Open Papyrus Jazz Festival 2017

Foto: Fulvio Lavarino










Open Papyrus Jazz Festival 2017

Ivrea. 23/25.3.2017

Il festival di Ivrea si svolge abitualmente nelle stesse giornate del Fai, Fondo Ambiente Italiano e viene fin troppo facile associare le due iniziative, tenendo conto che la rassegna eporediese, giunta quest’anno alla trentasettesima edizione, può essere considerata, a giusta ragione, un bene da proteggere e da tutelare.


Il 24 marzo aprono l’open Papyrus le fantasiose coreografie di Francesca Galardi, Cristina Ruberto e Giulia Ceolin, delle scuole di danza del territorio, sulle musiche del cd Mantis, inciso da Massimo Barbiero con la sola marimba. Successivamente Enzo Rocco e Carlo Actis Dato intrattengono il numeroso pubblico della sala S.Marta con la loro proposta frizzante e coinvolgente.


Il giorno dopo tocca ad Aldo Gianolio illustrare i contenuti del suo libro, Ottavio il timido, stimolato da Guido Michelone, una presenza consueta negli incontri pomeridiani della città del canavese. Nel dialogo fra i due si scopre che, in un testo in cui si parla relativamente poco di musica afroamericana, è proprio la prosa dell’autore ad essere vicina al jazz, nel suo progredire incisivo e originale.


Tocca poi a Les Voix qui dansent, formazione della zona che si dedica alla riproposizione di canti etnici di matrice africana, con alcuni sconfinamenti nel folklore delle coste del Mediterraneo e in Gershwin. Le dieci cantanti eseguono il loro programma con metodo e passione, curando meticolosamente le dinamiche dei vari brani, alternandosi nelle parti solistiche e realizzando un suono complessivo molto caratterizzato e definito.


Alla sera ci si sposta al Teatro Giacosa per assistere all’esibizione in solo di Daniele Di Bonaventura al bandoneon. Il musicista marchigiano si lascia trasportare dall’ispirazione e dai ricordi per compiere un viaggio lirico e profondo fra le sue preferenze musicali. Così si passa agevolmente dalle Ande all’Abruzzo, da Reminiscenze, un original, a Gardel con un excursus ne La Cumparsita, fino a tornare indietro all’adagio di Albinoni per chiudere con un tango argentino. Il concerto è intenso, poetico e riesce a conquistare gli spettatori per la delicatezza dei toni e l’amabilità con cui vengono presentati i vari segmenti dell’esibizione.


A seguire entrano in scena i Quintorigo, alla prima apparizione da queste parti, malgrado loro lunga storia. Il set parte in modo vibrante con Pythecantropous Erectus di Mingus, eseguita in quartetto. Subito dopo si siede alla batteria Roberto Gatto e prosegue l’omaggio al grande bassista con altre perle, tra le quali brilla una versione tirata a lucido di Fables of Faubus. L’atmosfera è già calda, ma si arroventa quando da Mingus si passa ad Hendrix. Il gruppo sfodera la sua anima rock, aiutato in questo da un giovane cantante, Alessio Velliscig al suo debutto, o quasi, che in determinati climi dimostra di sguazzare letteralmente, aiutandosi anche con i movimenti del corpo, oltre che con una voce non straordinaria, ma adatta al repertorio selezionato.


Dopo questo intermezzo infuocato si arriva all’esecuzione dei pezzi di Frank Zappa, orchestrati sapientemente da Roberto Gatto. Del bandleader americano si valorizza, innanzitutto, il contenuto testuale, fra l’indignato, l’ironico e il beffardo, tutti aspetti sottolineati con una certa spavalderia dalla mimica del vocalist. Per il resto la band ci dà dentro con forza e convinzione, erogando una musica gagliarda, muscolare più che raffinata. Alla fine viene inevitabilmente richiesto un bis per un concerto, nel suo insieme, ad alto tasso energetico.


Nella notte di Ivrea, più tardi, brilla la stella di Hyper +, un trio in grado di esprimere un sound sfaccettato, in equilibrio volutamente instabile, che si riallaccia al mondo espressivo di Steve Coleman per procedere, poi, in direzioni divergenti e personali. Il trio esegue una performance assolutamente degna, malgrado la medesima si effettui davanti a ben pochi aficionados.


Il 25 marzo, ancora a S.Marta, Maurizio Franco espone le sue riflessioni su Odwalla, dopo la presentazione del libro Tempus Fugit ad opera di Davide Ielmini. Franco tende ad evidenziare il carattere prettamente jazzistico della band, mentre Ielmini propende per un avvicinamento dello stile dell’orchestra di percussioni a Stravinskij o a Varèse, ambito classico del novecento, insomma. Alberto Bazzurro, coordinatore dell’incontro, cerca di conciliare le due posizioni, non così lontane, se non in apparenza, cercando di valorizzare i rispettivi angoli di prospettiva verso l’estetica di un gruppo meritevole comunque di analisi e di approfondimento.


Prende la scena, subito dopo, Boris Savoldelli ed è subito spettacolo. L’artista bresciano adopera in modo funzionale i loop e moltiplica le voci degli strumenti di accompagnamento su cui incastra, poi, il suo canto, filtrato dal microfono o in acustico, a rimbalzare contro i muri della sala. L’effetto globale è di notevole fascino e divertimento. Savoldelli, ogni volta, spiega qualcosa del pezzo in scaletta e precisa come lo stesso venga trattato. Con la voce e l’elettronica il musicista riesce ad offrire l’immagine di un jazz godibilissimo, non per questo superficiale o trascurabile. È da brividi, in particolare, una versione di All Blues di Miles Davis.


Dopo aver ammirato in loco la bella mostra fotografica di Luca D’Agostino e Davide Bruschetta ci si trasferisce nuovamente al Giacosa per l’ultima serata con il tutto esaurito in teatro.


Comincia Paolo Fresu, un habituè della rassegna, questa volta con il Devil Quartet, dopo essersi esibito in duo nelle precedenti edizioni. Il quartetto ha pubblicato tre cd fino ad oggi e vanta una autentica comunione d’intenti fra i componenti. Il repertorio, in gran parte a firma dei 4 partners, si divide fra brani più ritmati con inflessioni funkeggianti, in prevalenza e ballad dagli accenti soffici e pastosi. Il trombettista sardo è in vena e si impegna in assoli tematici di largo respiro, sostenuto da Dalla Porta e Bagnoli, due che sui loro strumenti ne sanno una più del diavolo. Bebo Ferra, alla chitarra elettrica, dà il cambio a Fresu e si rivela ispirato e compositivo nei suoi interventi. Dopo quasi novanta minuti, il set si conclude fra gli applausi con Un posto al sole, sigla dell’omonima soap opera di Rai tre.


Dopo le 23 si concretizza il momento più atteso dell’intero festival. Entrano sul palco i musicisti di Odwalla. Rispetto agli ultimi concerti di Ivrea la formazione conta una sola cantante, Gaia Mattiuzzi invece di quattro e i ballerini sono ridotti a due unità. L’ospite, Baba Sissoko, è, inoltre, alla prima esperienza da guest star dell’ensemble. Proprio il percussionista e vocalist del Mali si pone in rapporto, in dialogo, con la musica del gruppo più che operare come membro aggiunto dell’orchestra. Da questa posizione, ma anche per le variabili legate al lato performativo, scaturisce una musica dove gli ingredienti sono più o meno gli stessi e distinguibili, ma l’insieme risulta decisamente inclinato verso il suono tribale e primitivo. C’è un qualcosa di selvaggio o di selvatico, infatti, che serpeggia nella riproposta di alcuni pezzi forti del repertorio. L’enunciazione delle melodie è asciutta, essenziale e i passaggi sui tempi dispari, marchio di fabbrica della “ditta”, sono resi in maniera secca e priva di qualsiasi divagazione. La Mattiuzzi usa, poi, la voce come un altro strumento a fiato e tutti sono estremamente concentrati a battere sulle pelli e sui metalli per celebrare questa sorta di cerimonia di fusione, di “accumulazione stratificata” di linguaggi, secondo l’appropriata definizione di Franco Bergoglio. Oltre la mezzanotte si chiude la rassegna al Giacosa, con il solito, meritato trionfo popolare per Massimo Barbiero e soci.


Non è finita. Successivamente, nell’area prossima alla stazione ferroviaria, la New bros Jazz Gang delizia gli avventori dello Zac con un dixieland gradevole e ruggente. È l’ultimo festoso capitolo di una rassegna che ogni anno offre un ventaglio di generi dissimili, per i gusti più diversi, riuscendo a coniugare felicemente varietà e pregio.