassi a periodi alterni (tra il penultimo e l’ultimo scorono addirittura sei anni di silenzio discografico assoluto) riflettono l’instabilità caratteriale della protagonista medesima con risultati artistici non sempre all’altezza della fama della Nina Simone così come viene acclamata negli anni Sessanta.


Del resto la vita pubblica e privata della Simone cambia incessantemente nel corso degli anni: amica e alleata dei leader neri della contestazione, dopo la quinta posizione inglese con il singolo To Love Somebody lascia polemicamente il suolo americano rimproverando sia la CIA sia l’FBI di scarsa sensibilità verso la questione razziale: cerca riparo nella madre Africa e nella civile Europa (da cui non si muoverà più).


Del resto, in seguito al polemico abbandono della terra natia, negli Stati Uniti di rado si pubblicano o si ristampano i nuovi o i vecchi vinili; forse per questo a metà Settanta abbandona per qualche anno la discografia lasciando poche notizie di sé, ritornando sporadicamente con l’album che porta il titolo di un brano celebre di Randy Newman, ma eclissandosi di nuovo fino agli Eighties, quando, grazie allo spot sunnominato, viene chiamata a esibirsi in tutto il mondo, fino a quando la malattia glielo consente.


Dopo una lunga lotta contro il cancro al seno, scompare infatti nella propria villetta in Provenza, abbandonata da tutti. Lascia una figlia, nata nel 1964 come Lisa Celeste Stroud e da tempo cantante nota con il nome d’arte di Lisa Simone (o semplicemente Simone) che in parte reitera il messaggio sonora della grande figura materna, Nina Simone, un’artista magistralmente dipinta nel libro What happened, Miss Simone?, proprio perché difficilmente inquadrabile tra jazz, soul, blues, folk, gospel e pop song.