Stefano Bollani, Piano Solo

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Stefano Bollani, Piano Solo

Genova, Teatro Carlo Felice – 22.1.2017



Stefano Bollani: pianoforte, Fender Rhodes


Il Teatro Carlo Felice è gremito in ogni ordine di posti quando entra in scena Stefano Bollani. Sul palco sono posizionati un pianoforte e un Fender Rhodes, che peraltro sarà usato con molta parsimonia durante tutto il recital. Lo spettacolo si divide in due parti, la prima è programmata a grandi linee, mentre la seconda segue le richieste del pubblico , con il musicista fiorentino nelle vesti di juke box vivente, pronto a soddisfare i desideri della platea, pur con il beneficio di interpretare gli input ricevuti liberamente.


Bollani affronta in buona parte il repertorio di Arrivano gli alieni, disco inciso per la Decca nel 2015, calcando la mano sugli aspetti ironici dei brani cantati e lanciandosi anche in riflessioni metalinguistiche sulle eventuali difficoltà di chiudere bene una improvvisazione tematica, quando non arriva per tempo la giusta ispirazione. Spicca, fuori dalle composizioni dell’artista, milanese di nascita, una versione da brividi di Life on Mars di David Bowie e un ingegnoso melange di Someday my prince will come (glorioso standard) e della danza delle spade di Khachaturian, condotta a passo di carica.


Concluso il primo segmento pianificato, Bollani chiede ai convenuti di esprimere a gran voce le loro preferenze e raccoglie così una serie di titoli, alcuni autentici cavalli di battaglia, su cui imbastisce il secondo tempo. Non si assiste, è ovvio, ad una esecuzione letterale delle canzoni selezionate. Bollani, infatti, gioca sugli incastri, sulle connessioni imprevedibili, facendo germogliare, ad esempio, il tema di Heidi dal finale di Night and day o divagando estrosamente da Questo piccolo grande amore a My Funny Valentine. Fa storia a sé la riproposizione di Copacabana, pezzo scritto per Paolo Conte, mai eseguito dal maestro, ma reso impagabile dalla verve di Bollani. Non può mancare il siparietto di Duccio Vernacoli, autore di cover, in toscano verace, di evergreen in lingua inglese, da Sinatra ai Beatles per riprendere quota e puntare in alto ancora attraverso un omaggio magistrale a Leonard Cohen e alla sua Halleluiah.


Il pubblico continua a divertirsi e ad applaudire e il protagonista della serata concede di buon grado di allungare l’esibizione, per terminare definitivamente con l’amato sound sudamericano di Mas que nada, famosa hit di Sergio Mendes.


In una recente intervista Bollani ha affermato «Il jazz mi sta stretto…» ed effettivamente il concerto contiene molti elementi di generi vari, fra i quali, però la musica afroamericana ha un posto privilegiato. È assolutamente legittimo, poi, concepire l’esibizione, con qualsiasi etichetta la si voglia presentare, come un intrattenimento qualitativo e intelligente. In questo modo si può arrivare ad un’utenza vasta e trasversale capace di entusiasmarsi per l’abilità di improvvisatore e di virtuoso del tastierista, come per le sue battute, le sue imitazioni o i suoi irresistibili patchwork musicali.