Lingosphere: Maurizio Giammarco presenta il ritorno di Lingomania

Foto: copertina del disco










Lingosphere: Maurizio Giammarco presenta il ritorno di Lingomania




I Lingomania sono tornati ma la sensazione che si ha è che non si siano mai fermati. La loro musica continua ad essere sempre attuale; anzi appare più ricca di contenuti rispetto al passato. Si perché hanno colmato il lasso di tempo che li separa dalla loro ultima incisione con l’esperienza di anni spesi, singolarmente, a sperimentare, collaborare, e praticare nuove idee e percorsi. Lingosphere è il nome del loro ultimo progetto. Un disco intrigante, curioso, di forte fascino, tecnica e suonato divinamente. Maurizio Giammarco, una delle anime del gruppo, ci risponde così alle nostre domande.



Jazz Convention: Perché i Lingomania dopo tutti questi anni, trenta esattamente, hanno deciso di rimettersi assieme e tornare sulla scena musicale?


Maurizio Giammarco: A prescindere dalla nuova musica, che era bella pronta per essere suonata, ci sono due aspetti importanti legati al nome Lingomania. Uno “umano” e un altro “storico”. Rispetto al primo devo ricordare che Lingomania fu il momento clou di una serie di esperienze portate avanti, con formazioni varie, da un gruppo di musicisti “amici” che cresceva, lavorava e sperimentava in comunità. Diversi progetti personali, registrati a nome dei miei colleghi in quegli anni, stanno lì a testimoniare questo continuo scambio di energie, all’epoca per noi vitale. Sta succedendo anche adesso, a Roma e altrove, con una nuova generazione di ottimi musicisti che meriterebbero secondo me molta più attenzione. L’altro aspetto, quello storico, emerge in prospettiva costatando a posteriori il riscontro avuto dal gruppo negli anni. Questo dato ci ha dunque spronato a una sorta di riepilogo, a un tirare le somme, e al voler ricordare e celebrare il nostro passato in un momento, quello attuale, in cui tutto il jazz, in particolare quello nostrano, vive uno stato di grande sofferenza, anche a causa di una memoria storica oscurata dalla fraudolenta indifferenza delle istituzioni e dal sistematico annientamento del mondo culturale perpetuato dai media. Ora, per tornare alla domanda, entrambi questi fattori sono stati decisivi per la nostra riunione: la voglia di ritrovarsi, e la voglia di ricordare a tutti: “eravamo quello, ora siamo questo, e stiamo comunque lottando come prima per suonare la musica in cui crediamo.



JC: Negli anni ottanta siete stati un gruppo di riferimento molto importante; oggi cosa volete essere?


MG: Se siamo stati un gruppo di riferimento la cosa ci fa ovviamente molto piacere, ma penso che i musicisti debbano suonare quello in cui credono con sentimento e onestà intellettuale, senza porsi altri obiettivi. Saranno poi gli altri, eventualmente, a decidere. Questa convinzione non ci ha mai abbandonato. Tutt’al più, ci piacerebbe venire considerati un esempio. Ma quello che vorremmo essere o no è irrilevante rispetto alla realtà di un pubblico giovane che sostanzialmente non conosce la nostra storia e dunque va nuovamente convinto con l’unica forza a nostra disposizione: la musica.



JC: Che differenza c’è tra la musica che suonavate trent’anni fa e quella attuale?


MG: Per l’appunto trent’anni di passato musicale avvenuto, per tutti noi, nei contesti più diversi, spesso con musicisti di livello internazionale. A suonare il Jazz non si smette mai di crescere. Tuttavia, nel nostro caso, le esperienze dei singoli devono necessariamente confluire in un contenitore particolare: un gruppo a nome collettivo dove la musica proposta deve cercare una sua codifica e trovare una chiave di trasmissione convincente per far arrivare questa codifica a un pubblico essenzialmente nuovo, molto più distratto e sommerso da un’offerta esagerata e decisamente più diversificata di una volta. Bisogna quindi riuscire a rinnovarsi senza perdere l’identità di gruppo già acquisita. È una bella scommessa, ma a noi le scommesse ci piacciono.



JC: La formazione di Lingosphere è la stessa del vostro primo disco Riverberi, Maurizio Giammarco, Umberto Fiorentino, Furio Di Castri e Roberto Gatto, tranne un’eccezione: al posto di Flavio Boltro c’è Giovanni Falzone. Com’è caduta la scelta sul trombettista siciliano?


MG: Giovanni è un trombettista fenomenale, ma soprattutto un musicista il cui percorso e atteggiamento artistico mostra una totale sintonia d’intenti rispetto al nostro passato. È come se avesse suonato con noi da sempre.



JC: Nonostante siano passati molti anni, ascoltandovi, in questo nuovo disco si percepisce ancora meglio quanto la vostra musica fosse avanti…


MG: È un giudizio molto lusinghiero. Di certo, posso dire che all’epoca eravamo sulla stessa lunghezza d’onda di molti nostri colleghi coetanei d’oltre oceano. Le nostre soluzioni musicali erano quelle di una generazione cresciuta dentro le turbolenze creative degli anni ’60 e ’70, fra un passato jazzistico profondamente amato e completamente assorbito, e la nuova energia proveniente da una controcultura giovanile genuinamente trans-nazionale e avvertita come altrettanto importante. L’idea di gruppo in fondo veniva da quest’ultima. E il ritorno a forme composizionali estese (rilanciato dai Weather Report) era allora una risposta al radicalismo, a volte gratuito, che aveva allontanato una gran fetta di pubblico dal Jazz. Il fermento creativo di quegli anni aveva finalmente accorciato le distanze, non solo geografiche, e probabilmente Lingomania ne forniva un esempio evidente



JC: In esso si sono stratificati anche trent’anni di esperienze musicali, che immaginiamo avete sintetizzato in questo lavoro.


MG: Siamo sempre il prodotto del nostro vissuto, e questi ultimi trent’anni d’inevitabile deriva individualistica hanno permesso comunque a tutti di crescere a livello personale. Il bello della maturità sta nella disinvoltura, lucidità e libertà con la quale utilizzi, sia a livello progettuale sia nel momento in cui suoni, qualsiasi materiale ritieni opportuno.



JC: I compositori sono rimasti gli stessi anche in Lingosphere: sei brani di Giammarco e due di Fiorentino. Ritenete di essere voi due la parte creativa del gruppo o, a prescindere dall’appartenenza dei pezzi, c’è anche il concorso degli altri?


MG: Il lato composizionale è in effetti, per ora, lasciato soprattutto alle nostre mani. Vedremo in futuro. Suoniamo comunque una musica che lascia spazio al concorso degli altri, e molte decisioni vengono prese insieme. Le nostre composizioni comunque, sono garanzia di una certa continuità stilistica.



JC: Molti Anni Fa è un brano inedito ripescato per l’occasione…


MG: Il brano è stato sottoposto a un “lifting”, ma sostanzialmente mantiene le sue qualità primarie e il sapore di quell’epoca, cosa che ci diverte molto. È anche molto divertente suonare col nostro spirito odierno brani del vecchio repertorio (in genere ne suoniamo giusto un paio a concerto) e renderci conto di quanto un brano, se è buono, resista tranquillamente nel tempo



JC: Lingosphere è un episodio o un nuovo inizio


MG: Spero molto nella seconda delle ipotesi, anche se siamo tutti musicisti molto impegnati su vari fronti, il che non facilita le cose. Personalmente avrei ancora un bel po’ di musica “lingomane” da scrivere, suonare e registrare.



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