30 Aprile 2017: Giornata Internazionale del Jazz a Genova

Foto: Donato Aquaro










30 Aprile 2017: Giornata Internazionale del Jazz a Genova

«Il 30 aprile è una giornata di lavoro sicuro per noi musicisti. Il primo maggio, poi, magari ci lasciano a casa. Lo fanno per farci riposare…» Con questa battuta ironica, contenente un fondo di amarezza, introduce il suo concerto serale Javier Girotto. Il jazz è al centro dell’attenzione in questa data celebrativa, infatti, dopo che le luci dei riflettori durante l’anno si sono accese, spesso, per altri generi più popolari, relegando in un angolo la musica afroamericana e i suoi cultori. Comunque a Genova, favorita anche da un tempo primaverile, la giornata patrocinata dall’Unesco registra un notevole successo di pubblico, con la sala del Munizioniere sempre piena durante le cinque ore della maratona. Sul palco si alternano diversi gruppi a rappresentare i molti aspetti del jazz. È una novità assoluta per questa rassegna, ad esempio, l’Improland Ensemble, manipolo di convinti assertori dell’improvvisazione aperta e libera, ispirati dal modo di organizzare e concepire la musica di Claudio Lugo, maître a penser del gruppo. Il sassofonista e compositore genovese si aggira per la sala, mentre i suoi adepti provano a dare un deciso scossone ad ascoltatori disabituati a certe sonorità, a determinate dissonanze. Si ritorna sulla terra, poco dopo, con la New Orleans Dixie Stompers, votata a riprendere un genere tradizionale che conquista per la sua affabilità e gradevolezza. I giovani strumentisti non si risparmiano affatto, portando la loro proposta in giro per il centro storico, dopo il set al Ducale. Si distingue, fra gli altri, Simone Dabusti, sempre più convincente ed autorevole alla tromba.


È la volta, quindi, di un trio composto dalla chitarra suadente ed incisiva di Luca Falomi, ben sorretto dal basso di Riccardo Barbera e dalla batteria dell’ubiquo Rodolfo Cervetto. Il terzetto suona una musica impastata nel folk mediterraneo, con rimandi ad aromi brasiliani e ad atmosfere pop-jazz discendenti da Ralph Towner, dal filone acustico in stile ECM.. Sul finale Stefania Schintu, fra i promotori dell’evento e cantante in standby da parecchi anni, si cimenta in Estate di Bruno Martino per vivere ancor più dal di dentro la manifestazione.


Riporta tutti all’ordine, nel filone del mainstream, l’amalfitano Alessandro Florio, chitarrista di ragguardevole tecnica, accompagnato dal sapiente contrabbasso di Laurentaci e dalla batteria polidirezionale, manco a dirlo, di Cervetto. Florio affronta i classici con il piglio giusto, in maniera non provinciale, con un procedimento teso più a sottrarre che ad aggiungere, per restituire l’essenziale degli standards. Nella mezz’ora a sua disposizione non c’è posto per il virtuosismo o per la trovata spettacolare. Tutto va avanti nel segno del rispetto per il materiale proposto, senza personalismi o deviazioni incongrue di sorta.


Giorgio Lombardi, a nome del Museo del Jazz, infine, porta in scena il quartetto di Felice Reggio. Il trombettista astigiano, genovese d’adozione, rispolvera suoi pezzi forti, passando da Blue Bossa di Kenny Dorham a My Funny Valentine, da Que reste t-il de nos amours a Just friends. Reggio suona in modo caldo, ma rilassato, inanellando assoli equilibrati e sentiti. I suoi partners abituali, da Currò alla chitarra, a Dechaud al basso a Rotella alla batteria si mettono a servizio del leader, offrendo un supporto misurato e attento al carattere specifico dei vari pezzi.


Si chiude con successo la prima parte, la più corposa dell’international day nella città della Lanterna.


Alle 21 ci si sposta alla Sala Montale del Carlo Felice per il concerto di Javier Girotto e Bebo Ferra. I due si conoscono da almeno quindici anni. Hanno collaborato in un quartetto con Paolino Dalla Porta e Roberto Dani e inciso un disco in coppia, Kaleidoscopic Arabesque, nel 2011.


Ferra suona la chitarra classica, mentre Girotto, oltre al sax soprano, sfodera il moxeno e flauti quenas, tipici strumenti del territorio andino. I brani sono tutti a firma del musicista sardo e contengono, sorprendentemente, la fusione di elementi del suono isolano con componenti del folklore argentino in un insieme saldamente coeso, dove è difficile scindere le due fonti ispiratrici. In pratica si assiste ad un saggio, colto e popolare al tempo stesso, di autentica world music, realizzato da due personaggi che sanno scavare nel loro rispettivo retroterra ciulturale per produrre una musica antica e modernissima, di genere etno-jazz, intanto per affibbiare un’etichetta prossima a quanto si viene ad ascoltare…


Il pubblico, non numeroso a dire il vero, saluta con ovazioni i protagonisti della serata che regalano un bis, anche questo molto applaudito.


In conclusione, la giornata ha richiesto un impegno consistente a tutte le associazioni cittadine collegate al jazz e ha dimostrato, ancora una volta, che, quando si raggiunge un’unità d’intenti si possono allestire manifestazioni dove convivano esperienze differenti, anche molto lontane fra loro e ottenere, comunque, una confortante risposta da parte degli spettatori.