Anouar Brahem – Blue Maqams

Anouar Brahem  - Blue Maqams

ECM Records – ECM 2580 – 2017





Anouhar Brahem: oud

Dave Holland: contrabbasso

Jack De Johnette: batteria

Django Bates: pianoforte






Sostiene Anouar Brahem che fra Jazz e musica tradizionale araba ci sia una sorta di contiguità (un’eco, per usare le sue stesse parole) dovuta alla pratica dell’improvvisazione, anche se questa contiguità si manifesta soprattutto nel lavoro di elaborazione del materiale tematico («sono un ricamatore di melodie», ha detto in un’intervista). Sostiene anche che il jazz, arte libera e aperta, l’ha affascinato fin dagli anni in cui, al Conservatorio di Tunisi, studiava la musica mediorientale. Queste riflessioni sono alla base dell’ultimo lavoro discografico del maestro tunisino. In questo disco pubblicato per ECM, inciso a New York, Brahem interagisce con un vero proprio dream team nella ricerca di una possibile e sognante risonanza fra linguaggi e storie diverse e distanti, di un luogo d’incontro (il termine arabo Maqams ha il duplice significato di luogo e di un sistema musicale modale), dove intessere un dialogo fatto di sfumature e sottigliezze.


Per Brahem, musicista abituato a previlegiare la dimensione compositiva, si trattava di approfondire il tema dell’improvvisazione. Per questo ha inserito per la prima volta nell’ambito delle sue composizioni anche dei frammenti totalmente improvvisati (Taqsim) propri della tradizione araba.


Nelle bellissime note di copertina del disco, Anouar Brahem ammette di avere una concezione un po’ troppo “dirigista” del discorso musicale e che la sua mentalità non è esattamente jazzistica. Dà conto anche delle discussioni avute nel corso della registrazione con i suoi compagni di viaggio e della mediazione, svolta da Manfred Eicher.


Il risultato finale, alla luce e al di là di queste considerazioni (e di queste contraddizioni), è dei migliori. Blue Naqams è un disco splendido, anche per le sue imperfezioni. La parte strettamente “jazzistica” non è, infatti, sempre fluida; talvolta appare un po’ artificiosa, sovrapposta; ma le melodie di Brahem sono sempre incantevoli come incantevoli sono i suoi soliloqui improvvisati (i citati Taqsim). Jack De Johnette si muove, usando le parole stesse di Brahem (difficile trovarne di migliori), con la delicatezza di un gatto. Il basso di Dave Holland da spessore e compattezza alle atmosfere oniriche proposte dalla scrittura di Brahem, Django Bates sorprende continuamente. In certi momenti appare come un alter ego pianistico del leader.


Lungi dal voler essere un pastiche fra musiche diverse (esito del tutto impensabile per un artista rigoroso come Brahem) il disco rende intera all’ascoltatore la gioia, e la fatica, dell’incontro fra culture e sensibilità diverse.



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