Korabeat a Casale Monferrato: un concerto sospeso tra passato e futuro

Foto: Anna Cotti










Korabeat a Casale Monferrato: un concerto sospeso tra passato e futuro


Casale Monferrato, Società Canottieri Casale – 23.2.2017


Cheikh Fall: kora, voce

Gianni Denitto: sax alto

Andrea Di Marco: basso elettrico

Badara Dieng: percussioni, sabar, djembè, tama

Sam Mbaye: batteria


23 febbraio: giovedì grasso! Alla Società Canottieri Casale stasera suonano i Korabeat.


Ben oltre mezzo secolo fa, quando esistevano le sale da ballo o le arene estive e le discoteche non ancora all’orizzonte, il salone della Canottieri era al top fra i locali monferrini. È tuttora presente e molto viva la Società, però con una vocazione più di indirizzo sportivo, tra tennis, canottaggio, scherma: la musica e il ballo non sono certo stati dimenticati, passati in secondo piano forse. Negli anni cinquanta, l’apertura primaverile dei festeggiamenti culminava con un mitico veglione mascherato conosciuto in zona con il titolo “Dal Po al Nilo”, forse per dare un tocco esotico agli ultimi giorni di carnevale. Il poter partecipare era un segno di distinzione; altri momenti, altri valori in gioco, una condivisione di vivere civile tutta da sviluppare. C’era tanto lavoro da fare, ma anche tanta voglia di meritato divertimento.


Al presente tutto è cambiato ma la gente, per sentirsi viva, necessita di integrazione con nuove realtà che riflettono culture diverse; il tessuto umano è suscettibile di modifiche che si devono comprendere ed interpretare. Lo sport e la musica sono di stimolo al confronto, alla fratellanza e vanno in senso opposto a certe tendenze di isolamento e chiusura. Lo stare insieme genererà valore, la divisione solamente invidia ed egoismo. Le generazioni precedenti – vi appartengo – sentivano maggiormente la spinta a stare insieme, in armonia, per costruire un futuro, per sé e i propri figli, migliore di quello vissuto tra guerre e miseria. Si avvertiva il desiderio di poter avere, dopo tanti sacrifici, anche momenti di sano svago in compagnia, fra musica e ballo, con altra musica che è naturalmente profondamente cambiata, perché siamo noi che cambiamo, il mondo cambia continuamente e, purtroppo, non sempre al meglio. Nell’ascoltare i Korabeat, stasera in questi locali, mi ha dato la sensazione – stupenda – di vivere sospeso tra passato e futuro… In crescendo però, in modo direttamente proporzionale al comune desiderio di vivere la nostra vita con pienezza; e tutto queste cose dipendono, individualmente, solo da ciascuno di noi. Quindi un sincero grazie alla Società Canottieri che ha aperto le sue strutture per una serata musicale, rendendole disponibili gratuitamente per la cittadinanza nell’ospitare tale avvenimento di alto contenuto socio-culturale e non solamente di contingente attualità.


Ma veniamo al concerto che i Korabeat – i componenti li leggete in testata – hanno offerto al pubblico casalese e se ne offre cronaca per chi ha mancato l’appuntamento, perdendo in tal modo un’occasione di arricchimento culturale personale.


Innanzi tutto il gruppo – tre senegalesi e due italiani, ormai tutti torinesi di adozione da anni – sono l’esempio concreto dello spirito di fratellanza, di integrazione etnica e di culture diverse che esprimono attraverso un moderno sound – da non classificare, perché sarebbe riduttivo – per non soffocare quella vena di freschezza e di novità, che deriva da fusione contemporanea di sonorità africane, indiane e europee sapientemente dosate con un lavoro di gruppo che ha dell’encomiabile. Potrete dire che è blues, è funk, è jazz: non sareste fuori strada. Per rendere tangibili a parole gli alti risultati raggiunti dal gruppo – a livello di sonorità, ritmo e colore – bastava porre attenzione alla coniugazione armonica fra la kora e voce di Cheikh Fall e il sax contralto di Gianni Denitto, frutto non solamente di una intensa applicazione quanto piuttosto di sensibilità e di affinità musicali non comuni. Su consistenti livelli ritmici, in modo dinamico e efficace, ma non dominante, il basso elettrico con cinque corde di Andrea Di Marco, a sostegno della pulsante batteria di Sam Mbaye, sempre sorridente, e le percussioni di un vulcanico Badara Dieng, precise, ma non martellanti né ossessive, su pelli ben accordate. Coniugare il suono su strumenti tanto diversi, renderlo omogeneo in distinte sfumature e in cromatismi caleidoscopici, richiede doti non solamente tecniche ma affinità artistica, ben più profonda che non il semplice spirito di gruppo.


Quanto ai brani eseguiti in più di un’ora e mezza di musica, con accompagnamento vocale o solo strumentali, almeno la metà derivavano da Afrique Unie, il loro recente CD, mentre gli altri costituivano novità inedite – vedranno la luce nel prossimo CD in preparazione – compresi due brani composti e sviluppati durante il loro viaggio in India, a contatto di una realtà musicale molto lontana da quella europea, dalla quale hanno saputo trarre proficui insegnamenti. Ma alcuni titoli occorre citarli: Mbed Mi, in apertura, tutti insieme con strumenti e canto, voce che invita su un bel groove a «non frequentare la strada, non stare ore a fare nulla… troppo bianco, troppo nero… troppo alto, troppo basso… non parlare contro gli uomini, ognuno è fatto a modo suo» e gli assoli di alto sax e di kora si intervallano su un riff efficace, sottolineato da applausi.


E ora Afrique Unie: su un tappeto percussivo marcato ma piuttosto morbido si innesta la kora di Cheick Fall con note cristalline, poi il sax alto di Gianni Denitto in contrappunto con un convincente solo a seguire, la voce ricorda che «il mondo di ieri, oggi e domani, uomini donne adulti bambini lavoriamo insieme per il nostro continente; se non lo faremo dovremo sempre chiedere aiuto; il mio sogno è insieme per lavorare felici, lavorare nella nostra Africa». La versione su Cd è solo strumentale.


Kora Beat Foly è un brano più calmo, fresco, e coinvolge tutti gli strumenti e la voce, fino a sfociare in un groove travolgente, con begli spunti di Gianni Denitto al sax alto, coadiuvato anche dall’elettronica.


A seguire Diarra Bi: un bel brano strumentale aperto da sognanti accordi di kora, che sfociano in una bella frase ripresa dal sax alto – e qui si vede il grande lavoro dei due musicisti che sono riusciti a fondere corde e ancia – con il basso elettrico a fare da tappeto, insieme con la soffusa ritmica delle percussioni. Inutile dire che è stato ottimamente accolto dal folto pubblico.


È poi il momento di cinque brani inediti che non hanno ancora un titolo, tra i quali un paio di chiaro stampo indiano, sia come composizione che arrangiamento – il tutto avvenuto in quel grande e per noi misterioso paese, quando il gruppo si recò in tournèe e per studio.


In conclusione Lattinimassa, vocale e strumentale con un bel ritmo circolare, in contrappunto voce e kora mentre la ritmica si fa via via sempre più scandita e incalzante. Mentre i testi degli altri brani sono in Wolof, come scritti sul bel libretto con foto che accompagna il Cd, il brano finale ha la parte vocale scritta in Bambara e non c’è traduzione in italiano. Quello che conta però è la musica, molto gradevole e che non necessità di mediazione linguistica. Un piacevole siparietto: dal momento che un paio di signore, su quest’ultimo brano, alzatesi, hanno iniziato a ballare, Sam Mbaye ha lasciato la batteria, percuotendo solo le due bacchette, si è messo alla testa di una corrente festosa che ha percorso danzando il perimetro della sala. Gioiosamente è stata la conclusione di un bel concerto dei Korabeat.


Due eventi quindi – concerto dal vivo e Cd con dieci brani per oltre un’ora di musica – riflesso di novità, ricerca, qualità e efficace espressione di un ottimo gruppo molto affiatato che andrà sicuramente lontano.


Dopo l’evento musicale i Korabeat, di buon grado, si sono messi a disposizione per una utile chiacchierata, piuttosto che un’intervista. Gianni Denitto esordisce con un concetto chiaro. «La musica che suono non è certamente del mainstream, occorre andare oltre come cambia il mondo alla luce di intensi scambi culturali: devo dire che il viaggio che abbiamo fatto in India mi ha cambiato la vita. In India i musicisti sono allo stesso livello dei medici. Questi curano il corpo, quelli l’anima.» Quasi come da noi!


Cheikh Fall racconta il suo percorso.«Sono arrivato in Italia nel 2005.Sono stato prima tre anni a Genova e poi – dal 2008 – sono a Torino dove mi trovo bene e ho la possibilità di suonare tantissimo. A gennaio – ogni anno – torno in Senegal, mantengo i legami con la mia famiglia – mamma e fratelli – perché da loro e con loro è iniziato il percorso musicale che vado sviluppando, promuovendo l’uso dello strumento, la kora, con cui mi è più facile esprimermi.» Infatti Cheikh ha modificato lo strumento, ampliato il numero delle corde, dalle tradizionali ventuno a quarantotto, per sviluppare un sound ricco di sfumature e cromaticamente più brillante.


Andrea Di Marco è napoletano naturalizzato ora torinese di Porta Palazzo – zona notoriamente multietnica – sottolinea solamente che dove c’è bisogno di un basso elettrico lui c’è e, se non ce n’è bisogno, si presenta lo stesso. Partecipa infatti a numerosi progetti.


Badara Dieng non si è risparmiato su sabar e tama ma, a sentir lui: «stasera ho suonato poco, però…» Vista la sua travolgente mobilità sui tamburi chissà come sarà il suo sound se avesse più spazio: e dove lo troverebbe con la fantasia che ha dimostrato? Prima di salutarci ho poi chiesto loro una libera, ma esauriente espressione sulla loro vita di musicisti. Per tutti ha risposto Sam Mbaye Fall: «Quando mi presento per suonare, dico di suonare la batteria. E, non di rado, mi sento chiedere: “Va bene, ma che lavoro fai?”»


Sarebbe grave se lo ritenessimo il nostro termometro culturale nei confronti della musica e dei musicisti. O siamo veramente già a questo punto?