Frank Sinapsi: una voce dallo spazio

Foto: Fabio Ciminiera










Frank Sinapsi: una voce dallo spazio

Spoltore, Bellavista Social Club – 23.2.2017

Enrico Merlin: chitarra, live electronics

Francesco Cusa: batteria, live electronics


Una voce dallo spazio è il faro seguito da Frank Sinapsi – le mentite spoglie con cui si presentano al pubblico Enrico Merlin e Francesco Cusa – nel suo girovagare inquieto sui frammenti di una esplosione musicale che vortica intorno ai brani cantati da Frank Sinatra. That Voice from Space è il titolo del disco che i due musicisti presentano dal vivo al Bellavista Social Club di Spoltore: una metafora per dare spazio tanto il ruolo avuto da Sinatra nella vicenda musicale del novecento, quanto all’approccio espressivo del duo.


Basterebbero i titoli dei brani a dar conto della filosofia con cui i nostri due protagonisti hanno ricalcato la vicenda musicale di The Voice: Day and Night, On the Moony Side of the Street, Are You the Song?, Flying You to the Moon, The Night Is Blue. Il gioco di parole presente nel titolo rappresenta l’immediato corrispettivo di quanto accade sul versante musicale. Il tema viene smontato, sezionato, scomposto, ripreso, travolto, coccolato a seconda dei casi. Ne viene fuori un caleidoscopio di interpretazioni divergenti, di citazioni e suggestioni, di linguaggi e attitudini musicali: il filo rosso utile per tenere insieme il tessuto è un riferimento implicito alle melodie e al canto di Sinatra. Come spiega Merlin nelle note interne al booklet del disco, «abbiamo cantato la musica di un colosso del ritmo, del timbro, dell’espressività, della dinamica, della melodia (…) Solo attraverso un sincero approccio contemporaneo e (apparentemente) dissacrante si può omaggiare un innovatore.»


Una presa di posizione speculare innerva da subito il gioco che si innesca tra palco e pubblico, tra musicista e ascoltatore, tra omaggiato e “celebranti”: la partecipazione – implicita ed esplicita, allo stesso tempo – alla finzione messa in atto dal duo, il ribaltamento continuo del punto di vista, il passaggio senza soste da un linguaggio all’altro, la gestione estrema delle dinamiche. Si accostano jazz delle origini e heavy metal, riff di chiarissima derivazione rock e ritmi swinganti in una ; si affiancano momenti dove la chitarra suona con l’amplificazione ridotta a zero e l’accompagnamento ritmico è affidato alla potenza sonora di una busta di plastica ad altri dove il volume satura. I passaggi avvengono con estrema velocità. Merlin e Cusa aggrediscono e attraggono l’ascoltatore, in una vorticosa alternanza di richiami, stordimenti, lusinghe e affermazioni stentoree. Il gioco, come si diceva poco sopra, va accettato e condiviso all’inizio per poi mettersi nelle mani dei due e accettare il processo di smontaggio, prima, e di sintesi, poi, applicato alla musica che viene maneggiata nel corso del concerto. Brani ridotti ai minimi termini e ricomposti secondo linee del tutto diverse per cogliere possibilità presenti negli originali e rese in maniera altra dal duo. La riconoscibilità del materiale costituisce il passante per far scorrere il senso dell’omaggio: temi e suggestioni inserite e stilemi provenienti da altri mondi musicali mantengono un grado di familiarità con l’ascoltatore. La “regia” del concerto spiazza senza però far perdere il contatto con quanto avviene sul palco: la velocità repentina di alcuni passaggi è un altro ingrediente utile allo scopo.


That Voice from Space diventa perciò un modo per rileggere, a cent’anni e poco più di distanza dalla nascita di Frank Sinatra, le evoluzioni della musica di improvvisazione e il suo contatto con altri mondi. Cusa e Merlin affrontano il dixieland, lo swing, le tante maschere davisiane e le derive astrali di Sun Ra in un progetto dove sono le melodie a caratterizzare, nonostante tutto, il flusso sonoro e la gestione del materiale. Una visione ironica e surreale – più che trasgressiva o iconoclasta – per offrire altre prospettive e ulteriori spunti di riflessione.



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