Blues in Villa 2017. Il Diario del Festival

Foto: Fabio Ciminiera










Blues in Villa 2017. Il Diario del Festival

5.7.2017 – Christian McBride’s New Jawn

Christian Mc Bride: contrabbasso

Marcus Strickland: sax tenore, clarinetto basso

Josh Evans: tromba

Nasheet Waits: batteria

Si fa presto a dire pianoless, con una sezione ritmica solida e esplicita come quella formata da Christian Mc Bride e Nasheet Waits… Una visione lucida del ruolo di leader e della funzione del bassista all’interno del gruppo, un approccio openminded e rivolto a raccogliere stimoli da ogni direzione artistica. Christian McBride arriva con una maglietta dei J.B.’s all’incontro pomeridiano con il pubblico moderato da Enrico Merlin e da me e rende evidente così questa sua attitudine e la “venerazione” nei confronti di James Brown. Supporto delle linee melodiche e connessione con la batteria per creare una sezione ritmica propulsiva e, allo stesso tempo, asciutta: in sintesi, questi sono stati i punti messi in evidenza nelle risposte date alle domande dei bassisti presenti. La visione democratica della leadership, la capacità di guardare al passato e alla tradizione per proiettarla con forza nella contemporaneità e porre i presupposti per possibili sviluppi futuri. E, naturalmente, la filosofia musicale del contrabbassista si rivela in maniera ancora più limpida nel concerto serale. Le poche gocce cadute non hanno minato l’attenzione del pubblico e la determinazione del quartetto. Una scaletta, scelta con grande cura, ha accostato brani originali e temi di Shorter e Monk per dare una concezione integrale e aperta della propria espressione musicale. La dimensione pianoless prende le mosse dalle esperienze storiche – Chet Baker e Gerry Mulligan, le varie formazioni di Ornette Coleman – e sfrutta la libertà concessa dall’assenza di uno strumento armonico. E si torna, così all’apertura: la mole di suono prodotta da McBride e Waits sostiene e rilancia gli spunti dei solisti, diventa spesso protagonista riesce a gettare un ponte tra ricerca e riferimenti alla storia del linguaggio jazzistico senza mai allargarsi al free e senza mai ripercorrere in modo scontato e prevedibile stilemi sentiti mille volte ma spinge sempre in avanti il flusso del concerto e riesce a tenere in equilibrio le fiammate virtuosistiche dei singoli e il disegno collettivo. E, infine, dopo il bis di prammatica, il contrabbassista ha risposto all’invito del pubblico ed è salito nuovamente sul palco per una versione vigorosa e lirica allo stesso tempo di Alone together che ha suggellato in modo definitivo i cinque giorni di Blues in Villa.

4.7.2017 – Jon Cleary (opening act Rosita Kess)

Jon Cleary: piano, tastiere

Nigel Hall: organo

Cornell Williams: basso

A.J. Hall: batteria

Se iniziamo a fare il gioco di unire i punti e le storie della musica americana e si seguono a ritroso i fili e i percorsi, si passa obbligatoriamente da New Orleans. Personaggi divenuti leggende, musiche e pietanze nate dall’incontro di culture diverse e da una necessità immediata e pressante, un approccio alla vita, ancora prima che all’arte, del tutto particolare e unico. La musica e la vicenda di Jon Cleary raccontano la città e le sue atmosfere, evoca lo spirito e il gusto per il divertimento: il musicista inglese si è trasferito in Louisiana e ha raccolto il testimone di tutti quei pianisti e, in generale, di tutti i musicisti che hanno dipinto il tessuto sonoro della città – tanto per fare tre nomi, Professor Longhair, Dr. John e Allen Toussaint ma si potrebbe stendere un elenco interminabile. Il concerto unisce in maniera solida e sempre efficace musica e divertimento, spirito del blues e virtuosismo, groove e senso per la melodia: sembra che tutto succeda per gioco e in maniera leggera ma poi ogni tassello va esattamente al suo posto e con il necessario vigore. Si balla, si ascolta, ci si diverte, si apprezzano le qualità interpretative dei singoli e la forza del gruppo. La tradizione, prima di tutto, senza rinunciare a qualche escursione nel funky e nel r’n’b: se, da una parte, c’è la necessità di dare varietà alla scaletta, Cleary manifesta in maniera esplicita il fatto evidente che la musica evolve, sempre, e spunti simili possono provenire da ambiti differenti. L’apertura della serata è stata affidata a Rosita Kess, un percorso eclettico che si colora delle espressioni delle musiche popolari di varie parti del mondo: ne vengono fuori canzoni delicate e riflessive che richiamano ritmi e lingue dell’Africa e del Sud America, guardano al folklore europeo e ai panorami sterminati degli Stati Uniti. Particolare la line up: una sorta di doppio trio con le voci di Rosita Kess e Brad Jones, impegnati rispettivamente anche alla chitarra ritmica e al contrabbasso, la batteria di Tommaso Cappellato, il basso elettrico di Andrea Lombardini e la chitarra solista di Alberto Milani.


3.7.2017 – Doyle Bramhall II (opening act Savana Funk)

Doyle Bramhall II: voce, chitarra

Adam Minkiff: chitarra, tastiere, batteria, cori

Ted Pecchio: basso, cori

Anthony Cole: batteria, sassofoni, cori

Nei dintorni della chitarra elettrica solista, degli incroci tra rock, blues, psichedelia, improvvisazione. A farla breve, ci troviamo nel solco tracciato da Jimi Hendrix con i suoi tre dischi e i suoi strepitosi concerti. E, naturalmente, nella scia di tutti i grandi maestri dello strumento da Eric Clapton a Duane Allman, da Jimmy Page a Albert King e tantissimi altri. Due declinazioni del concetto differenti per accenti e line up. Doyle Bramhall II espande con il suo quartetto le possibilità degli incroci di chitarra, voce, basso e batteria, con una band di strumentisti capaci di mettere il virtuosismo al servizio della melodia e della potenza: la sua sintesi affonda a piene mani nella storia del rock, riprende e trasforma riff e passaggi, tiene sempre presenti e con forza i presupposti del genere per costruire un concerto solido, dove per dirla con le parole di Enrico Merlin si condensa «una masterclass sulla storia del Blues e del Rock’n’Roll», una vera e propria lezione dove intensità del suono, approccio alle singole frasi, modalità nel concepire l’assolo arrivano con immediata efficacia dall’aver consumato i dischi e dall’aver calcato i palchi e dal confronto costante con la tradizione di questa musica. Certo il momento in cui Anthony Cole si è alzato dalla batteria, sostituito dietro i tamburi dal “molteplice” e sempre pregevole Adam Minkiff, per imbracciare il sax tenore e virare il concerto verso un momento di free jazz è sembrato un tantinello fuori dallo schema prefissato, ma tant’è: le eccezioni, spesso, servono proprio a confermare le regole e dare maggiore enfasi al ritorno alle atmosfere di partenza. Il concerto è stato aperto dai Savana Funk, power trio strumentale formato da Aldo Betto alla chitarra, Blake Franchetto al basso elettrico e Youssef Ait Bouazzaha alla batteria. Un ponte tra blues elettrico e reminiscenze africane con la figura di Hendrix come nume tutelare: un progetto davvero ben costruito e suonato con gusto e intensità. La forza del trio è nel riuscire a dare una visione meno scontata e prevedibile dei riferimenti di partenza. Il risultato supera agevolmente le difficoltà di non potersi appoggiare sulla voce come “strumento melodico” grazie ad una gestione capace di tenere sempre in equilibrio l’impatto diretto del blues e certe costruzioni più articolate presenti nelle composizioni. Ancora una volta con lo sguardo all’insù per scongiurare che la pioggia – caduta abbondante nel pomeriggio – non interrompa il concerto… ma, almeno questa volta, la musica ha avuto vita facile.


2.7.2017 – Jack Jaselli (opening act Dani)

Jack Jaselli: voce, chitarra

Chris Lavoro: chitarra, voce

Dario Dal Molin: Fender rhodes, organo Hammond

La domenica è il giorno della festa, come ricorda anche il Leopardi. La filosofia della seconda giornata di Blues in Villa è, infatti, quella di vivere la musica come una festa, come l’occasione per stare all’aperto. E si comincia dall’ora di pranzo con una jam session a ritmo di blues e barbecue per arrivare oltre la mezzanotte con la strepitosa selezione proposta da E.Sist, tra blues, funk e, in generale, musica black. Le canzoni di Jack Jaselli offrono al trio costituito da due chitarre e tastiere l’atmosfera per dar vita ad un concerto intimo, tutto sommato acustico, raccolto e confidenziale. Brani architettati con accortezza e gusto permettono ai tre di dialogare tra loro e di richiamare, pur mantenendo una cifra personale, i propri eroi e riferimenti: echi, riflessi, suggestioni di una lunga lista di musicisti dai quali Jaselli elabora una propria sintesi convincente e capace di raggiungere il pubblico. Tanto che, alla fine, quando Jaselli chiede al pubblico di concludere il concerto insieme, incontrandosi sotto il palco per un finale senza il filtro dell’amplificazione, gli spettatori non ci pensano un secondo e lo raggiungono immediatamente per dar vita a un finale del tutto in sintonia con lo spirito di festa e condivisione della giornata. Folk, blues, soul e influenze del cantautorato americano sono la spina dorsale del mondo sonoro di Dani, la cantautrice che ha aperto il concerto con i suoi brani originali, cantati in inglese. Una buona empatia sul palco e un potenziale interpretativo tutto da sfruttare – come la cantante ha fatto vedere nella jam pomeridiana. Se pure c’è qualche elemento da mettere a punto nella gestione della scaletta e negli arrangiamenti, viene bilanciato dall’attitudine sincera e spontanea con cui Dani e i suoi musicisti si presentano al pubblico, con l’aderenza totale alla musica suonata.



1.7.2017 – Paolo Fresu Devil Quartet

Paolo Fresu: tromba, flicorno, effetti

Bebo Ferra: chitarra

Paolino Dalla Porta: contrabbasso

Stefano Bagnoli: batteria

Musica batte maltempo 4 a 3: tre volte ha cominciato a piovere ma il concerto è andato avanti – a parte una brevissima interruzione tecnica, utile per proteggere la strumentazione sul palco coperto e per consentire agli spettatori di attrezzarsi con ombrelli e impermeabili – e, alla fine, è stato anche più energico e corposo e lungo di quanto non fosse preventivato: la situazione ha spinto il quartetto a “evitare” ballad e brani riflessivi – come ha detto Fresu dal palco, alludendo alle condizioni meteorologiche e allo stato d’animo degli spettatori – e a concentrarsi sul groove, sull’energia per ricambiare la disponibilità del pubblico a prendersi la pioggia e a godere a pieno dei momenti in cui le precipitazioni hanno smesso di imperversare. Intenzione, voglia, carisma, capacità di dialogare attraverso i suoni e le parole con il pubblico, interplay e istinto nel saper cogliere il momento e declinare in modo musicale: sono queste le armi usate da una formazione ormai solida e in grado di perseguire con forza il proprio pensiero musicale, di “piegare” al vocabolario sonoro costruito negli anni brani diversi tra loro come Satisfaction, My Man’s gone now e la sigla della soap opera Un posto al Sole e darne una versione del tutto “diabolica” – appartenente cioè al Devil Quartet. E così, se questa formazione è meno longeva del “Quintetto Storico”, il ricordo del concerto visto a La Palma del 2005, uno dei primi concerti tenuti in Italia, rievocato a bordo palco e dopo il concerto, rende il quartetto una delle pietre angolari della carriera del trombettista, una delle “case musicali” a cui tornare tra un progetto e una partecipazione, tra i vari incontri in duo e le frequenti “escursioni” verso altri linguaggi e generi. E sulla vita musicale, sulle scelte e sui dischi, sui suoni e sul rapporto con i colleghi si è sviluppato il primo dei tre Incontri con l’Artista condotto da Enrico Merlin – con il supporto del sottoscritto – e che ha avuto appunto Paolo Fresu come protagonista: il trombettista si è raccontato ai presenti con la gentilezza di chi accoglie, con la consueta disponibilità e l’attenzione a tutte le sollecitazioni e alle domande giunte dal pubblico e, soprattutto, con la pacatezza sobria ed educata che gli è propria e ha portato senza enfasi nel proprio mondo gli spettatori che hanno partecipato all’incontro.




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