Roma, Casa del Jazz – 14/16.9.2025
Foto: Su gentile concessione Ufficio Stampa European Jazz’s Cool
Dal 14 al 16 settembre, la Casa del Jazz di Roma ha ospitato European Jazz’s Cool, un progetto ideato dal Saint Louis che ha unito alcune delle realtà europee più rilevanti nell’ambito dell’insegnamento musicale – come la Royal Academy of Aarhus di Aalborg in Danimarca, la Metropolia di Helsinki e la AP Hogeschool di Anversa – in un percorso innovativo di alto perfezionamento. Una residenza artistica articolata nel corso della settimana precedente e che poi si è rivelata al pubblico nell’auditorium della prestigiosa struttura romana. Tra ottobre e novembre, i ragazzi che hanno partecipato al progetto si esibiranno nei conservatori di Aalborg, Helsinki e Anversa, in un tour europeo che li vedrà al fianco di affermate star del jazz internazionale.
Nella tappa romana, European Jazz’s Cool ha avuto tra i suoi tutor musicisti importanti come Reiner Baas, Dario Deidda, Jan Lundgren, Gegè Telesforo, Francesca Tandoi e Francesco Cafiso, in rigoroso ordine di apparizione, ad affiancare i giovani interpreti. E con la collaborazione dell’Ufficio Stampa di European Jazz’s Cool, abbiamo potuto raccogliere le impressioni del pianista svedese, impegnato sul palco lunedì 15 settembre, sul lavoro compiuto con i ragazzi.
Jazz Convention: Come avete scelto il repertorio per il concerto?
Jan Lundgren: Sono stato invitato dal Saint Louis a fare questo lavoro con gli studenti e il metodo che ho usato è stato chiedere ai ragazzi se avessero delle composizioni da proporre. Dal momento che dovevamo tenere un concerto di cinquanta minuti, abbiamo scelto di suonare una composizione di ciascuno dei cinque componenti del gruppo, a questi ho aggiunto poi un mio brano. È stato in qualche modo un concerto unico e decisamente buono nella sua realizzazione. Abbiamo lavorato sulle composizioni, sull’improvvisazione e sui vari aspetti legati alla musica ma soprattutto ho voluto incoraggiare il loro lavoro sulla composizione, un aspetto decisamente fondamentale. Ciascuno di loro ha il proprio talento, una prospettiva particolare, alcuni di loro hanno già delle esperienze in diversi generi musicali: mi hanno fatto un’ottima impressione, senza dubbio, ho trovato una bella convergenza di personalità e abilità musicali. Mi aspettavo di trovare musicisti di alto livello, preparati con uno standard universitario, anche se poi in realtà non sai cosa troverai esattamente. Da parte dei ragazzi ho visto molta umiltà, apertura, capacità di ascoltare e di entrare in relazione con i diversi insegnanti, senza strutture precostituite. Sono qualità che permettono di suonare una musica come il jazz ai massimi livelli.
JC: E, in effetti, dalla platea ho avuto l’impressione che si sia percepito questo aspetto…
JL: È sempre rischioso quando si fa un concerto con persone che non hai mai incontrato prima, non puoi sapere esattamente quello che avverrà. Per di più suonando brani mai ascoltati prima o, addirittura come nel caso del brano portato dal contrabbassista, un brano composito una settimana prima.
JC: Cosa porti con te da questa esperienza e cosa hai trasmesso sul palco ai ragazzi durante il concerto?
JL: Amo sempre lavorare con i musicisti giovani perché hanno un entusiasmo enorme e portano una grande energia nella musica. Hanno uno slancio positivo ancora privo di routine e abitudini. L’energia dei giovani è la migliore energia che c’è al mondo. Insegno al Malmo College of Music dal 1991, ormai è un parecchio tempo. Abbiamo un importante dipartimento di jazz, creato negli anni ’70. Il metodo per insegnare il jazz non è lo stesso in tutti i contesti e si basa molto sulle caratteristiche del singolo insegnante. Ognuno ha la propria maniera di insegnare ma, alla fin fine, nel dipartimento ci influenziamo l’uno con l’altro. Per me la musica è a tutti gli effetti un linguaggio e può essere insegnata nella stessa maniera.
JC: Nel tuo Paese, la Svezia il sistema educativo musicale è supportato dallo Stato?
JL: Negli ultimi tempi, la politica sta supportando l’arte con meno contributi pubblici rispetto agli anni passati ma speriamo si possa tornare alla situazione precedente, perché le arti, e la musica tra queste, sono tra le cose migliori che abbiamo nel mondo, sono un sostegno per l’umanità. E penso che in particolare il jazz abbia la capacità di mettere insieme esperienze diverse e di far vivere la musica nel momento, attraverso l’improvvisazione. Penso che tutti dovrebbero imparare un po’ di jazz, ne beneficerebbe la società.
JC: Quando ti sei innamorato della musica?
JL: Ho amato la musica sin da piccolo, quando ho cominciato a suonare le prime note sul pianoforte con mio padre che suonava per diletto. Il grande amore è scoppiato a 15 anni quando uno dei miei insegnanti mi ha fatto ascoltare un disco del quartetto di Oscar Peterson, quello è stato il momento del grande amore per la musica e per il jazz…
Segui Jazz Convention su Instagram: @jazzconvention