Blues in Villa 2017

Foto: Fabio Ciminiera










Blues in Villa 2017

Brugnera, Parco di Villa Varda – 1/5.7.2017


Cinque serate all’insegna dei tanti percorsi innescati dal blues, dal jazz e, in generale, dalle musiche afroamericane e di improvvisazione. L’intenzione di esplorare mondi sonori differenti e dare spazio ad alcune voci del territorio. L’idea di sfruttare lo spazio offerto dal Parco di Villa Varda per dare vita ad una festa a suon di musica e la voglia di coinvolgere il pubblico e gli artisti negli incontri pomeridiani rivolti a ridurre la distanza tra i vari protagonisti dei concerti. Oltre agli aspetti più strettamente legati ai concerti – raccolti nel diario dei cinque giorni – Blues in Villa offre al suo pubblico l’opportunità di mettere a confronto esperienze anche molto differenti tra loro.


Il programma del festival parte, in qualche modo, dal presupposto che esistono i linguaggi ma non le barriere tra quei linguaggi: l’improvvisazione diventa un fattore comune ai diversi approcci stilistici, un elemento declinato secondo dinamiche ed azioni differenti ma sempre centrale se ci si vuole spingere oltre. Le cinque serate hanno dimostrato come però sia possibile attingere a fonti diverse per produrre il proprio mondo espressivo. La ripresa di Satisfaction degli Stones da parte del Paolo Fresu Devil Quartet e la combinazione di blues, derive hendrixiane, sguardi psichedelici, improvvisazione e suoni elettrici scaturita dalla serata che ha visto protagonisti il gruppo del chitarrista Doyle Bramhall II e i Savana Funk sono due esempi lampanti di come i confini siano facili da attraversare. In maniera speculare, la nuova formazione del contrabbassista ha messo in risalto come, all’interno dei meccanismi del jazz acustico, sia possibile trovare nuovi spazi di manovra pur innescando un dialogo con alcuni dei personaggi più seminali della storia del genere per un lavoro che, probabilmente, una volta su disco, potrà stabilire un nuovo riferimento nel panorama del jazz odierno. Il mondo cantautorale di Jack Jaselli sfrutta gli stilemi del genere con una formazione meno canonica per cercare di muovere pedine differenti dal solito. E, con attitudine del tutto trascinante e spontanea, l’esplosiva esibizione del quartetto di Jon Cleary racchiude in una sintesi estrema tutti i tasselli: il navigatore puntato su New Orleans consente alla formazione di passare in rassegna linguaggi, modi espressivi e attitudini musicali scartando con estrema velocità e disinvoltura dall’uno all’altra.


Cinque serate dall’andamento musicale diverso, si diceva. L’intensità emotiva è uno dei possibili legami tra i singoli appuntamenti ed è di sicuro il tessuto connettivo dell’intero festival: una caratteristica condivisa dai vari “attori” presenti intorno al palco. La determinazione del pubblico nel restare ad assistere ai concerti, nonostante alcuni acquazzoni davvero significativi, trova il suo corrispettivo nella numerosa compagine di volontari e di persone coinvolte nell’organizzazione delle serate e, infine, nella vivida partecipazione dei vari protagonisti dei concerti. Gli spettatori sono condotti verso un percorso differente dalle solite abitudini di ascolto, attitudine che si riflette anche nell’attenzione con cui vengono seguiti i concerti di apertura. La storia ormai quasi ventennale della rassegna rende solida la varietà delle scelte artistiche, mostra come questo aspetto possa costituire un filo conduttore peculiare, dove la “forza” degli interpreti supera la necessità di concentrarsi su un qualsiasi canone. La scelta di collocarsi in giorni della settimana normalmente poco frequentati da altre rassegne, ad esempio, mette in luce l’intenzione di offrire soluzioni alternative al pubblico. E, fatto da non trascurare, il divertimento all’interno di un festival musicale, come testimonia principalmente la giornata domenicale.


Un’altra traccia che ha caratterizzato la maggior parte delle cinque serate è stato il senso del ritmo. Nell’intervista che abbiamo registrato prima del concerto, Christian McBride afferma che è la sezione ritmica a “decidere” il genere della musica che stiamo ascoltando. Nelle diverse declinazioni possibili, il groove è stato sempre alto nelle cinque giornate: dalle sostegno offerto da con Bagnoli e Dalla Porta alle evoluzioni dei solisti del Devil Quartet alla forza espressiva della sezione composta da McBride insieme a Nasheet Waits. E quando l’headliner della serata ha proposto un set più intimo, vale a dire il trio di Jack Jaselli, ad alzare il “battito” è intervenuta la splendida selezione musicale di E.sist.


E, in conclusione, torniamo sul palco, per un momento che resterà, a mio avviso, tra i più intensi e significativi visti in concerto quest’anno. Christian McBride che esegue in solo Alone together, nel secondo bis, diventa l’immagine conclusiva del festival. La dimensione più essenziale, l’unione della forte personalità del contrabbassista con tutto il retaggio proveniente dalle tradizioni e dai tantissimi interpreti che si sono succeduti nel corso del secolo passato. La sintesi migliore per una settimana di concerti e incontri orientati ad uno spettro ampio di suggestioni musicali.




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