Dalla Bovisa a New Orleans con amore: gli ottant’anni di Luciano Invernizzi

Foto: Archivio Fabio Ciminiera










Dalla Bovisa a New Orleans con amore: gli ottant’anni di Luciano Invernizzi

Milano, Auditorium Di Vittorio – 30.9.2017

Bovisa Jazz Band

Luciano Invernizzi: trombone

Giacomo Marson: tromba

Emiliano Turazzi: clarinetto

Fabio Turazzi: banjo

Vittorio Sicbaldi: batteria

Gigi Marson: pianoforte

Sabato 30 settembre, con il concerto della storica Bovisa Jazz Band all’Auditorium Giuseppe Di Vittorio di Milano ha preso il via la ventiquattresima di rassegna patrocinata dall’Associazione Secondo Maggio. Maurizio Franco, nella consueta introduzione, ha ricordato la doppia ricorrenza legata al concerto: i cento anni del primo disco di jazz, Livery Stable Blues della Original Dixieland Jazz Band guidata dal trombettista italo-americano Nick La Rocca, e gli ottant’anni di Luciano “Big Lou” Invernizzi, trombonista e leader della Bovisa. compiuti nello scorso agosto.


Con la Bovisa, Invernizzi ha sempre reinterpretato il jazz “nero” di New Orleans. Come negare il contributo dato, soprattutto, dagli afroamericani e dai creoli a questa musica? Personaggi come Jelly Roll Morton, Buddy Bolden, Louis Armstrong e Sidney Bechet e molti altri sono stati i veri maestri del jazz delle origini ed è naturale che a loro si siano ispirati i “nostri” protagonisti.


Invernizzi è uomo di poche parole ma quando suona si trasforma: da Dottor Jekyll diventa un Mister Hyde del jazz. Canta blues e suona il suo trombone con grande forza. New Orleans Today è la definizione che possiamo dare al suo stile: “Big Lou” da molto spazio ai suoi solisti – tra i quali ricordiamo il giovane Emiliano Turazzi al clarino, figlio del banjoista Fabio, o Giacomo Marson alla tromba, figlio del pianista Gigi, e Vittorio Sicbaldi alla batteria – e agli storici componenti della band, vale a dire lo stesso trombonista e, poi, Fabio Turazzi e Gigi Marson. In un blind test, la Bovisa potrebbe essere tranquillamente scambiata per una formazione nata e cresciuta a New Orleans: il gruppo trascina il pubblico al suono delle sue complesse polifonie di origine bandistica. In un Auditorium Di Vittorio affollato come non mai, il pubblico risponde e sostiene la musica della Bovisa urlando e battendo le mani a tempo. Alcuni, persino, assistono al concerto in piedi per seguire liberi il ritmo dei brani.


Una vivace Panama Rag e un particolare arrangiamento di Tiger Rag sono stati tra i primi brani affrontati dal sestetto. Oltre ad emozionare il pubblico con i suoi assolo di trombone, Invernizzi si è confermato un valido cantante: non solo nelle atmosfere più blues ma anche in una ballad lenta e ricca di pathos come You don’t love me, in cui dialoga con la tromba sordinata di Giacomo Marson. E poi le interpretazioni di That’s plenty, famosa la versione di Armstrong, di Margie, della Original Dixieland Jazz Band. Per chiudere non poteva mancare l’omaggio al suo mentore, il grande trombonista Kid Ory, con Clarinet Marmalade e una vibrante Creole Trombone.


Il pubblico elettrizzato dall’esibizione ha applaudito energicamente al termine del concerto. E, mentre Invernizzi ringraziava i presenti, la Bovisa ha iniziato a suonare Happy Birthday, per la gioia di tutti. Buon compleanno, Big Lou!


Abbiamo incontrato, Invernizzi prima della sua esibizione per scambiare due parole con lui e sul percors odella Bovisa Jazz Band e sul .


Jazz Convention: Caro Luciano, innanzitutto, auguri di buon compleanno!


Luciano Invernizzi: Grazie Giuseppe…



JC: Tutti sanno che il tuo modello è stato Kid Ory, il trombonista di Louis Armstrong. Tu hai avuto modo id incontrarlo qui aMilano: ci racconti come è andata?


LI: Era al Teatro Smeraldo, come si chiamava allora, ed era, mi sembra, il 1955. Un concerto fantastico. È stata una vera e propria folgorazione e, se vogliamo, aver visto quel concerto è stata la spinta definitiva per dare vita alla Bovisa. Avevamo già l’intenzione di suonare, ma con un esempio del genere…



JC: Hai organizzato moltissimi concerti in Italia con i mostri sacri del jazz tradizionale. Qual è l’artista che ricordi con maggior soddisfazione?


LI: È difficile da dire. Avevo messo su una società che si chiamava New Orleans Jazz Incorporated proprio per portare in Italia i musicisti che erano stati i miei idoli. Se proprio devo fare un nome, faccio il nome di Louis Nelson, il trombonista che preferivo, dopo Kid Ory ovviamente.



JC: Tu sei riconosciuto come uno dei grandi rappresentanti del suono di New Orleans in Italia. Hai mai suonato a New Orleans?


LI: Certo… ho suonato alla Preservation Hall, una sera, insieme ad altri musicisti europei. Ci hanno lasciato suonare…



JC: Sei stato anche tra gli animatori di Europa Radio, la radio jazz diretta da Elda Botta e Sergio Leotta…


LI: È stato un periodo bellissimo: avevamo trovato un posto dove poter fare delle trasmissioni, in diretta, e abbiamo fatto delle cose meravigliose dal vivo. Il nostro appuntamento fisso in radio era al giovedì ed era sempre bello parlare con le persone che ci chiamavano durante le puntate. Noi in quel periogdo suonavamo al Capolinea e al Bar Commercio.



JC: Secondo te, oggi c’è ancora spazio per il Dixieland e per la musica di New Orleans? Il pubblico giovane segue i vostri concerti?


LI: Non è più la musica che i giovani ascoltano oggi, questo è chiaro… ma ci sono diversi ragazzi che si interessano e vengono ai concerti: certo, sono sempre meno…



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