Krin Gabbard: Charles Mingus, L’Uomo, La Musica, Il Mito

Foto: la copertina del libro










Krin Gabbard: Charles Mingus, L’Uomo, La Musica, Il Mito

Siena Jazz / EDT – 2017

«Sappiamo tutte le storie e i fatti, le circostanze narrate e rinarrate diecimila volte (…) Le vite dei jazzisti sono come le vite dei santi: agiografia. Puoi trovare errori, buchi, imprecisioni: difficile imbattersi una vera sorpresa o nel brivido di un imprevisto sconcertante.»


Scriveva così Vittorio Giacopini nel 2009 presentando “il ladro di suoni”, il suo bel romanzo su Dean Benedetti. Se quest’affermazione fosse del tutto vera, potremmo dire che di Charles Mingus si sa già praticamente tutto: il suo meticciato multirazziale, l’infanzia nel ghetto turbolento di Watts, il carattere litigioso, la contrastata carriera musicale, la fine lunga e dolorosa, incluso il mito delle cinquantasei balene spiaggiatesi il giorno della sua morte.


All’autore di Fables of Faubus sono state dedicate, infatti, diverse pubblicazioni: le biografie di Brian Presley, (1982) e quella di Gene Santoro (2000), in primo luogo, oltre che a una serie di testi di persone che avevano condiviso tratti di vita con Mingus. E nella nostra lingua sono usciti, a varie riprese, diversi contributi firmati da studiosi come Claudio Sessa, Stefano Zenni, Pino Candini e altri.


Era quindi necessaria un’altra biografia? Alla fine della lettura la risposta è, senza dubbio alcuno, affermativa. Molto giustamente, nella sua prefazione Krin Gabbard sottolinea come dopo l’uscita della biografia di Santoro si è resa disponibile molta altra letteratura memorialistica (in primis, Toonight At Noon della moglie Sue Graham, tradotto anche in italiano). Di più, lo studioso americano ha avuto anche la possibilità di accedere a documenti, sonori e scritti, dell’archivio personale di Mingus.


D’altronde la Storia, anche quella del jazz, non si scrive una volta sola. È una scienza in continua evoluzione che mette sempre in discussione se stessa. E un personaggio come Mingus non è minimamente inquadrabile in schemi rigidi e definitivi. Lui stesso sosteneva, nella sua autobiografia, di essere tre persone diverse. Come musicista è sempre stato all’incrocio fra tradizione e sperimentazione, fra jazz e mondo classico; fu sempre affascinato dal rapporto fra suono e parola Il racconto di Gabbard restituisce con ricchezza di dati e di spunti di riflessione, tutta la tensione e tutte le contraddizioni che alimentarono l’esistenza e l’arte di un uomo straordinario.


Un ottimo libro.




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