Loano. 26/28.7.2022
Foto: Martin Cervelli
La diciannovesima edizione del Premio Loano per la musica tradizionale è dedicata all'”arte del raccontare”. Alcuni fra gli artisti invitati alle tre serate, al pomeriggio, nel ridotto del Giardino del Principe, trovano la maniera di illustrare i loro progetti, allacciati alla storia delle loro terre, ma aperti, in generale, ai nuovi linguaggi, alle sonorità del tempo presente, in un proficuo passaggio fra l’antico e il moderno, per innovare veramente, dall’interno, la tradizione.
Inizia il 26 luglio Giuseppe Moffa, autore e musicista molisano, che relaziona sui contenuti del suo ultimo album “Uauà”, omaggio al conterraneo Eugenio Cirese, poeta, saggista, studioso della cultura contadina. Moffa ha un background solido, che spazia dal rock, al blues, al jazz e un amore sviscerato per gli strumenti tipici del folklore. In più conosce benissimo le differenze dialettali fra zona e zona della sua regione e, perciò, nel suo repertorio, le comprende e le valorizza tutte, nella loro peculiarità. Il dialogo con Ciro De Rosa ed Enrico De Angelis scorre veloce ed è pieno di rimandi alla carriera artistica dell’ospite, ai suoi album precedenti e al “Metodo per Zampogna”, contributo non secondario alla conoscenza dell’aerofono a sacco.
Alla sera Moffa apre ufficialmente la rassegna, in un set condotto in coppia con il bassista Lorenzo Mastrogiuseppe. Il repertorio si muove fra ninne nanne e serenate, stornelli e canzoni a dispetto. Per ogni brano c’è una introduzione parlata, una postilla messa lì per spiegare da dove nasce l’ispirazione, dai momenti di vita vissuta, anticamente, che hanno favorito la costruzione semantica del pezzo. Come deviazione da questo percorso rettilineo, lo zampognaro, come da sua auto-definizione, imbraccia lo strumento prediletto e si lancia in un omaggio a Dave Brubeck, santone del jazz bianco, per dimostrare che pure gli strumenti della tradizione possono swingare con profitto, se a suonarli c’è chi li sa maneggiare.
Con un veloce cambio di palco, subito dopo, entrano in scena Peppe Barra e il suo quintetto, a nove anni dall’ultima partecipazione al festival loanese. Il cantante è in ottima forma e snocciola le perle del suo repertorio, senza risparmiarsi. Si va dalle villanelle agli omaggi agli autori napoletani, come Enzo Gragnaniello, fra gli altri, alla ripresa di qualche brano di “Cipria e caffè”, ultimo doppio cd dell’ex componente della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Barra tiene la scena come pochi, sa toccare le corde dell’ironia e quelle dell’emozione con eguale capacità. In particolare si distinguono, all’interno del set, una impagabile interpretazione di Papaveri e papere “all’arrabbiata” e una “Tammurriata nera” resa ancor più dolente e angosciata rispetto alla versione storica. Il gruppo alle spalle del leader macina musica con rara maestria e si ritaglia due parentesi “in solitaria” in cui si evidenziano competenza e intesa ad alto livello.
Il 27 luglio, Guido Festinese incontra Ettore Castagna, personaggio eclettico se ce n’è uno, romanziere, saggista e antropologo, oltre che musicista, naturalmente, abbarbicato tenacemente alla sua Calabria, come fonte di ispirazione e di vita. Nel 2022 è uscito “Eremia”, primo disco interamente a suo nome dell’artista aspromontano, finito al secondo posto nella classifica del premio Loano. Nel dialogo con il giornalista genovese, Castagna tira fuori tutta la sua verve, il sense of humor, la capacità di sorprendere e di conquistare, in una serie di racconti anedottici del tutto irresistibili.
Sergio Albertoni intervista, quindi, Rachele Andrioli vincitrice del Premio Loano per il miglior album e per la categoria giovani. La musicista salentina racconta le sue esperienze in ambito artistico, in parallelo con l’interesse per la musica popolare. In particolare, riferisce di essersi diplomata in canto jazz e di aver avuto la possibilità di lavorare con Arto Lindsay e Baba Sissoko, come nomi di punta su un ventaglio di altre collaborazioni. Attualmente la Andrioli dirige un coro di una quarantina di persone che ha formato con passione attraverso lezioni ed esperienze sul campo.
Comincia la seconda serata, alle 21 e 30, Ettore Castagna a voce, chitarra acustica, battente e alla lira, insieme al bassista Carmine Torchia e al percussionista Peppe Costa Yosonu. Il musicista catanzarese conferma le sue doti di intrattenitore, inframezzando i pezzi con la narrazione di episodi, di vicende, curiosi e divertenti. Le sue canzoni, in calabrese, arabo e greco, hanno un andamento rockeggiante e un’anima folk. In questo caso la tradizione è ampiamente rispettata, poiché il rinnovamento valorizza l’impianto popolare dei vari brani, aggiungendo un ritmo attuale o attualizzante, senza stravolgerne, però, la specificità.
Rachele Andrioli, successivamente, si presenta da sola sul palco, con il tamburello, la loop station e il flauto. Il concerto riprende le tracce contenute in “Leuca”, in una versione, giocoforza, più essenziale. Nel disco d’esordio sono, infatti, presenti parecchi ospiti, oltre al coro femminile, citato in precedenza. La musicista leccese si destreggia abilmente con il tamburello e l’elettronica, mentre usa la chitarra (di cui confessa di non essere una virtuosa) per accompagnare le sue composizioni. Il flauto, invece, serve ad aggiungere fragranze e colori alla sua proposta. Risalta, in particolare, la voce della cantante pugliese, dotata di un’estensione notevole e di una potenza drammatica convincente, adatta a valorizzare i testi dei suoi brani. Il pubblico applaude senza riserve, alla fine della performance, ma non richiede il bis. Probabilmente gli spettatori comprendono che nel concerto era racchiuso tutto quanto la Andrioli avrebbe potuto offrire nello spazio temporale a sua disposizione.
L’ultimo giorno, Jacopo Tomatis e Ciro De Rosa incontrano Dina Staro, a cui quest’anno è assegnato il Premio De Mari, per l’attività svolta “nella promozione dei suoni della tradizione”. La Staro descrive, nei suoi interventi, l’importanza del ballo nelle varie fasi della vita, individuale e sociale, della gente di montagna, in specie del suo territorio, la valle del Savena.
Alle 21 e 30 la Staro, in compagnia del percussionista Riccardo Tomba dà di piglio al violino, oltre che a cantare sue composizioni, in maggioranza. Ascoltata così, priva dell’aspetto coreutico, la proposta si rivela asciutta, troppo scarna e monocorde. Nessuno mette in dubbio la seria attività di ricercatrice, da parte dell’etnomusicologa emiliana, ma l’impatto “spettacolare”, se così si può dire, del set è piuttosto deludente. Si arriva, cioè, con una certa fatica, alla fine dei tre quarti d’ora di esibizione.
Chiude la diciannovesima edizione del Premio Loano il gruppo piemontese-valdostano “Teres aoutes strings band”, che si è piazzato al nono posto con l’album “Meusecca servadze” nella classifica ufficiale. Il quartetto racconta storie di piemontesi e valdostani, magari non notissimi, che hanno, però, dato lustro alla loro terra con imprese mirabolanti, o perlomeno singolari. I ritmi delle canzoni coinvolgono balli tradizionali come la boureè, con una spruzzata di modernità e agganci ad un country-rock selvatico, di montagna. Il set è sicuramente piacevole, anche se, gira che ti rigira, i climi evocati sono abbastanza uniformi.
Si conclude così la diciannovesima edizione del premio Loano, condotto con la consueta sagacia dal direttore artistico Jacopo Tomatis, ben sostenuto dai suoi valenti collaboratori. La volontà di allestire una ventesima edizione con il botto, nel 2024, c’è, da parte degli organizzatori. Si auspica che da parte delle istituzioni e delle associazioni coinvolte ci sia uguale disponibilità a supportare adeguatamente la direzione artistica in vista di questo importante anniversario.
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