Pancevo (Serbia) – 3/5.11.2023
Foto: Vincenzo Fugaldi
Pancevo è una cittadina industriale a est di Belgrado, distante appena 20 km dalla capitale serba, attraversata dal Tamis e dal Danubio. Vi si tiene un festival, diretto da Vojislav Pantic, giunto alla ventiseiesima edizione. Concentrato in tre giorni, nell’auditorium del Kulturni Centar.
La prima serata è stata inaugurata da Ivan Aleksijevic, pianista serbo che si muove con grande dimestichezza negli ampi territori del mainstream, esibendo ottima tecnica, con gradevoli incursioni nel pop jazz, senza trascurare il blues. Negli ultimi due brani ha ospitato un giovane connazionale alla tromba, per un boppistico omaggio a Gillespie. Andy Sheppard era con il suo trio con Rita Marcotulli al pianoforte e Carlos Bica al contrabbasso. Utilizzando soprattutto il tenore e poco il soprano, il leader ha guidato la formazione nell’esecuzione di composizioni originali. Coesione, buoni equilibri, ottima interazione fra i tre strumenti, con il sax del leader che poggiava agevolmente sulle sapide armonizzazioni della pianista, alla quale concedeva ampi spazi solistici, mentre il contrabbassista giocava un ruolo essenziale, delicato e poetico. Il concerto finale nell’auditorium era affidato a un gruppo che non esiterei a definire di All Stars italiane: Alessandro Lanzoni al pianoforte, Matteo Bortone al contrabbasso ed Enrico Morello alla batteria, con ospite il sax alto di Francesco Cafiso (nella foto). Tutti trentenni eccetto il contrabbassista, da poco entrato nei quaranta, questi musicisti sono sulla breccia da lungo tempo, e ciascuno di loro vanta esperienze musicali di alta qualità, sia da comprimari sia da leader. Insieme per un breve tour, hanno eseguito composizioni originali di ciascuno, alcune di notevole complessità. Un jazz moderno avvincente, eseguito al meglio da artisti che mostrano una evidente maturità espressiva. Cafiso, dopo le recenti esperienze di studio statunitensi, mostra un suono e un fraseggio misurati e ancora più maturi, e per lui si intravedono ulteriori luminosi e meritatissimi sviluppi di carriera.
Maciej Obara, polacco, classe 1981, tre dischi per ECM (l’ultimo uscito quest’anno), da anni collabora con colleghi di area scandinava. A Pancevo era accompagnato, oltre che dal vecchio collaboratore connazionale Dominik Wanja al pianoforte, da Ingebrigt Håker Flaten al contrabbasso e Jon Fält alla batteria. Con un repertorio tratto dal recente “Frozen Silence” e brani di Zbigniew Seifert, Obara, qui solo all’alto, ha suonato un jazz contemporaneo libero, aperto all’improvvisazione, nella temperie del miglior jazz europeo odierno di area nordica. Ardente e dinamico solista, Obara coniuga passione e intensità, e tutto il quartetto ha mostrato totale aderenza alla sua proposta, che ha assecondato con costante impegno, con puntuale creatività e fornendo una costante lezione di interplay.
Flat Earth Society è una big band belga attiva da oltre un venticinquennio. Ampia discografia ed eccellenti collaborazioni (Reijseger, Caine), l’orchestra, nella serata in Serbia composta da quindici elementi, ha mescolato ingredienti assai gustosi come Mingus, Zappa e ironia in quantità, il tutto legato da arrangiamenti brillanti e arricchito da folgoranti prestazioni solistiche. Guidata dal fondatore, il clarinettista Peter Vermeersch, l’orchestra è composta da ottimi solisti, soliti spostarsi innanzi per effettuare i loro assolo. Ne citerei uno, sorprendente e carico di ironico sberleffo, da parte di Pauline Leblond alla tuba. Un concerto trascinante e memorabile.
Nell’ultima serata del festival, Il trio del pianista Yonathan Avishai, israeliano attivo in Francia, con Yoni Zelnik al contrabbasso e Donald Kontomanou alla batteria. Avishai è collaboratore del trombettista Avishai Cohen, e ha inciso numerosi album, anche per ECM. Ha un suono e un fraseggio pulitissimi, e un linguaggio che non si distacca dalla tradizione del jazz, pur risultando abbastanza moderno e attuale. Un bel senso narrativo, ben coadiuvato dai partner, a tratti, nella gradevolezza e fruibilità, la musica è parsa tuttavia di una lieve leziosità. Repertorio di bei brani originali, e bis in piano solo sulle note di You can feel it all over di Stevie Wonder.
Già alla corte di Pat Metheny e Chris Potter, il giovane tastierista James Francies, classe 1995, due album Blue Note a suo nome, era a Pancevo in trio con Mike Moreno alla chitarra e Damion Reid alla batteria. Fusion d’antan, suonata benissimo, con tecnica travolgente e virtuosa da parte di tutti, veloce, dinamica, a tratti piuttosto muscolare. Francies si presenta come il nuovo asso delle tastiere, fra le quali si muove con dimestichezza assoluta, come dimostrato anche in una fulminante versione di My Favorite Things.
Le serate del festival si concludevano con dei concerti nel foyer del Centro Culturale: la prima serata con il quintetto serbo del contrabbassista Sava Ramjanac (con l’ottimo Ivan Radivojevic alla tromba), la seconda con un gruppo austriaco forte e innovativo, l’Ensemble Kuhle Wampe (Leonhard Skorupa, fiati; Michael Tiefenbacher, tastiere; Tobias Vedovelli, basso; Christian Eberle, batteria), che ha inciso recentemente un doppio album per l’etichetta viennese Waschsalon Records, e l’ultima con il quartetto del chitarrista serbo Jovan Milovanovic, ottima conclusione per un festival fresco e in costante crescita.
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