Birth of the cool. Una rilettura possibile

Foto: Fabio Ciminiera





Birth of the cool. Una rilettura possibile.

Roseto degli Abruzzi, Villa Comunale – 21.6.2012.


Francesco Di Giulio: trombone

Giacomo Uncini: tromba

Manuel Trabucco: sax contralto

Italo D’Amato: sax baritono

Agostino Marzoli: tuba

Giovanni Piacente: corno francese

Angelo Trabucco: pianoforte

Gabriele Pesaresi: contrabasso

Morgan Fascioli: batteria


La chiusura della quarta stagione di John & Jazz a Roseto è stata dedicata ad una rilettura fedele di un capolavoro importante e seminale come Birth of the Cool. Sulla scorta delle trascrizioni del trombonista Francesco Di Giulio e della sua conduzione e, va da se, sulla scia delle registrazioni originali è stato costituito un nonetto fedele all’originale, con l’incontro tra musicisti jazz e classici e con alcuni dei solisti emergenti della scena abruzzese-marchigiana.


Birth of the cool è stato un album di enorme importanza, ma, tutto sommato, sono pochi i brani che vengono ripresi nei concerti delle formazioni di jazz. Se in alcuni casi questo fatto è ovvio a causa degli arrangiamenti articolati e pensati specificatamente per quel tipo di formazione, in altri come Budo o Darn that dream siamo in presenza di standard già eseguiti e metabolizzati in formazioni più piccole e per quanto eseguite spesso, non lo sono più state con quegli arrangiamenti. E per questo l’impatto dal vivo del nonetto, con la tessitura pensata dai vari arrangiatori – personaggi del calibro di Gil Evans, Gerry Mulligan, John Carisi, John Lewis – e con gli equilibri offerti da sonorità non consuete all’epoca e ancora oggi fertili di nuove letture, manifesta una forza espressiva di grande intensità. La partitura è geniale e mantiene, nonostante il tempo, tutto il suo spessore: i jazzisti di oggi mettono sul loro piatto della bilancia una maggiore tecnica e una più consapevole gestione dello strumento. L’evoluzione è un fatto indiscutibile, ma le basi sono state poste da lavori come Birth of the cool: da una parte per la spinta a guardare oltre i confini del proprio mondo sonoro alla ricerca di nuove soluzioni e dall’altra per l’intenzione di porre l’accento sulla pagina scritta.


E da questo deriva la prova decisamente positiva del nonetto rosetano. Concentrazione, timore reverenziale, un buon affiatamento generale dal momento che molti dei musicisti suonano insieme in formazioni di lungo corso. Il materiale è stato eseguito in maniera quasi integrale e l’intervento di Di Giulio in fase di conduzione è stato quello di dare maggiore spazio agli assolo mantenendo inalterate per il resto le strutture architettate all’epoca. I brani non sono stati eseguiti alla stregua di una composizione classica, ma con la filologia necessaria per fare del jazz su una pagina tanto importante: e quindi lo spazio, pur presente per le improvvisazioni e per gli interventi personali è stato “sfruttato” dopo l’assolvimento degli obblighi relativi al tema e al dettato originale.


Il concerto è stato preceduto, due giorni prima, da una guida all’ascolto di Birth of the cool tenuta dal sottoscritto, al Circolo Culturale Chaikhana di Roseto. Considerata l’importanza del disco in questione e il lavoro fatto da Francesco Di Giulio,dai suoi musicisti e dall’organizzazione per arrivare a rieseguire il materiale, era necessario offrire al pubblico una visione complessiva di quanto poi avrebbero visto sul palco, dare una traccia che potesse spiegare il contesto, le motivazioni e le intuizioni di un gruppo di artisti estremamente giovani all’epoca, ma curiosi e capaci di suscitare in prima persona le evoluzioni della propria musica, portare all’attenzione degli ascoltatori quanto ancora oggi sia significativa e cosa ha scatenato nella seguito della storia del jazz.