Voicing the Free. Intervista a Lisa Manosperti

Foto: Ornella Ceci










Voicing the Free. Intervista a Lisa Manosperti.


A seguire la sua seconda uscita discografica per Dodicilune, abbiamo avvicinato la vocalist pugliese per conoscere, oltre al suo background, anche le ispirazioni e la preparazione di Where the west begins, panoramico volo canoro e strumentale (complici quattro assi del jazz nostrano, ben coinvolti ed in palese forma) dedicato all’ampia produzione e alla capitale figura di Ornette Coleman. Occasione per approfondire le motivazioni e gli umori di una grintosa artista, che in modo piuttosto personale si è cimentata nel “dare voce al Free”.



Jazz Convention: Parliamo di ciò che ti ha fatto avvicinare al mondo della musica e di ciò che ha sancito il tuo passaggio alla sfera professionale.


Lisa Manosperti: Per questo conosco il momento preciso! Circa 30 anni fa: un concerto di Archie Shepp al Teatro Petruzzelli di Bari, ero una ragazzina e fino ad allora avevo ascoltato Rock e cantautorato a piene orecchie! Il teatro era strapieno e quella sera sono stata fulminata dal suono crudo e graffiante di quello che rimane uno dei miei miti, tutt’ora il suo suono riesce ogni volta a catturare la mia anima! Qualche anno più tardi ho deciso studiare musica e canto jazz e già un anno dopo esordivo con il mio primo concerto allo Strange Fruit, storico jazz club barese, ormai purtroppo solo un lontano ricordo. Il concerto a mio parere fu un vero disastro anche perché avevo la febbre altissima, ma evidentemente a qualcuno devo essere piaciuta perché da li è cominciata la mia carriera artistica.



JC: Cos’ha guidato le tue scelte di repertorio?


LM: Sono nata musicalmente come autodidatta per cui agli inizi ho imparato a memoria i soli dei grandi del jazz con una predilezione per le Jazz singers, i saxofonisti e i trombettisti: Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Billie Holiday, Armstrong e poi Parker, Coltrane e tanti altri. Il mio percorso musicale ha subito profondi cambiamenti negli anni, pian piano i miei ascolti si sono diretti verso musicisti un po’ più aperti all’avanguardia come Norma Winstone, Cassandra Wilson, Steve Lacy, Wayne Shorter, Charlie Mingus e lo stesso Ornette Coleman, comunque musicisti sempre attenti alla “melodia”, un punto questo che io considero “di base”.



JC: Abbiamo seguito l’approfondimento in disco di grandi figure musicali (sia pur molto distanti) da Edith Piaf a Ornette Coleman: come hai approcciato queste scelte?


LM: Ho approfondito anche il repertorio degli standards, poiché ho militato in varie big band e ho fatto la classica gavetta nei jazz club. Anche il tango ha avuto un ampio spazio nella mia vita musicale, ma ad Edith Piaf, alla quale mi sono avvicinata casualmente, devo il mio modo ora di essere interprete: un monumento come lei doveva necessariamente essere masticato, digerito e riletto con rispetto ma senza emulazione alcuna. Ad affrontare il suo repertorio senza questi presupposti si rischia il ridicolo. Certo nel CD “La Foule” il supporto pianistico di Davide Santorsola è stato indispensabile: sono molto sensibile alle variazioni armoniche ed entro in profonda empatia con i musicisti con cui collaboro. Davide ha una visione molto personale dell’armonia. Quella di Coleman invece è stata una scelta voluta, avevo ascoltato Ornette in qualche occasione dal vivo e quello che più mi ha colpito di lui è che, nonostante la sua personalissima maniera di concepire la musica, i suoi brani, anche quelli più particolari, hanno dei temi cantabilissimi. Ornette semplicemente “È”: la sua musica non ha mai avuto la pretesa di essere capita. Io sentivo l’esigenza di incidere un nuovo disco e volevo coinvolgere nuovamente Roberto Ottaviano, questa volta come solista per l’intero CD ed è stato lui che ha lanciato l’idea di fare un disco su Ornette e di mettere i testi sui suoi brani. Pur sapendo che sarebbe stata un’avventura ardua, la cosa mi ha subito affascinato: adoro le sfide! Cantare i suoi temi mi ha aiutato a superare alcuni miei limiti. Felicissima poi la scelta dei musicisti, collaborare con loro è stato un momento di crescita professionale e umana! Tutti professionisti serissimi e musicisti ad altissimo livello, non potevo scegliere meglio per “Where the west begins”.



JC: A questo punto una tua idea del jazz…


LM: Un’energia in continuo mutamento quindi assolutamente imprevedibile, una possibilità per ogni musicista di cambiare le regole!



JC: E una tua idea del canto (e della performance)…


LM: Questa è la risposta più difficile da dare per me, parliamo di qualcosa di talmente intimo, talmente personale, qualcosa che fa così parte di te e che si porta dentro tutto il tuo vissuto! È un atto di una generosità incredibile, poiché sei estremamente vulnerabile in ogni performance! Questo è cantare per me, nella maniera più scarna di intendere la cosa. Poi naturalmente c’è un percorso di studio, la tecnica e la padronanza del tuo strumento hanno un indubbio valore, come insegnante lo so bene, ma uno dei complimenti più belli che ho raccolto me lo ha fatto proprio una collega ultimamente; mi ha detto: quando ti ho ascoltata per la prima volta ho pensato: “Questa qui è nuda mentre canta!” Ecco, questo si avvicina molto alla mia idea del canto!



JC: Qual è in questo momento e alla luce dello stato del mercato musicale il valore del cimentarsi in una nuova incisione discografica?


LM: Bella domanda! Ti rendi conto che la stai facendo ad una vocalist che ha dedicato un disco ad Ornette Coleman? Avevo la possibilità di incidere già anni fa il mio primo lavoro discografico, ma ho sempre creduto che un disco debba essere l’espressione di qualcosa di cui sei davvero convinto e questa convinzione vada al di là delle esigenze di mercato, per quelle ci sono canali mediatici più famosi. Un merito va riconosciuto anche alle etichette che rischiano assieme all’artista è chiaro. Inciderò prima o poi un disco di standards, ora però sono concentrata su altre cose, voglio cantare la mia musica.



JC: Quale valore hanno in base ai tuoi riscontri le piattaforme di promozione tramite Internet?


LM: Non posso negare che Internet “sia” un mezzo efficace e soprattutto economico per promuoversi, specie per chi lo fa senza avere agenti alle spalle come me, ma difficilmente chi ti ascolta su YouTube o altri siti ti chiama poi per i vari Festivals… può capitare, certo, ma non è la regola: c’è un lavoro promozionale enorme da fare e spesso anche questo non raggiunge l’obiettivo. Inoltre i canali preposti sono molto selettivi, sono pochi quelli che rispondono, anche solo per dirti no. Il momento poi non è dei migliori per la cultura e sono pochi i direttori artistici che danno spazio agli artisti emergenti, ma non voglio fare polemica: si, Internet fa la sua parte ma da solo non basta!



JC: Qual’è la tua testimonianza e il tuo bilancio per ciò che attiene al “mestiere dell’artista”?


LM: Un bilancio abbastanza positivo! Ho la possibilità di crescere di continuo, far sentire la mia voce, in tutti i sensi, essere me stessa, soddisfare la mia insaziabile curiosità, fare le scelte che credo opportune e questa non è una prerogativa di tutti i mestieri, senza contare poi che ti può anche andare bene e di conseguenza puoi arrivare persino a guadagnarti da vivere!