Roscoe Mitchell – Bells for the South Side

Roscoe Mitchell - Bells for the South Side

ECM Records – ECM 2494/95 – 2017



Roscoe Mitchell: sax sopranino, sax soprano, sax alto, sax basso, flauto, flauto piccolo, flauto basso, percussioni

James Fei: sax sopranino, sax alto, clarinetto contralto, elettroniche

Hugh Ragin: tromba, tromba piccolo

Tyshawn Sorey: trombone, pianoforte, batteria, percussioni

Craig Taborn: pianoforte, organo, elettroniche

Jaribu Shahid: contrabbasso, chitarra basso, percussioni

Tani Tabbal: batteria, percussioni

Kikanju Baku: batteria, percussioni

William Winant: percussioni, campane tubolari, glockenspiel, vibrafono, marimba, roto-toms, piatti, grancassa, woodblocks, timpani







Non si può disconoscere al carismatico Mitchell di aver tenuto fede al proposito di «evidenziare le proprie esplorazioni entro nuovi territori, come rappresentato dalla serie di progetti in trio», fungenti da ossatura del ponderoso album : di fatto, la cangiante combinazione di quattro trii (ma certamente al di fuori dalle abituali logiche di tale formazione) non è che un ingrediente del composito patchwork qui esposto, peraltro in sostanziale continuità con quanto già magistralmente devoluto nelle progressioni del grande veterano.


Ricorrenti nel 2015, i 50 anni di storia della AACM non esauriscono il loro potenziale di implicazioni e motivazioni creative e, nell’incarnazione di un più che riconosciuto alfiere del movimento, il presente lavoro tenta probabilmente una sintesi estetica delle sedimentate correnti e delle articolate discendenze del polemico laboratorio d’arte, ma anche dell’istituzione etica che ha rappresentato la Association for the Advancement of Creative Musicians.


Il ponderoso live ripreso nelle sale del Museo d’Arte Contemporanea di Chicago (peraltro in seno alla ben più articolata esposizione storica “The Freedom Principle”) non appare poi distante dalle logiche e dalle fenomenologie delle contemporanee installazioni d’arte (vi è, tra gli elementi scenici della performance, un importante aggancio alla storia dell’Art Ensemble of Chicago, tali le panoplie strumentali da questo messe insieme, allora esposte presso la struttura ospitante).


Se la musicalità, in apparenza, non decolla con attendibili modalità formali, volendo compararla ai refrain espressivi della gloriosa band, nemmeno tarda a palesare differenziata gamma rappresentativa e scenica: dall’introduttivo Spatial aspects of the Sound, di sospesa astrattezza e di decantata eleganza, il tono volge al pugnace e combattivo nelle veemenze di Panoply, Dancing in the Canyon o The last Chord, ritraendo le energie nella meditazione densa di Prelude to a Rose o Six Gongs and two Woodblocks, e ancor più sottile nell’eponima Bells for the South Side, installando teatralità estranianti in R509A TwentyB, congedandosi infine con carattere negli impeti sostenuti della più complessa e “monumentale” Red Moon in the Sky, cui s’accoda la ripresa di un grande cavallo di battaglia dell’Art Ensemble: Odwalla.


Importante e dichiarato il bilanciamento degli innesti sonori con l’articolata dimensione del silenzio, ma non tardano a configurarsi più concrete strutturazioni, a tratti dense d’acme espressivo; perfino i dettagli, dall’alito dei flauti alle sonagliere, s’investono di solennità incarnando un ruolo contributivo, così come l’enfasi urticante delle ance (particolarmente del sopranino), la forza delle interpunzioni elettroniche, la marzialità veemente della batteria ed il colore polemico delle percussioni.


Una musicalità a tratti totemica aperta a rivolgimenti formali per l’erompere di alterne forze individuali e collettive, al cui servizio si pongono, con misurato interventismo e mano felice, i partner di stagionata o relativamente recente consuetudine, dal veterano Hugh Ragin ai già affermati Craig Taborn e Tyshawn Sorey fino ad emergenti figure quali il britannico Kikanju Baku.


Se è stato fatto rilevare come il lavoro non sia il biglietto da visita più rappresentativo del grande chicagoano, in effetti non è qui che potrà esser ravvisata una qualche summa dell’opera e della tempra visionaria del Nostro: Bells for the South Side incarna comunque grande rilievo nella testimonianza del Nostro, ed i materiali a pressoché totale firma del grande sassofonista e band-leader veterano (che complessivamente autorizzeranno qualche paragone d’insieme a figure autoriali di peso, quali Anthony Braxton o Butch Morris, ma non sovrapponibili nella diversità delle rispettive traiettorie e speculazioni) risalteranno non alieni alla dimensione monumentale, ma le cui notazioni formali e le scansioni della scrittura, oltre alla non rara trascendenza drammatica, a ragione dell’impegno e degli ingegni qui altamente investiti, in un’alternanza sensibile tra astrattezza e forza rappresentativa, non osteranno alla sua configurazione quale reale “manifesto”.



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ecmrecords.com/catalogue/1486477600


mcachicago.org/Exhibitions/2015/The-Freedom-Principle-Experiments-In-Art-And-Music-1965-To-Now