Intervista a Yara Beilinson

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Intervista a Yara Beilinson.


Nata a Rio De Janeiro, vissuta a lungo a Buenos Aires, ora di stanza a Barcellona la trentaquattrenne Yara Beilinson è tra le maggiori cantanti jazz di cultura latinoamericana, in grado di cantare swing, tango e bossanova in spagnolo e portoghese, con voce originale, sottile, limpida, sensuale, che prestò verrà confermata dal secondo album, registrato in Svizzera, con altri intenti rispetto all’album di debutto Presente para vocês. Di questo e altro ancora ne parliamo con lei, persona dolce e disponibile, bella, simpatica e impegnata politicamente.



Jazz Convention: Yara, quando hai cominciato seriamente con la musica?


Yara Beilinson: Fin da bambina sapevo che avrei voluto dedicarmi a cantare, così, quindicenne, dopo aver ascoltato alcuni musicisti, ho chiesto un’audizione, perché volevo cantare con loro. Non se ero ben consapevole del fatto che questi musicisti erano come dinosauri, qualcosa di leggendario! Ma è andata molto bene. Fui presa dal panico un po’ perché era la mia prima volta da solista, ma al pubblico sono piaciuta. Tempo dopo già cantavo tutte le settimane in un locale o di musica brasiliana con musicisti anche loro brasiliani.



JC: Facendo ora in balzo in avanti, c’è stato poi nel 2005 per la Blue Moon il tuo primo disco…


YB: Avevo già partecipato a dischi di altri colleghi ma Presente para vocês è in effetti il mio primo album e per come avevo deciso di farlo, inevitabilmente sono incorsa in molte difficoltà e ho impiegato molto tempo per lavorarci. Ricordo su un venerdì sera che camminavo tenendo due valigie pesantissime sotto la pioggia per portare i microfoni che ero finalmente riuscita ad avere e con i quali abbiamo voluto registrare. Un’altra esperienza che ricordo in merito al disco è di aver passato una giornata intera a testare i microfoni in studio o di aver lavorato con gli studenti tutto il giorno in attesa di essere in studio alle quattro e mezza del mattino, con il tecnico impegnato in un’altra stanza, mentre io dovevo iniziare a registrare le voci in quel momento; e ricordo tutto ciò che è stato postproduzione, il missaggio, il design, le foto, i negoziati con le etichette discografiche, eccetera. Ma, nonostante i problemi, il disco rimane resta per me una esperienza anche interessante e gratificante.



JC: È importante, per te, ora vivere un Spagna e lavorare in Europa?


YB: Devo dire che di positivo in Spagna (come in quasi tutta l’Europa), fortunatamente ci sono molti festival jazz, che sembrano grandi in quanto permettono al jazz di non essere più elitario; molte di queste iniziative sono feste estive all’aperto, con biglietti gratis che consentono a tutte le persone del villaggio o della città di venire a contatto con jazzmen sia giovani sia importantissimi. Grazie a questi festival in tanti angoli della Spagna, ho sempre sentito estrema apertura e totale accettazione da parte del pubblico, anche della mia musica. Sottolineo questo perché credo che in America Latina il jazz è ancora privilegio di un piccolo settore della popolazione.



JC: Hai in mente qualche esempio concreto o personale?


YB: Nel 1999 vivevo a Cuba, grazie a una borsa di studio presso l’Instituto Superior de Arte dell’Avana. Ho fatto l’audizione per cantare con il gruppo Afrocuba, un meraviglioso gruppo jazz, con il quale provavamo quattro volte la settimana, per cinque ore ciascuna, se non ricordo male, cantando poi quattro giorni a settimana presso il jazz club “La volpe e il corvo. Afrocuba era un gruppo conosciuto in tutta Cuba per la carriera e la qualità della musicale, ma tra il pubblico non c’era un cubano; è successo che i biglietti da pagare in dollari erano a un prezzo inaccessibile. So già che parlare di Cuba è molto particolare, ma poi vedo che in Argentina o in Brasile non è chiaro come si possa andare in un jazz club. Da molti anni non vivo in America Latina, ma ho capito che lì il jazz è ancora per l’élite, non come in Europa.



JC: Te la senti ora di definire il jazz, in poche parole?


YB: Beh, tenuto conto che il jazz è diventato famoso nel primo Novecento e continua non solo a essere praticato, ma si trova in continua evoluzione, credo che si potrebbe dire che è una forma di arte contemporanea. Come tale il jazz è anche una forma di espressione immensa.



JC: E quali sono i migliori album jazz per Yara?


YB: Più che i dischi, vorrei citarti i musicisti che amo di più: il gruppo E.S.T Esbjörn Sevensson Trio, di cui soffro tremendamente la mancanza per la morte del pianista nel 2008. E poi in questo momento mi piacciono Louis Scalvis, Dave Douglas, Yaron Herman, Jason Lindner, Esperanza Spalding, Akiko Pavolka, Patricia Barber, Gretchen Parlato, María Joao, Tania María, Marc Ducret, Bill Frisell, Gregoire Maret e tanti altri.



JC: C’è qualche musicista che ti ha influenzata particolarmente?


YB: Mi suona un po’ pretenzioso dire da chi sono influenzata, perché sono soprattutto musicisti che ammiro. Considero più onesto citare quelli che ho ascoltato e sono referenze assolute per come hanno sì influenzata la mia maniera di intendere e fare musica, cercando ogni volta di migliorare. E allora posso essere brasiliani come Joao Bosco, Chico Buarque, Guinga, Joao Gilberto, Tom Jobim, Djavan, Ivan Lins, Tania María, Leny Andrade, Elis Regina, Joyse, Gal Costa, Maria Bethania, Caetano, Zizi Possi, Leila Pinheiro, Rosa Passos, Toninho Horta, Cesar Camargo Mariano, Romero Lubambo, Jaques Morelenbaum, Dorival Caymmi, Hermeto Pascoal, Egberto Gismonti, oppure le cantanti jazz Sara Vauhgan, Ella Fitzgerald, Billie Holyday, Carmen Mc Rae, o grandissimi jazzmen quali John Coltrane, Miles Davis, Keith Jarrett, Michael Petrucciani, Bill Evans, Toots Thielemans, Joe Zawinul e tanti altri.



JC: Oggi in Spagna ci sono talenti jazz meritevoli di essere conosciuti nel resto d’Europa e del mondo?


YB: Certo, tantissimi! Inizierei a nominarti i jazzmen che hanno suonato nel mio disco, tra i migliori in Spagna, ciascuno con una propria individualità e con molti progetti in corso o alle spalle, come Horacio Fumero, Albert Bover, Llibert Fortuny, Marcelo Mercadantre, Luís Robisco o Alejandro Luzardo. Mi piaccia sottolineare che esistono molto grandi musicisti che sono meno noti o non portano avanti loro progetti, però sono figure trainanti per far funzionare il progetto di un altro come nel caso di Jose Luís Guart, con il quale abbiamo prodotto il mio album; lui arrangia, mixa, dirige; ed è uno dei pianisti con cui mi piace di più lavorare. Ma potrei citare anche Cidón Trindade, Danilo Pinheiro, Guillermo Carrizo, Nicolás Correa…



JC: Cosa stai facendo ora a livello musicale?


YB: Attualmente, oltre proseguire con i miei progetti di jazz brasiliano, per il quale sto componendo nuovi pezzi, sono in giro con un trio di tango e folk sudamericano con Gustavo Battaglia alla chitarra e Marcelo Mercadante al bandoneon; presentiamo composizioni di autori emblematici con l’intento di far conoscere soprattutto il folklore argentino, che non è solo samba o milonga, ma anche tango, chacarera, chamamé, eccetera. Anche come cantante solista faccio parte di un progetto molto interessante chiamato Messa spiritualista del compositore svizzero Robert Clerc, che ridiscute il sincretismo della cultura africana con quella europea lavoro è ispirato dal canto antifonale profano e cattolica e dalla tradizione yoruba e bantu; lo abbiamo già presentato al Victoria Hall di Ginevra e a Losanna, dove hanno registrato il disco in formazione ridotta composta, ma l’idea è girare l’Europa nel 2011 – e spero anche l’Italia dove non ho mai cantato! – per presentare questo lavoro, perché ritengo sia un fatto importante di interesse culturale.