Magmatic Quartet @ Novara Jazz

Foto: Emanuele Meschini per Gentile Concessione Ufficio Stampa Novara Jazz www.novarajazz.org










Magmatic Quartet @ Novara Jazz

Novara. Broletto – 2.6.2017

Louis Moholo: batteria

Giovanni Guidi: pianoforte

Alexander Hawkins: pianoforte

Gianluca Petrella: trombone

La sera prima di questo concerto Louis Moholo aveva suonato sul palco del festival piemontese in duo con Enrico Rava, rinverdendo una collaborazione e una stima che risalgono ai primi tempi del soggiorno europeo del batterista La mattina del concerto aveva visitato una mostra fotografica allestita in onore del suo gruppo storico, quei Blue Notes che nel 1964 avevano lasciato il Sudafrica per sfuggire al clima cupo e soffocante dell’Apartheid. Per una band interrazziale come la loro era impossibile esibirsi nel paese della segregazione. Le foto ritraevano il gruppo nel periodo immediatamente successivo al loro arrivo nel vecchio continente, quando ancora soggiornavano a Zurigo . Louis si è commosso nel rivedere i ritratti di quegli amici, allora giovanissimi: Chris Mc Gregor, Dudu Pukwana, Mongezi Feza, Johnny Dyani.


Di quel gruppo egli è oggi l’unico sopravvissuto.


Trasferitisi a Londra nel 1965, i Blue Notes portarono una ventata di novità nel jazz europeo, non solo britannico. In un’intervista di qualche anno fa, parlando della scena musicale degli anni ’70, anche Franco D’Andrea parlava dell’importanza del linguaggio innovatore dei sudafricani sui giovani jazzisti di allora.


Moholo è ancora oggi un maestro per le giovani generazioni di jazzmen. Probabilmente perché il jazz sudafricano è sempre stato ricco di comunicatività anche nelle situazioni più impervie e sperimentali. Come ha detto Hazel Miller, produttrice discografica inglese molto legata a Moholo «… le lingue africane sono molto musicali: quando ero in Sudafrica la conversazione era come un’orchestra, la musica è dentro la lingua e quindi è comunicazione…»


Una prova ulteriore di questo assunto è venuta dal quartetto che ha suonato, in prima assoluta, la sera del 2 giugno al Festival di Novara. Un progetto nato da un’idea di Giovanni Guidi e Corrado Beldì, direttore artistico della rassegna. Un progetto ardito, non tanto perché i musicisti non si conoscessero fra di loro, ma per l’inedito organico strumentale basato su due pianoforti. Nelle intenzioni originali il progetto doveva essere un omaggio ai Blue Notes ma già dal sound check (i quattro non avevano fatto alcuna prova prima) la musica ha preso un indirizzo diverso.


I quattro si sono avventurati in una musica che a un primo ascolto ricordava più uno dei gruppi successivi ai Blue Notes (il gruppo si sciolse relativamente presto ma i suoi componenti suonarono insieme in molte altre situazioni), la Chris McGregor Brotherhood of Breath. Una band più influenzata dal free jazz di quanto non fossero i BN, capace di una musica ribollente, incendiaria, che alternava e fondeva riff danzanti, brandelli d’inni religiosi, magmatiche esplosioni sonore; una musicalità intrisa, allo stesso tempo di ritualità ancestrale e di ricerca radicale.


I due pianoforti, nella serata novarese, sostituivano la poderosa sezione dei fiati della vecchia “confraternita”, alternando sprazzi di tempesta a ipnotiche, quasi minimaliste, sequenze melodiche, mentre Petrella cantava, con la sua voce possente, frasi intense, talora ieratiche. Moholo era il quarto solista del gruppo; il suo drumming, teso e compatto, era tutt’altro che un mero accompagnamento. I suoi tamburi “cantavano”.


Dal palco arrivava a un pubblico, molto numeroso e partecipe, una sorta di, mi si passi l’ossimoro, free jazz melodico; una cascata di “Joyful noises”, per citare il titolo di un brano di Chris McGregor.


Il set si è chiuso con una breve citazione del classico di Mongezi Feza, «You ain’t gonna know me ‘cos you think you know me.»


Al termine dell’esibizione Moholo era visibilmente soddisfatto. Aveva sentito, suonando con i suoi giovani colleghi, manifestarsi quello Spirito che la musica dei suoi antichi sodali aveva la capacità di evocare.


D’altronde, come faceva notare Luigi Onori in un bellissimo saggio del 2004 (Il jazz e l’Africa), i Blue Notes, scioltisi abbastanza presto come gruppo, sono rimasti «in mezzo al turbinare degli anni, della musica e del destino, il fulcro emotivo, il sacrario musicale di quella straordinaria esperienza.»


Sarebbe un peccato che il Magmatic durasse lo spazio di una sola sera. Questo tipo di musica ha ancora molto da dire, da evocare, da proporre. Non è così frequente, oggi come oggi, ascoltare un concerto di tanta forza emotiva.