Milo Jazz Festival

Milo – 2/6.8.2023
Foto: Vincenzo Fugaldi

La fresca temperatura dell’anfiteatro “Lucio Dalla” della cittadina etnea ha accolto il pubblico per quattro serate consecutive, dal 2 al 5 agosto, per una nuova edizione del festival diretto da Pompeo Benincasa.

L.M.G. Quartet è l’acronimo che nasconde un quartetto di musicisti pugliesi (Gaetano Partipilo al sax alto, Mario Rosini al pianoforte, al piano elettrico e alla voce, Giorgio Vendola al contrabbasso e Mimmo Campanale alla batteria) che accompagna da tempo la carismatica voce di Simona Bencini nel suo côté più vicino al jazz. Due dischi all’attivo (“Spreading love” del 2011 e il recente “Unfinished”), la formazione, costituita da jazzisti ben noti e collaudati, è il gruppo ideale per dar spazio espressivo a una cantante che da tempo sente il bisogno di ampliare la sua esperienza artistica legata principalmente al soul-funk dei Dirotta su Cuba. A Milo, in un bel set a lungo applaudito, il gruppo ha eseguito un pop jazz di ottima fattura, fresco e raffinato, con una ritmica collaudata e coesa, e spazio per l’appropriatissimo alto di Partipilo. Bencini ha una forte presenza scenica e una splendida voce che ben si adatta alle composizioni originali (canzoni in inglese ma anche una in italiano, composta da Bruno De Filippi e Giorgio Calabrese) e agli standard eseguiti, con versioni a tempo veloce di The Man I Love e You Don’t Know What Love Is. Da menzionare l’apporto del pianista, anche buon cantante, e l’intervento dell’ospite Ottavia Rinaldi all’arpa.

Chi ha una certa età ricorda che nel 1988 venne alla ribalta un ottimo duo statunitense, tuttora attivo, che riscosse molto successo. Mi riferisco agli statunitensi Tuck & Patti. Bene, a Milo sono arrivati Lash & Grey (Kristina Mihalova – nella foto – e Jacub Sedivy), due giovani di Bratislava, formatisi insieme al conservatorio di Praga, con all’attivo due registrazioni discografiche (“Sleepin’ With The Lights On” e “Blossoms of Your World”), che a ragion veduta si possono considerare i nuovi Tuck & Patti, ed è facile prevedere che godranno del medesimo successo di quelli. Finalista del premio Sarah Vaughan 2022, Kristina può vantare notevoli doti vocali fra jazz e pop, gestite con una professionalità non comune data la giovane età, ottima presenza scenica, e un totale affiatamento con la chitarra acustica del partner, che, da parte sua, sfoggia una tecnica perfetta, centrata, senza sbavature, ideale per accompagnare il canto. Insieme formano un duo strepitoso, una delizia per l’ascolto, che si muove con dimestichezza fra belle composizioni originali e famosi standard con preziose dosi di swing come I’ll Remember April e Cherokee con uno scat rapidissimo, e una incantevole ballad come The Peacocks.

Tutt’altre atmosfere per il Neo Soul Combo di Cristina Russo, con Marco Di Dio, Mariano Nasello e Angelo Di Marco. Voce, tastiera, basso e batteria per un set all’insegna del groove, fra brani originali e un omaggio a Joni Mitchell e attraverso di lei a Edith Piaf, con Edith and the Kingpin.

Il duo chitarra e pianoforte di Eleonora Strino e Francesca Tandoi, da poco costituito fra due musiciste di esperienza nei rispettivi strumenti ed anche buone vocalist, e che prossimamente sarà in sala di registrazione, ha convinto il pubblico del Teatro “Lucio Dalla” con un programma di composizioni originali e standard (da un brano di Wes Montgomery a It’s Wonderful, a una gradevolissima It’s Been a Long, Long Time, e It don’t mean a thing) all’insegna di un mainstream ortodosso, ricco di tecnica e abbondante swing, al quale è peraltro mancato un po’ di senso del rischio, che le due musiciste potrebbero benissimo affrontare date le qualità di entrambe. Certo l’incontro fra i due strumenti non conosce molti precedenti illustri a parte quelli storici (Evans-Hall) e non è molto praticato nel jazz di oggi, e dove è avvenuto, con risultati peraltro non memorabili (Frisell-Hersch). Il duo Strino-Tandoi comunque risulta centrato quando agli strumenti affianca le voci, entrambe gradevoli e appropriate.

La chiusura del festival è stata affidata al robusto funk-soul di Fred Wesley & The New JB’s: oltre al leader al trombone e voce, Gary Winters tromba e voce, Hernan Rodriguez sax tenore e flauto, Reggie Ward chitarra elettrica, Coleman Woodson III pianoforte e piano elettrico, Dwayne Dolphin basso e Bruce Cox alla batteria. Suonare al fianco di James Brown evidentemente fa bene ai musicisti, e li mantiene giovani: classe 1943, Wesley ha infiammato la platea del festival con un groove contagioso, che rendeva impossibile star fermi e seduti. Accompagnato da un gruppo eccellente, questo senatore della black music, iniziando da una lunga e travolgente Chameleon di Hancock, muovendosi agevolmente tra jazz e funk, ha dispensato carica ritmica in quantità, ma anche pregevoli assolo, concedendosi anche una bella versione pienamente jazzistica di un notissimo brano di Bobby Timmons, Moanin’, reso immortale dai Jazz Messengers. Un rito collettivo, più che un concerto, fresco e liberatorio, per un coinvolgimento del pubblico in una festosa celebrazione dell’essenza di uno degli aspetti più popolari della musica dei neroamericani.

Segui jazz Convention su Twitter: @jazzconvention