Finnish Jazz. Intervista. Jukka Perko

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Intervista a Jukka Perko


Recensione a Kuunnelmia

Jazz Convention: Cominciamo da Kuunnelmia, parlando del lavoro che hai fatto sulle composizioni e la scelta dei musicisti.


Jukka Perko: Il nostro obiettivo era quello di realizzare un album con un’atmosfera molto ben definita (one-mood album, nell’originale, n.d.t.), con poche variazioni nel mood nel corso del disco. Abbiamo sempre trovato che gli album realizzati in questo modo fossero molto belli da sentire. Per raggiungere il nostro scopo, abbiamo suonato un enorme numero di concerti, più di ottanta, in chiese con questo trio, iniziando a costruire il repertorio con vecchi inni religiosi. Per la registrazione, l’idea era quella di arrivare in studio con del materiale originale, basato sulle idee che erano venute fuori durante questi concerti. Per quanto riguarda i musicisti, con Severi Pyysalo suono regolarmente ormai dal 1990 e il nostro interplay migliora continuamente. All’inizio avevamo il contrabbasso in questo progetto, ma a causa di problemi di suono, di rimbombo in alcune chiese, abbiamo chiesto a Teemu Viinikainen di unirsi a noi e abbiamo trovato che il suo suono e il suo modo di suonare fossero perfetti per il trio. Suonare in una stanza acustica adatta, con un riverbero naturale, è molto importante per questo trio; non dico che noi non si possa suonare in posti dove siamo costretti ad usare una amplificazione ma, dove l’ambiente lo permette, cerchiamo di suonare soltanto con i nostri strumenti, sfruttando l’acustica del luogo.



JC: Tra parentesi, nei due dischi nei quali ho sentito suonare Teemu Viinikainen, ho trovato in pratica due chitarristi diversi… Ci sono cose particolari che gli hai chiesto per questo lavoro?


JP: Il fatto che tu abbia sentito due diversi chitarristi in una sola persona, è un buon esempio di una capacità ormai abbastanza frequente tra i giovani musicisti di jazz che hanno studiato bene. Hanno imparato stili differenti e se la band con cui stanno suonando si muove su determinate coordinate stilistiche loro sanno cosa fare. Per il nostro progetto non gli ho chiesto altro che di suonare la chitarra acustica; spero che il fatto che l’approccio generale del nostro trio non sia basato su nessun precedente o su nessun progetto esistente che venga dalla tradizione americana del jazz, su nessun gruppo o stile, abbia lasciato a Teemu maggior libertà di inserire delle cose personali, delle cose che non si riferissero, necessariamente, a uno stile, a un riferimento della tradizione del jazz.



JC: I titoli: tu hai dato ai brani, e all’album, titoli finlandesi. Puoi darci la traduzione e qualche traccia del percorso che hai seguito per la scelta dei titoli?


JP: L’idea era quella di fare una sorta di dichiarazione di appartenenza nazionale dando dei titoli in finlandese ai nostri brani. Ecco alcune delle traduzioni: Sulla nuova frontiera, Avrò tempo, Ero giovane, Oggi arriverà, Avremo la forza di andare avanti?…
I titoli devono darti una certa idea dell’atmosfera del brano. Ho sempre trovato che nella tradizione del jazz, molti titoli sono pressoché astratti e rendono la musica ancor più astratta di quanto già lo sia in realtà. Questo può portare spesso la musica lontana dall’esprimere i sentimenti che vengono vissuti tutti i giorni, sui quali si suppone sia basata. Abbiamo scelto una direzione più ingenua ed abbiamo preferito titoli e brani “piccoli” piuttosto che “grandi”…



JC: Kuunnelmia è un disco molto lirico e il tuo stile di scrittura crea una atmosfera poetica che percorre tutto il disco.


JP: Per mio conto, ho sempre trovato che una musica tonale e melodica fosse poetica e lirica…



JC: Il legame con la tradizione. Land of Canaan, soprattutto, ma anche alcuni elementi che hai inserito in Kuunnelmia.


JP: Per diversi anni ho suonato jazz puro basato sulla tradizione americana. Ma ho sempre continuato ad avere un interesse profondo per le mie radici e per il patrimonio culturale finlandese, senza riuscire in modo completo a fondere le musiche tradizionali con il jazz che suonavo. Alla fine degli anni ’90, sono riuscito a trovare il mio modo personale di mettere insieme la tradizione finlandese e il jazz realizzando un album chiamato “Music of Olavi Virta”. La musica presente nel disco riprendeva dei brani di tango che sono stati celebri in Finlandia per molti decenni. Dopo questo lavoro, ho sentito e realizzato in modo naturale l’inserimento nei miei lavori, nel mio modo di suonare, di elementi della tradizione finlandese. Il tutto alla fine è arrivato senza sforzi o tentativi.



JC: Puoi dirci qualcosa sul lavoro filologico e musicale che hai compiuto per Land of Canaan?


JP: Io sono cresciuto in una famiglia molto religiosa. Perciò gli inni sacri, quel tipo di musica, hanno costituito una parte molto importante nella infanzia. Tutti i brani che sono presenti nel disco, io li conosco, per averli ascoltati e cantati sin da quando ero un ragazzino. É stato un compito davvero piacevole cercare gli arrangiatori per Land Of Canaan: dapprima pensavo sarebbe stato molto difficile, ma tutti i ragazzi ai quali mi sono rivolto sono stati coinvolti nell’operazione sin dal primo minuto. Dal momento che ci sono cinque arrangiatori coinvolti nel disco, la musica varia in un modo molto naturale, ma, d’altro canto, ognuno di loro ha grande rispetto e comprensione della musica sacra tradizionale e questo ha fatto sì che il risultato generale fosse molto compatto.



JC: Nel tuo modo di suonare, nei tuoi dischi si riflettono influenze classiche e alcuni passaggi in Kuunnelmia e Land of Canaan, riflettono chiaramente influenze sia jazz che classiche…


JP: Io non ho svolto un corso di studi regolare né per il sassofono jazz che per quello classico. In effetti, sono un sassofonista autodidatta che ha avuto lezioni da grandi sassofonisti. Ovviamente ho ricevuto diverse lezioni di teoria classica, ma credo che gli elementi classici vengano fuori dalla tradizione, molto forte, che abbiamo in Finlandia: nel momento in cui la Finlandia è diventata indipendente, Sibelius aveva già dato una forma musicale a tutti i forti sentimenti nazionali che noi finlandesi avevamo allora e continuiamo ad avere. Questo rende la sua musica ancora molto attuale e significativa per tutti noi.



JC: The Poppoo e Hurmio: puoi parlarci di questi due progetti?


JP: The Poppoo è stato formato nel 1990, quando io e Severi Pyysalo abbiamo cominciato a collaborare. Temo di non poter descrivere, fino in fondo, la musica di Poppoo, ma la direzione del gruppo è cambiata nel 1996 quando abbiamo sostituito la sezione ritmica. Dopo questo cambiamento abbiamo suonato più jazzy che in precedenza. Abbiamo fatto tre dischi in tutto (due con la prima sezione ritmica, uno con la seconda) e, al momento, pare che sia tutto. Hurmio è un gruppo che si è formato su un progetto molto ben definito: come dicevo prima, ho messo insieme il gruppo per suonare interpretazioni jazzistiche di tango finlandesi. Avevo sempre sognato di costituire una band con due sassofoni e nessuno strumento armonico e ho deciso di realizzare questo sogno con il repertorio del tango. L’arrangiamento che ne è venuto fuori è molto più contrappuntistico rispetto alla maniera tradizionale di arrangiare del jazz.



JC: Ho letto di un concorso chiamato Jukka Perko Saxophone Competition. Puoi raccontarci com come è nato e come si svolge? Immagino sia anche un modo per rivolgere l’attenzione verso i giovani musicisti finlandesi.


JP: Il concorso è rivolto a giovani sassofonisti jazz e si tiene nella città in cui vivo, Huittinen, e si svolge ogni tre anni. L’idea è quella di dare la possibilità ai giovani musicisti di stare insieme e di portare all’attenzione generale il livello, clamorosamente alto, raggiunto dai sassofonisti finlandesi in questi anni. Il concorso è aperto ai sassofonisti che abbiano meno di trent’anni.



JC: Qual è il tuo punto di vista sulla scena jazz finlandese?


JP: La scena jazz è sicuramente migliorata, e in molti sensi, rispetto agli anni ’80, quando ho cominciato la mia carriera. Il livello medio dei musicisti è cresciuto in modo notevole e anche il pubblico è composto ormai da persone di varia estrazione. La scena jazz finlandese si può considerare molto viva, con uno spettro di stili e generi molto vario. C’è in Finlandia un buon numero di festival, anche se poi festival che portano il nome di Jazz Festival, non necessariamente sono dei veri e propri Jazz Festival, ma, comunque, hanno all’interno dei loro programmi una buona dose di musiche legate al jazz.
Come un po’ in tutta Europa, soprattutto i giovani musicisti che si sono formati nelle scuole, sono fortemente influenzati dal mainstream jazz americano. Ma è importante per noi musicisti finlandesi di jazz che nessuno tra i più importanti musicisti degli anni ’50 e ’60 continui a suonare gli standard ma suonino le loro composizioni, molto di più, ad esempio, di quanto non facciano i loro colleghi svedesi e, soprattutto, danesi. Penso che questo dipenda dal fatto che nel nostro paese noi abbiamo una tradizione jazz molto forte. Questo porta la scena jazz finlandese ad essere molto dinamica e flessibile, pronta ad assorbire influenze diverse da tutti gli altri generi musicali.