Dada, la “Macchina del Tempo” musicale di Roberto De Nittis

Foto: la copertina del disco










Dada, la “Macchina del Tempo” musicale di Roberto De Nittis

Abbiamo incontrato per la prima volta Roberto De Nittis a Foggia in quell’avamposto di civiltà, socializzazione e musica che era il Moody Jazz Café di Nino Antonacci. Un locale dove si suonava Jazz ad alto livello e si osava spostare l’asticella sempre più in alto. Ancora giovanissimo, De Nittis frequentava quel locale e seguiva i concerti. In seguito la musica e la vita lo hanno portato lontano da Foggia ma rimane in lui quella quieta e curiosa frenesia che lo caratterizzava quando era un provetto musicista. Poi, nel corso degli anni, in lui è maturata ed è esplosa l’anima da musicista, anzi jazzista. Questa sua crescita lo ha portato a vincere il Top Jazz come Miglior Nuovo Talento Italiano. La consacrazione è avvenuta con il suo primo disco da leader intitolato Dada, un progetto inconsueto, curioso e magnifico nella sua esclusiva diversità.



Jazz Convention: Roberto De Nittis, il tuo Dada è un ossimorico pastiche, dove all’imitare contrapponi e mescoli spezzoni di musiche e vite, movimenti e generi, decenni e secoli diversi, una sorta di macchina del tempo il cui sistema logaritmico è andato in confusione.


Roberto De Nittis: Il sistema logaritmico è lo stesso delle feste dionisiache e saturnali, in cui si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza. Dada è una processione allegorica in cui ogni ascoltatore può diventare il protagonista e rivivere momenti della sua vita passata, presente o futura”.



JC: Essere Dada vuol dire conoscere: come hai messo insieme questo tuo sapere le cui infiltrazioni geografiche hanno un’incontestabile valenza?


RDN: Ti svelo un segreto che ha influito sulla varietà geografica di Dada: sono un grande appassionato del Risiko! Scherzi a parte, nel corso della mia esperienza di studi e professionale, ho avuto la fortuna di cimentarmi in una svariata gamma di generi musicali, dalla musica da camera all’opera lirica, dal jazz al pop, al reggae, allo ska e ho sempre ascoltato con curiosità qualunque cosa mi potesse capitare tra le mani.



JC: Ritieni che come primo disco da leader sia un progetto divertente e nello stesso tempo molto impegnativo?


RDN: Realizzare il primo disco da leader era una cosa che avrei voluto fare da tempo, ma non riuscivo a trovare quel quid che veramente potesse rappresentarmi, sia musicalmente che personalmente. Quando finalmente è scattata la molla è cominciata la fase dedàlea che alternava momenti di grande divertimento ad altri di serie riflessioni.



JC: Come sei riuscito a trovare musicisti “Dadaisti” che comprendessero e si calassero appieno nel tuo progetto?


RDN: Il mondo Dada è contagioso: gli artisti che ho coinvolto sono stati da subito colpiti dall’idea di impersonificare qualcosa che pensavano di non essere o di essere in parte o di poter esporre musicalmente. Ognuno di loro ha vicissitudini diverse ma li accomuna un grande spirito jazz e la curiosità di affrontare nuove sfide con entusiasmo e professionalità. Tra tutti devo citare Zoe Pia, mia compagna di vita e di musica, che mi è affianco in ogni singola fase del progetto. Lei ha firmato due brani del disco, Jinrikisha e Ambaradan e mi ha fatto il regalo più bello che qualsiasi uomo al mondo può ambire: una bellissima bambina, di nome Naima, la cui vocina compare tra gli ospiti di Dada.



JC: Sarà stato un divertimento per loro suonare strumenti giocattolo…


RDN: Inizialmente sono rimasti sorpresi del compito che ho voluto affidargli, ma la magia del gioco ha rievocato il bambino che è in ognuno di noi e subito si sono sentiti a proprio agio.



JC: Chi sarebbe L’Alchimista? Forse Roberto De Nittis? Miscelare reggae, con walzer, dixieland e blues: sembra un intruglio magico che ricorda un po’ le operazioni dello stregone Peter Gabriel.


RDN: Tutti sono alchimisti oggigiorno, chi in un modo chi in un altro. Io ho combinato i miei ingredienti in un pentolone che ha dato vita alla pozione Dada, con l’intento di far sorridere e allo stesso tempo far riflettere.



JC: Fosse solo quello! In Dada c’è anche la musica classica, quella contemporanea, il rock, il klezmer, l’avanspettacolo, Kurt Weill, la tradizione bandistica e popolare del sud, la lirica e ancora altro…


RDN: In cucina gli ingredienti erano tanti: le mie origini del sud, l’essere cresciuto sopra un mercato variopinto e l’aver avuto esperienze di vita musicale eclettica, hanno permesso di fare una bella spesa.



JC: Tartaruga ovvero De Nittis/Tom Waits in salsa balcanica. Sembrano esserci delle affinità musicali tra te e lui…


RDN: Ho ascoltato e ascolto tutt’ora la musica di Tom Waits. Uno dei pilastri del cantautorato americano. Nella riorchestrazione di Tartaruga, infatti, me lo sono immaginato accompagnato da una piccola banda di paese del sud; quanto è Tom Waitsiana quest’immagine?



JC: Šostakovi?/De Nittis, quale legame culturale vi lega? Nel compositore russo c’è tanta ironia nascosta tra le pieghe dell’ufficialità regimentale sovietica. E’ stato un uomo solo, armato di arte, contro il totalitarismo…


RDN: Šostakovi? lo conobbi, musicalmente, una quindicina d’anni fa, in un concerto organizzato dal Conservatorio Umberto Giordano di Foggia, dove ho compiuto gli studi di pianoforte ed i primi passi nel mondo del Jazz. Rimasi subito affascinato dalla sua capacità di celare una parodia della musica di regime all’interno di apparenti allineamenti ai dettami della musica sovietica.



JC: Ci racconteresti in breve genesi e storiografia dei brani, anche quelli non a tua firma, che compongono Dada?


RDN: Il disco comincia con L’alchimista, brano di mia composizione, un brevissimo cenno alle mie esperienze musicali condite da un accattivante reggae stravinskiano; Jinrikisha, di Zoe Pia, pone l’attenzione sull’utilizzo delle cinque note dello spiritual e della musica orientale; Tartaruga, brano di Gianfranco Cossu, è uno zoom sull’individuo e sul suo contrasto alla paura; Lingua di Menelik, a mia firma, gioca sul filo del rasoio tra astuzia e potere, come era solito fare il Negus d’Etiopia Menelik; Dada, altra mia composizione, con il testo che porta la firma di Ada Montellanico, è il manifesto che sfocia nel gioco vocale delle proto-parole, tipiche del linguaggio neonatale; Oneiroi, anche questo di mia composizione, ci racconta degli dèi minori generati da Notte, Morfeo-Fobetore-Fantaso, e vede la preziosissima partecipazione di nostra figlia, mia e di Zoe, Naima a soli tre mesi di vita; Always True To You In My Fashion, di Cole Porter, racconta l’alterazione paradossale del concetto di fedeltà; Istanbul (Not Costantinople) è una novelty song dei primi anni Cinquanta dallo spiccato carattere umoristico; Ambaradan, firmata da Zoe Pia, racconta l’origine del termine e la goffaggine tipica dell’epoca coloniale; La menade danzante l’ho scritta io e raffigura la ribelle delle donne di Dioniso; invece, a riguardo della Jazz Suite n. 1 op. 38 di Šostakovi? mi piace citare quel che disse il maestro russo: «Mi ricordo che certi colleghi altamente esperti mi avvisarono che orchestrare per il jazz è qualcosa di veramente speciale, ma non mi spaventai.»



JC: La copertina del cd rende appieno il contenuto del disco. Chi è l’autore? L’ha disegnata ascoltando il disco o come un Morricone al contrario immaginandolo soltanto?


RDN: L’autore di queste fantastiche illustrazioni è Carmine Bellucci. Artista foggiano come me con cui frequentammo il Liceo Classico nella stessa classe. Lui si è divertito ad interpretare il disco. Ci incotrammo solo una volta per parlare di quello che avevo in mente. All’incontro successivo arrivò con dei bozzetti incredibili. Col semplice ascolto colse esattamente lo spirito ed il messaggio di Dada.



JC: Che effetto ti fa aver vinto la classifica di Musica Jazz?


RDN: Essere riconosciuto come Miglior Nuovo Talento Italiano da una delle riviste più importanti del settore come è Musica Jazz, è il giusto carburante per credere sempre di più in ciò che mi piace fare. Non me lo aspettavo e non nascondo che ci speravo. Ritrovare il proprio nome al fianco di Enrico Rava, Louis Clavis, John Coltrane, Joe Lovano, Bill Frisell, Eric Dolphy, Paolo Damiani, Lydian Jazz Orchestra, Art Ensemble of Chicago, Paul Bley, Gary Peacock e Paul Motion è emozionante e a tratti incredibile.




Segui Flavio Caprera su Twitter: @flaviocaprera