Kim Myhr – You | Me

Kim Myhr - You | Me

Hubro Music – Hubro CD/LP 2593 – 2017



Kim Myhr: chitarra elettrica, chitarra acustica, elettroniche

Tony Buck: batteria, percussioni

Ingar Zach: rullanti, percussioni, elettroniche

Hans Hulbækmo: percussioni







Difficile un approccio neutrale ad un lavoro musicale dai tratti insieme frizzanti e sfuggenti, foriero di una certa quanto ineffabile provocatorietà, a firma di un giovane talento norvegese di dichiarato praticantato nell’ambito della “musica sperimentale” (soprassedendo sulla vaghezza del termine), quanto meno orientato allo studio dell’esplorazione fisica dei propri strumenti, e vantante relazioni formative anche con i percorsi del primo Morton Feldman.


Plasmate su chitarre trattate in guisa di cordofoni ma anche di “telai” acustici, e flussi elettronici, su cui i partner-percussionisti intessono dinamiche cornici strutturative, le due parti del lavoro sono concepite pensando alle due facciate di un classico LP (quantunque il sound d’insieme sia distante da quanto mediamente espresso nelle ere viniliche), nell’orientativa insegna dello “immergersi e nuotare nel suono”, come rafforzato dalla marina immagine di copertina, adottata ancor prima di dar vita ad una sola nota dell’album.


Animato da logiche iterative, nelle sue componenti ritmiche non lascia escludere affinità con i materiali reichiani dei credits (verrebbe per analogia da ripensare a quanto prodotto dalla coppia creativa Steve Reich / Pat Metheny in Electric Counterpoint, ma le irradiazioni ispirative sono ben più estese), laddove nelle piste solistiche possiamo ammettere un personale grado di libertà in forma psichedelica, pur mantenendo il soundscape entro canoni di palese rigore.


Non privo di senso avventuroso e nerbo epico, You | Me si sviluppa in complessità, per «densa accumulazione di informazioni sonore in cui il processo della percezione è importante al pari di quanto percepito»: alla luce delle premesse, e tentando un bilancio dell’ascolto (dalle gratificazioni non scontate), appare insomma che la psicoacustica ma ancor più processi induttivi entrino in ruolo nella fruizione di questo lavoro di tratti “oceanici” segnato dal “moto ondoso” della successione dei passaggi sonori.



Link correlato: www.kimmyhr.com