Slideshow. Max Tempia

Foto: Bruna Rotunno










Slideshow. Max Tempia.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Max Tempia?


Max Tempia: Max Tempia è un musicista che non ha perso la voglia di suonare nemmeno dopo aver scelto di farlo come professione…



JC: E cos’è il Max Duo?


MT: Il MaxDuo è un legame che dura… forse dal 1980, un matrimonio che non contempla il divorzio, un’esperienza che poteva e può essere fatta solo da Massimo Serra e da Max Tempia, è una condizione senza un contrario… forse…



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


MT: L’Organo Giaccaglia, quando tutti avevano il Bontempi i miei mi regalarono il Giaccaglia, probabilmente eravamo in due ad averlo (scoperta successiva), io e Sergio Conforti (Rocco Tanica)… poi ci siamo confrontati spesso sull’argomento.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?


MT: Credo un’evoluzione artistica direi naturale. Si parte sempre da qualcosa di più facile o accessibile per finire sul complesso e cerebrale, penso sia questo oppure semplicemente perché mi piace!



JC: E in particolare un organista jazz?


MT: Beh, ci nasci con l’Hammond in testa… da bambino costruivo l’hammond con i Lego, un mattoncino e un elemento del tetto. Ho stabilito poi, da grande, che costruivo il modello L100. Condividendo le esperienze con i miei colleghi hammondisti, praticamente tutti siamo cresciuti con l’hammond in testa, ma nessuno ha mai scoperto per quale motivo… forse il suono, forse l’inarrivabilità dell’oggetto in quegli anni… La cosa certa è che se ti prende la malattia non te ne liberi più.



JC: Ma cos’è per te il jazz?


MT: È un’isola felice, un’oasi, un posto dove puoi lasciare libera la tua musicalità senza dover rispettare il tema, l’armonia, lo stile. Insomma è qualcosa di speciale che sta sopra a ogni cosa. Potremmo immaginarlo come un paradiso accessibile dove conta solo la musica, l’improvvisazione, lo stato d’animo, il maggiore e il minore, i cromatismi. La bellezza dell’esposizione di un tema perché sai che dopo c’è l’improvvisazione che vive fino a quando ritorna il tema. Non credo che tutto possa essere jazz però il jazz ti apre e cambia la visione di tutta la musica.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


MT: Difficile stabilire cosa ti passa per la mente quanto sei “dentro al jazz”, probabilmente si entra in uno stato di estasi dove non esiste più quello che ti circonda, ma sei soltanto immerso in un tema e in un giro armonico. L’unico obiettivo è districarsi tra scale armonicamente corrette e possibilmente con una tematica definita e comprensibile. Ecco… forse potrebbe essere una sfida, un “music game” dove sei tu contro il brano, però non c’è rivalità, c’è gioia, rispetto: insomma un bel gioco. Io sono per il jazz positivo, quello bello, quello che ti da un gran piacere quando lo suoni.



JC: Tra i brani che esegui ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


MT: Magari non lo eseguo spesso però è Stardust, è la prima “canzone” che ho imparato a cinque anni, dopo tutti gli esercizi il mio primo maestro mi ha insegnato “Polvere di Stelle” di Hoagy Carmichael, piaceva anche a mio padre. Da allora questo brano ha segnato il mio percorso, non è un brano che si esegue spesso, però ci sono sicuramente legato.



JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?


MT: Ah… di certo il Live At The Village Vanguard di Bill Evans, anche perché il Complete intero sono 3 CD!! se potessi portarne due anche Four Corners degli Yellowjackets… guarda un po’, nemmeno un organista!



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella tastiera, nella musica, nella cultura, nella vita?


MT: La mia insegnante di pianoforte, sicuramente quella che mi ha dato molto, Prof.ssa Moscarola di Biella. L’ascolto insegna moltissimo, Michael Camilo, Bill Evans, Glenn Gould, ovviamente gli organisti da Jimmy Smith in poi. Però ho sempre cercato insegnamenti da altri musicisti come Charlie Parker, Chet Baker, Robben Ford. Secondo me si suona meglio il proprio strumento ispirandosi a musicisti che suonano altri strumenti. Poi ci sono i “maestri” che ti hanno insegnato o ti insegnano qualcosa tutti i giorni, sono quegli artisti con cui collabori, io credo che tutti abbiano qualcosa da insegnarti e se sei sveglio riesci ad imparare un sacco di cose. Io fortunatamente ne ho avuti molti, uno che mi piace ricordare sempre è Fredy Mancini, un grande pianista milanese molto famoso negli anni settanta, lui mi ha insegnato moltissimo fino a quando ci ha lasciato qualche anno fa… mi piace ricordarlo.



JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


MT: Un momento che non c’entra nulla con il jazz però l’ho vissuto con grande piacere. Da giovanotto ascoltavo molto Lucio Dalla, amavo molto la sua musica, un cantautorato armonico… Il momento più bello è stato quando ho suonato con lui, tra l’altro diverse volte. Per me aver ascoltato e suonato tutti i suoi pezzi e ritrovarsi su un palco e accompagnarlo è stato spettacolare… Probabilmente perché i suoi pezzi mi ricordano la gioventù, però lui che canta Caruso e al piano ci sono io mi ha segnato… (ho anche il bootleg di un concerto)



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


MT: Quelli che vivono la musica come la vivo io, sicuramente Serra è uno di quelli, ma anche molti altri: quelli che hanno il senso armonico sono i miei preferiti.



JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?


MT: La musica in Italia starebbe benissimo, solo se fosse considerata dagli italiani. Negli altri paesi hanno tutti un grande rispetto per le proprie arti, qui sembra che la musica sia considerata alla pari dell’autoradio, una compagnia per il viaggio regolata dal potenziometro del volume e dal tasto on/off. Per chi ama la musica come me, per chi ne ha fatto una ragione di vita, per chi ha investito un esistenza intera sulla musica è veramente disarmante venire paragonato a un fannullone inutile e fastidioso da parte della gente comune, altrettanto inopportuno essere paragonato a un avvocato o a un notaio per il fisco! Non so se riusciremo mai a raggiungere la consapevolezza che il musicista è un lavoro come un altro, purtroppo non basta la volontà dei musicisti per far sentire la propria voce. Siamo circondati da fenomeni circensi provenienti dai talent show o da bizzarie pubblicitarie che oscurano il panorama musicale italiano vero. Io faccio il musicista e continuerò a farlo per tutta la vita e molti altri come me, questa è l’unica certezza.



JC: E più in generale della cultura in Italia?


MT: L’Italia è uno dei pochi paesi ad avere la cultura nella storia e la storia nella cultura eppure non sa tutelare questo grande patrimonio. Del resto una nazione che permette la trasmissione giornaliera dell’inno nazionale diretto e rivisto da un pazzo visionario , incapace e presuntuoso non ha un bel rapporto con il proprio bagaglio culturale. Probabilmente è proprio questo che mi spinge a proseguire nel mio cammino anche nel coinvolgimento con il Biella Jazz Club.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


MT: Sicuramente il secondo cd per Max Duo e sto lavorando a un progetto di miei brani pianistici con un importante editore di musica italiano. I progetti sono gli stimoli per il futuro, ma spesso non si concretizzano perché bisogna stimolare il presente… la dura vita del musicista!