Si chiama Kucheza il nuovo disco del Mo Francesco Quintetto

Foto: copertina del disco










Si chiama Kucheza il nuovo disco del Mo Francesco Quintetto



Kucheza è l’ultimo lavoro del contrabbassista e compositore (Mo) Francesco Valente. Come i suoi progetti precedenti anche questo conserva appieno alcune caratteristiche che lo contraddistinguono: la solarità, la curiosità, la ricercatezza e la capacità di mettere assieme diversi stili e generi musicali sotto l’egida del jazz. Kucheza è un disco che consigliamo perché guarda al jazz e al mediterraneo con uno sguardo obliquo, di chi ricerca le radici scavando nelle terre bruciata dal sole.



Jazz Convention: Francesco (Mo) Valente, parlaci di te, della tua scelta di vivere e suonare in Portogallo?


Francesco Valente: Vivo in Portogallo da 20 anni. Andai a Lisbona durante i miei studi universitari, periodo nel quale studiavo Lingue e Letterature straniere (Portoghese/Hispano americano), alla statale di Milano. Mi diedero una borsa Erasmus della durata di nove mesi nel 1996. Decisi poi di rimanere a vivere a Lisboa, dove iniziai a suonare con musicisti locali, per lo più musicisti africani dei paesi lusofoni (Mozambico, Angola, Cabo Verde e Guine Bissau), cosi come con musicisti brasiliani e di altre varie nazionalità. Fare un bilancio di questi venti anni in poche righe è un po’ difficile, ma devo dire che Lisbona mi piace ancora molto e penso di avere fatto una buona scelta. Dopo un po’ di anni, e dopo aver compreso che la musica sarebbe stata la mia professione, ho intrapreso studi un po’ più approfonditi su questo campo. Ho una seconda laurea in musica (ESML – Escola Superior de Musica de Lisboa), un Master in etnomusicologia e in questo momento sto facendo un dottorato, sempre in Etnomusicologia. La mia ricerca si basa sulla musica del carnevale del Nordeste del Brasile, Pernambuco. Cosi divido la mia vita tra Portogallo e Brasile, tra musica suonata e ricerca etnomusicologica sul campo.



JC: Com’è la scena jazz a Lisbona e musicale in generale?


FV: La scena del jazz in Portogallo è molto interessante. A mio avviso ci sono musicisti di altissimo livello, con i quali ci sono state e ci sono tuttora delle collaborazioni. Ci sono vari festival e luoghi, dove si suona jazz, cosi come vari posti dove si fanno jam session. Oltre a tutto questo Lisboa è una citta molto musicale: si ascolta tanta musica africana e brasiliana, espressione della “lusofonia”, uno spazio culturale comune a vari paesi di lingua portoghese. La programmazione culturale locale è molto ricca e offre la possibilità di vedere concerti durante la settimana con artisti locali o che circolano in questo spazio culturale detto “lusofono”. È molto frequente vedere chorinho, samba, mpb, semba, funana, morna, coladera, bossa, zouk, marrebenta etc. Poi oltre alla pop/rock locale, c’è il fado che è un mondo tutto da scoprire e che è suonato in vari locali.



JC: In che maniera è cambiata la tua musica rispetto a quando suonavi in Italia?


FV: Essendo arrivato a Lisbona all’età di 20 anni la mia musica, oggi, è cambiata molto. In Italia avevo avuto delle prime esperienze semiprofessionali nell’ambiente pop/rock, heavy metal, soul e blues. A Lisbona oltre a conoscere tutto un nuovo mondo culturale (nuovo per me), ho avuto la possibilità di conoscere nuovi stili musicali, di suonare con musicisti di altri paesi, che mi hanno insegnato molto. Ho fondato e sono ancora membro di una banda di fusion/africana/reggae/crossover che si chiama Terrakota. Con questa banda sono già circa 15 anni che facciamo tour e concerti un po’ in giro per il mondo. Sicuramente è stata un’opportunità fondamentale per conoscere vari stili musicali e nuove bande/musicisti con i quali abbiamo collaborato sui palchi e in studio di registrazione.



JC: Tu sei un contrabbassista e compositore: hai un “maestro” di riferimento?


FV: Oltre al contrabbasso, suono anche il basso elettrico, benché nei dischi del mio quintetto fino ad ora ho dato molto più spazio al contrabbasso. Tra i miei eroi del passato cito Mingus e Jaco Pastorius. Tra quelli del presente Omer Avital, Carlos Bica e Avishai Cohen.



JC: Le tue collaborazioni più importanti?

,
FV: Nel jazz, direi senz’altro David Murray, Oori Shalev, Mike Mainieri, Tora Tora Big Band. Nell’ambiente della world music, di sicuro, Terrrakota, Marcos Suzano, OrquestraTodos, Orchestra Piazza Vittorio, Mimmo Epifani, António Zambujo, Paulo Flores, Sara Tavares, Aline Frazão, Rajastan Roots, Youssou N’dour, Chico César, Rao Kyao, Timbila Muzimba, La Chiva Cantiva, Kimi Djabate e moltissimi altri…



JC: Hai all’attivo tre dischi a tuo nome: che differenza c’è tra il tuo ultimo intitolato Kucheza e i precedenti?


FV: Il formato è sempre stato quello del quintetto, come formazione base. Poi in realtà nei vari dischi ci sono collaborazioni varie, pezzi suonati in trio, quartetto, quintetto, sestetto e così via. Il repertorio è molto vario e negli ultimi due dischi ho rivolto l’attenzione alle sonorità del mediterraneo, in particolare a quelle che definisco “iberiche” e/o nordafricane: al-andalus, flamenco, gnawa. Sono stati registrati pezzi anonimi del periodo al-andalus. Abbiamo fatto un arrangiamento di Impressiones Intimas di Frederic Mompou, pianista catalano. Molti pezzi originali si ispirano a un immaginario iberico, fatto anche di letteratura (abbiamo inciso pezzi un po piu free con interpretazione/declamazione di testi di Garcia Lorca, Pablo Neruda, poemi erotici antichi sempre del periodo al-andalus). Il secondo disco, Piedra Solar, si ispira a José Saramago, in particolare al suo romanzo Zattera di pietra (Jangada de Pedra), dove l’autore immagina proprio questa “iberia” alla deriva in mare aperto. Tutti i dischi sono stati sempre incisi in un solo giorno di studio, senza troppe post-produzioni, quindi l’idea è quella di registrare nel modo più autentico possibile. Su Kucheza, quello che mi sento di dire è che si tratta di un disco forse più omogeneo degli altri, la scelta del repertorio mi soddisfa e riesco a sentirlo ancora dall’inizio alla fine con molto, molto piacere.



JC: Cosa significa Kucheza?


FV: Kucheza è una parola che viene dalla lingua Swahili. È stata scelta per via della copertina del disco: si tratta di un quadro di un pittore di São Tomé e Principe, Valdemar Doria, un caro amico che vive a Lisbona. Il titolo del quadro è “bailarina” (ballerina). Cosi, ho pensato di cercare una parola che avesse a che fare con il quadro di Valdemar. Kucheza significa ballare, suonare e giocare allo stesso tempo… Mi è parsa una parola molto musicale e ricca di significato per questo disco. La scelta dello Swahili come lingua, inoltre è interessante: si tratta di una lingua franca che si parla nell’Africa Orientale, fatta di prestiti linguistici (arabo, hindu, inglese, spagnolo, portoghese etc.). Una lingua franca senza frontiere, un po’ come la mia musica, fatta di prestiti, scambi, influenze varie etc..



JC: Parlaci del quintetto che ha preso parte alla realizzazione di Kucheza.


FV: Questo 5tetto si forma in occasione dell’esame finale del mio corso di laurea in musica jazz a Lisbona, nel giugno del 2011. Abbiamo registrato 3 dischi, nel 2013 (Maloca), nel 2104 (Piedra Solar) e nel 2016 (Kucheza). Nel corso di questi anni ho dovuto rimpiazzare il pianista Iuri Gaspar e il sassofonista Guto Lucena, che purtroppo sono andati a vivere all’estero. In realtà anche in Kucheza c’è una loro collaborazione in un pezzo che fu registrato nel 2012 e che ho usato per completare il repertorio del disco (Taqsim). La formazione attuale è composta da: Miguel Moreira (batterista), Diogo Vida (pianista), Johannes Krieger (tromba), João Capinha (sax/flauto/clarinetto basso) e Francesco Valente (contrabbasso). Oltre a questi musicisti, ho invitato un mio collega che suona Oud arabo (liuto arabo), Marc Planells (catalano), che ha suonato in vari pezzi del disco.



JC: Il tuo jazz, o meglio le tue composizioni, sono ricche di influenze rock, fusion, pop e world: c’è il Mediterraneo, il Sud America, la Lusitania, la Spagna…


FV: Forse è un po’ la sintesi dei miei viaggi, delle mie conoscenze, della mia esperienza di vita. Direi che c’è anche molta Africa nella sonorità del disco. Certo, avere suonato musica africana per molto tempo ha lasciato delle forti influenze nel mio linguaggio. Oltre al tema iberico e mediterraneo, giustamente ci metterei anche un po’ di Africa e Sudamerica. Ecco: il Sud America è la mia grande passione da sempre, spesso mi trovo in questo continente per viaggiare o fare le mie ricerche musicali. Per me è una fonte di ispirazione: il disco Kucheza si apre con una intro e finisce con una outro, due piccoli pezzi che mi fanno ricordare molto le sonorità di un altro grande maestro: Santana. Parlo del Santana degli anni 70, quello di Santana, Caravanserai, Welcome, Abraxas…



JC: Ci puoi descrivere brevemente alcuni brani di Kucheza?


FV: Oltre all’intro e all’Outro di cui ho già parlato, descrivo rapidamente cosa c’è dentro il disco. MoGnawa è un pezzo gnawa jazz, lo gnawa è un genere musicale del Marocco, che normalmente si suona con Gimbri (un basso a 3 corde) e percussioni (crotales), è un tipo di musica molto interessante che ha inspirato nel passato grandi musicisti come Jimi Hendrix. Aljezur è un flamenco jazz in 5/4, il titolo si riferisce a una splendida cittadina “mora” (araba) del sud del Portogallo. Spartacus è un altro pezzo in 5/4, anche se ci sono vari cambi ritmici durante il pezzo. Il titolo si riferisce alla figura mitica di Spartaco. Afrobit è un afro beat in 12/8, danzante e pieno di energia. Ali Baba è in 9/8 ed è un pezzo che si ispira a sonorità mediorientali, in particolare all’universo sonoro di un altro compositore che ammiro, Rabih Abou Khalil. Questo pezzo per esempio è stato suonato in trio: batteria suonata con le mani in stile percussione, contrabbasso e flauto traverso, poi abbiamo aggiunto una seconda voce del clarinetto basso e l’Oud arabo. Qui la fonte d’ispirazione è ovviamente letteraria, mi riferisco ai racconti de Le Mille e una notte. Sesimbra è in 7/4 e si riferisce ad un’altra bella cittadina di pescatori a pochi km da Lisbona. Peperoncino è piena di energia, un po’ danzante e qui forse c’è un po’ di italianità, non solo nel titolo. Taqsim si richiama anch’essa a sonorità arabeggianti, anche qui c’è il clarinetto basso, strumento che spesso utilizzo nelle registrazioni in studio, questo pezzo come già riferito è l’unico che è stato registrato nel 2012. Lamma Bada è una canzone antica del periodo al-andalus, di più di 500 anni fa (anonima), in 5/4 con una struttura ritmica molto interessante. È una melodia meravigliosa che è stata interpretata già da molti altri musicisti in passato, tra le versioni che più mi hanno fatto emozionare, cito quella dei Radio Tarifa. Anche qui c’è la collaborazione di Marc Planells nell’Oud arabo. Infine Seikilos Epitaph, che nel disco viene intitolata Seikilos Revisited. Si tratta della composizione musicale (testo e musica) più antica della storia dell’umanità. Risale al 200 a.c. circa ed è stata ritrovata scolpita su una pietra a Efeso, in Turchia.



JC: Dove va la musica di Mo Francesco?


FV: Penso che la mia musica continuerà su questo cammino della world music/jazz e spero in futuro di poter fare un disco con canzoni, per invitare cantanti che ammiro del panorama musicale attuale. Spero anche di poter ricorrere ad altri strumenti come quartetto d’archi, vibrafono, mandolino, kora, oud etc. Le idee non mancano di certo e le possibilità di variare su questo tema musicale del jazz/world music, mi sembrano infinite.



Segui Flavio Caprera su Twitter: @flaviocaprera